Monthdicembre 2008

Sabato 18 ottobre 2008 dall’Isola de La Galite a Bizerte – Tunisia

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Scortati dalle Berte
Si smonta la tenda che è ancora buio e si scende al porto, l’equipaggio si sveglia, sull’isola tutto è quieto ma in mare c’è grande agitazione, è in corso una battaglia: nuvole di piccoli pesci si spostano veloci increspando l’acqua come folate di vento, mentre i loro predatori li rincorrono all’impazzata saltando continuamente fuori dall’acqua, poi improvviso arriva un tonno che elegante e potente gli salta in mezzo rubando la scena e catalizzando l’attenzione di tutti, è la legge del mare, pesce gosso mangia pesce piccolo, ci regala le sue evoluzioni e poi come era arrivato il tonno sparisce. Si parte, il mare è calmo e la prua del Bichi taglia il mare color petrolio, il paese si allontana velocemente, le abitazioni sono già macchioline indefinite quando si doppia punta Bizerte, poi la sagoma si allunga e mentre il sole le da colore la vista sul piccolo Arcipelago si completa con il Galitone e “Galitino” che compaiono ad est e i Cani a ovest, mentre sulla costa si spenge la lanterna del faro di Cap Serrat. La Galite è ormai diventa una piccola sagoma che appare e scompare dietro il gommone che zigzagando saltella sulla scia della barca.
Da quando abbiamo preso il largo si naviga in compagnia delle berte, ce ne sono tante, il loro volo elegante mi ipnotizza, volano basse sfiorando l’acqua con la punta delle ali, hanno grandi ali ma sono creature del mare e del mare ne hanno il colore e il movimento perpetuo, se le osservi bene vedi che non volano ma navigano nell’aria e la loro direzione è prevedibile come le rotte delle navi che ci incrociano a dritta e a prora. Un volo che è in antitesi con quello dei falchi di Eleonora, gli istrionici protagonisti del cielo de La Galite, che disegnano migliaia di traiettorie imprevedibili, facendoti impazzire quando cerchi di fotografarli. In realtà anche le berte sono difficili da fotografare ma dipende dal movimento della barca e dalla mia attrezzatura che fa sempre più i capricci. A poppa Fathi e Kamel calano le canne da pesca, il risultato delle loro battute è stato deludente, non hanno pescato granche’ “La Galite non è più il regno del sarago” mi dice Kamel  “tutti ci vengono a pescare ormai”  Kaled ha individuato la penuria di pesci nei bracconieri che arrivano dall’Italia “ la rovina” mi dice “sono i gommoni che arrivano dalla Sardegna, sono attrezzati meglio dei militari, arrivano la notte pescano con bombole torce e fucili e poi caricano a bordo e tornano in Sardegna dove vendono il pesce a prezzi molto elevati, devono guadagnare bene perché sono sempre di più”. Sono sempre le solite storie, è  la morale del quattrino, quella dei ristoratori che comprano il pesce dai bracconieri, militari e guardiamarine che si prendono l’obolo, e quella dei pescatori per diletto che diventano professionisti e poi assassinano il mare per la solita bramosia di quattrini, quelli che non bastano mai, specialmente se poi ti attrezzi da X° Mas. Kaled  mi parla di gommoni con motori fuoribordo da centinaia di cavalli, gruppi elettrogeni a bordo e attrezzature ultramoderne, del corallo pero’ non vuole parlare, si vede che li’ c’ha le mani in pasta.
Fa rabbia vedere e sentire questi racconti, ma non è niente di nuovo, la storia delle riserve naturali di Montecristo e Pianosa sono piene di queste episodi. Il sole è alto e fa caldo, ormai la costa Africana ci accompagna sul lato di tramontana, il dolce dormiveglia del navigare viene scosso  dall’urlo di Kamel che ha visto vibrare la canna, Fathi si mette la cintura e comincia a lavorare il pesce, un Marlin, almeno cosi’ dice Kamel. Attaccato allo sfotunato pesce spada c’è anche una piccola remora che pero’ viene riconsegnata al mare, chissà se se si accaserà nuovamente su qualche pescione. Contenti come i cinghialai mi chiedono di fotografarli con la preda per immortalarli in pose marziali. Ormai ci siamo, doppiamo le grandi dune, poi Cap Blanc e poi di nuovo Bizerte. Oltre lo sport nautique c’è il grande pontile del porto industriale dove è attraccata una grande gassiera, mentre altre navi mercantili stazionano, dall’altra parte della baia oltre il canale c’è  la Remel Plage alla fine della quale giaciono le carcasse di due grandi relitti che domani vorrei andare a vedere. Dopo sei giorni rientriamo a Bizerte, a terra c’è la classica aria da porto turistico, un misto naviganti e diportisti, le novità in porto sono due catamarani provenienti da Gibilterra dall’aspetto molto tecnologico e una vecchia barca in ferro malridotta grezza e tozza che assomiglia alla nave pirata dei playmobil impietosamente vicina ai filanti multi carena.
Saluti, zaini in spalla e via, c’è una luce più bella oggi pomeriggio a Bizerte, per il resto tutto uguale comprese le ritrovate litanie dei muezzin, non avrei mai pensato di passare cosi’ tanto tempo qui, ma visto la tanta bellezza trovata a La Galite ne è valsa sicuramente la pena.
   

Venerdi’ 17 ottobre 2008 Isola de La Galite – Tunisia

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Le necessità dettate dalle regole e le regole dettate dalla necessità
Nella notte mi sveglia il vento forte, mi affaccio e a largo dell’Isola vedo un temporale massiccio che è in arrivo, fra noi e l’Africa grandi saette che escono da nuvole che pulsano di luce viola. Il temporale si avvicina velocemente e i toni cominciano a farsi sentire sempre più forti, le saette ora sono vicine e illuminano la baia, ne arrivano un paio giganti dritte e larghe che si schiantano a poche centinaia di metri, la luce è accecante e il tuono che arriva subito dopo fa vibrare il terreno, sembra l’inizio di una tragenda, ma per fortuna rimane il momento più intenso, i toni e fulmini continuano per tutta la notte ma non succede niente di grave. All’alba esco e faccio un giro fino al poggio panoramico vicino al cimitero, vedo che siamo circondati da nuvole nere cariche di elettricità, sembra di essere nell’occhio del ciclone ma praticamente non succede niente e a parte qualche goccia non piove nemmeno. Come capita spesso quando  l’aria è piena di elettricità gli animali si radunano e vicino alla tenda ritrovo i due cavalli isolani, tre corvi e una tartaruga. Verso le otto arriva una motovedetta che si ormeggia alla boa a centro golfo e poi sbarca i militari con il gommone, sono le nuove reclute il cui compito principale è ripulire l’isola dalla plastica che raccolgono in grandi sacchi e poi accumulano dentro i casotti sul porto in attesa di portarli fuori dall’isola. Le notizie stamattina sono più grigie, un po’ come la giornata, su Galitone non si puo’ andare perchè c’è troppo mare e anche il cambio del turno è rinviato, proviamo domani mi dice il responsabile del trasbordo, che non riesce a mettersi in contatto con il faro  perché il temporale deve aver fulminato qualcosa. Scendo al porto per avere la conferma che possiamo rimanere un’altra settimana qui, Kaled vuole partire nonostante il tempo brutto ma non ci vuole lasciare qui, discutiamo un po’, con Kaled non ci si piace ma ci si sopporta, io senza di lui non potevo venire qui e lui senza la mia richiesta non poteva portare il suo amico a pescare, vuole una dichiarazione scritta dal comando di Bizerte che noi possiamo rimanere qui, si mette male. Torno alla guardia nazionale e mi dicano che si puo’ rimanere, nel frattempo sull’orrizzonte passano delle trombe marine, si resta in attesa di una risposta, forse si resta fino al 25 forse no, una serie di chiamate poi verso le due arriva la risposta negativa: Bizerte non risponde, almeno cosi’ mi dicono e quindi si deve partire con il Bichi, nel frattempo passa una grossa tromba marina, decisione finale si parte domattina all’alba. Non rimane che sfruttare il più possibile il poco tempo restante, scendiamo verso il mare per vedere la parte bassa del paese, quella più estesa, vicino alla caserma della marina c’è una motopala abbandonata (una scingscaul’ come si diceva e forse si dice sempre a Ponza). La parte bassa dell’insediamento Ponzo Galitese ricorda veramente la principale isola Pontina in particolare la zona delle Forna, scendendo verso il mare si incontra la casa detta delle aragoste al cui interno ci sono ancora le vasche dove venivano tenute le aragoste vive nell’attesa di essere portate in continente, proseguendo ci sono una ventina di abitazioni ormai tutte malridotte, i  muri si stanno sgretolando sotto l’azione della salsedine e della vegetazione, come sempre sono le piante di fico le più devastanti. La scala che scende verso il mare ricorda tantissimo quella che da Le Forna scende verso le piscine naturali a Cala Feola, intorno ci sono agavi, lentischi e cisti, questa è veramente la piccola Ponza: le scale imbiancate con la calce, grotte casa e altre grotte che fungevano da stalle scavate nella roccia più friabile, la più bella sembra la casa dei Flinstones. Il viottolo si ferma sul mare, poco più in alto c’è la casa più grande de La Galite, quella che ospitava Bourghiba, è diversa da tutte le altre ha il tetto a capanna ricoperto con i marsigliesi ed è una tipica casa francese, a pianterreno oggi qui ci vive una famiglia, una delle tre famiglie dell’Isola e fuori casa ci sono due donne e tre bimbi, peccato che si va via domattina perché sarebbe stato bello poterci parlare, chissà che storie interessanti venivano fuori e poi specialmente ora che si cominciava ad entrare in confidenza anche con gli uomini della marina, comunque rimane il grande privilegio di essere qui e questo pensiero mi fa sentire molto fortunato.
Saliamo verso il monte senza nome che abbiamo battezzato Calanche per la somiglianza con la vetta Elbana, si cammina in mezzo a una prateria d’erba alta e robusta, sembra la Pampa, anche questo scorcio di isola è molto bello, una piramide di rocce scure piena di fratture da cui fuoriesce acqua dolce, ci sono delle fratture che diventano vere e proprie grotte e vengono prese a dimora dalle capre selvatiche. Fra grotte e rocce scure e nuvole cupe il tramonto acquista una connotazione drammatica. La  notte arriva in un attimo, fra poche ore lasceremo La Galite, passiamo l’ultima sera chiacchierando con i ragazzi della guardia nazionale che sono stati molto gentili con noi, sono giovani tra i venti e i venticinque anni e sono arrivati qui spinti da motivazioni economiche. Habib è il responsabile del comando, è qui da cinque anni e ci resterà ancora un anno, poi spera di essere trasferito a Tabarka sua città natale dove con i soldi guadagnati qui si è già costruito una casa, cosa che “per un venticinquenne non è poco” mi dice orgoglioso. Anche Mohamed, che è più giovane, ha chiesto di venire a La Galite ma solo per un anno, perché quando torna si vuole sposare, La Galite gli piace ma soffre l’isolamento, le loro donne qui non verrebbero e nemmeno loro le vorrebbero qui. E’ strano questo mondo delle regole che porta uomini a vivere senza donne in un posto non desiderato per avere più soldi, regole che impediscono la normalità e portano a stare dove non si vuole essere. La Galite come tutte le micro comunità in luoghi isolati, estremizza le situazioni rendendole più evidenti ma alla fine la dinamiche sono le stesse in tutti i luoghi: ci si sposta e si vive seguendo le necessità dettate dalle regole e non seguendo le regole dettate dalle necessità, come avevano fatto i coloni ponzesi qualche decina di anni fa su questo magico scoglio.
Quelle stesse regole cha hanno mandato via le persone che avevano scelto di vivere qui, sostituendole con altre che qui mai sarebbero venute.
   

Giovedi’ 16 ottobre 2008 Isola de La Galite – Tunisia

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Natura dolce e selvaggia
La luna piena tramonta dietro la sagoma del monte Guardia, c’è cosi’ tanto silenzio che sento il fruscio di un coppia di corvi che vola sopra di me. Saliamo alla sorgente principale dell’Isola poco distante dal cimitero, è una zona dove sono ancora evidenti le tracce dell’attività agricola, c’è  anche qualche albero da frutto ormai assorbito dalla macchia. Facciamo un giro fra i terrazzamenti abbandonati dove trovo i resti di vitigni e poi si risale verso il cimitero che è diventato il punto di riferimento per muoversi sull’isola. Oggi voglio andare verso nord ovest per vedere la scogliera che si affaccia sui Cani, che dalla vetta del monte Guardia ieri risaltava in tutta la sua potente eleganza. Fa già caldo, è estate piena e il mare è incredibilmente fermo se possibile ancora più di ieri, a largo dell’Isola stanno passando due mercantili, poco dopo  si materializza una sagoma indefinita e strana, naviga molto sottocosta rispetto agli altri scafi, poi avvicinadosi si capisce di che si tratta: c’è un sommergibile spinto da una nave a cui è appoggiato di trequarti. L’avvistamento di questo sommergibile che sembra proprio uscito da una missione dell’ultima guerra mi fa venire in mente la storia di Salvatore Todaro, un famoso comandante di sommergibili della seconda guerra mondiale che mori’ proprio a La Galite nel dicembre del ‘42 mentre dormiva a bordo di un motopesca colpito da una scheggia durante l’attacco di uno spitfire inglese. E’ affascinante la storia di questo militare anomalo diventato famoso con il nome di Don Chisciotte del mare, che attaccava le navi nemiche in emersione con cannone e mitraglia e poi rischiava e faceva rischiare ancora di più il suo equipaggio per salvare la vita ai naufraghi vittime dell’attacco. Cercando informazioni dell’isola nell’attesa dell’agognata autorizzazione ho ritrovato “Mago Baku” (altro soprannome di Todaro) di cui avevo letto qualcosa tempo fa cercando notizie su Teseo Tesei. Questa è proprio l’Isola delle coincidenze e delle ricorrenze, Todaro divento’ famoso proprio il 16 ottobre del millenovecentoquaranta quando a largo di dell’Isola di Madera al comando del sommergibile “Cappellini” dopo aver affondato la nave nemica  “Kabalo”,  recupero’ tutti i ventisette naufraghi a bordo del sommergibile e poi navigo’ in emersione per quattro giorni correndo rischi enormi fino alle Azzorre dove lascio’ liberi i suoi passeggeri.
Il sommergibile doppia la punta Nord Est de La Galite e svanisce  portandosi via i ricordi della follia bellica, ora qui c’è pace e armonia, una fantasia armonica di colori e profumi di fiori a cui si uniscono api e farfalle in questa primavera d’ottobre. L’isola è un tappeto verde formato prevalentemente da gariga bassa, ma nelle zone più umide ci sono anche piante di leccio e di corbezzolo in fiore. Sul culmine morbido del primo poggiolo troviamo una zona archeologicamente interessante, ci sono dei cerchi di pietre e diversi cumuli che sembrano sepolture preistoriche, intorno c’è anche qualche pezzeto di ceramica che rende verosimile questa ipotesi, si cammina dentro un giardino, questa parte di isola è ancora più ricca di fiori e ci sono delle vere e proprie siepi di rosmarino ed erica. Questo è il regno del silenzio, le sensazioni regalate dalle forme, dai colori e dai profumi su questo scrigno di bellezza e armonia ti si impregnano dentro senza uscire in forma di parola, come per pudore, per paura di rompere quest’incantesimo di ascolto del silenzio, e quando fermi anche il passo si apre come un nuovo universo fatto dal suono di rumori impercettibili che ti svelano le tante storie che si stanno muovendo intorno a te, anche quelle solitamente impercettibili dei grilli e delle lucertole o delle api.
Il caldo cresce insieme all’energia vitale dell’isola, anche i falchi stanno ricominciando la loro frenetica caccia sullo sfondo  di un mare immobile e dai toni cangianti da cui traspaiono grotte e buchi blu, ci si affaccia su strapiombi mozzafiato per ammirare grotte e anfratti duecento metri più in basso, qui  vivevano numerosi esemplari di foca monaca e c’è chi dice che ci sia ancora.
Man mano che ci si sposta verso la punta più esterna la scogliera diventa sempre più ardita, provo
sensazioni simili a quelle provate a Montecristo nel settembre dello scorso anno quando finalmente riuscii a stare una settimana sull’Isola più selvaggia dell’Arcipelago Toscano accompagnando l’amico fotografo Sandro Santioli per conto del National Geographic. La scogliera è ricoperta di incrostazioni giallo e arancio, che associare al Volterraio è inevitabile, ci sono tanti nidi di falchi fra cui almeno due di falco pellegrino, il promontorio finisce su un terrazzino scalpellato dal vento che si affaccia sui “Cani” è simile alla Punta dell’Enfola ma molto più alta e selvaggia senza niente che richiama alla presenza umana, sotto nel mare trasparente si vede un branco di grandi barracuda che disegnano un cerchio e alcuni pesci di grossa taglia.
ب un mondo dolce e selvaggio, la testa recisa di netto di un uccellino mi ricorda le leggi della natura   dove vince il più forte, il più svelto, il più intelligente … per essere protagonista del circo della vita  devi essere “il più” di qualcosa e nel momento in cui cessi di esserlo arriva “il più” di un’altra cosa che ti cancella dal palco, la natura è meravigliosa, armonica ed equilibrata, ma anche spietata, non è un videogioco dove se ti ammazano risuciti, l’errore e la distrazione sono spesso fatali …. Sffschtiùn …. passa il falco e l’uccellino non c’è più.
C’è un’armonia cromatica che sfiora la perfezione, erica e rosmarino, sassi, muschi e licheni, girando verso ponente la scogliera si arricchisce di decorazioni scavate dalla salsedine, anfratti perfetti per i nidi dei falchi, ora contemporaneamente in volo più di trenta rapaci che si producono in un’incredibile battaglia aerea che osservo insieme ai corvi. Il mare bellissimo, le rocce gialle, la grotta, per quanto incredibile diventa sempre più bello, questo tratto pur essendo più ripido  assomiglia tanto al tratto di Montecristo che dal Belvedere scende verso Cala Santa Maria. Attraversiamo una macchia fitta di pruni caprini e poi si ritorna verso “casa” ancora immersi nel “mare fiorito”. Le coralline sono andate tutte via, ma è arrivata una barca da diporto,  c’è aria di calma prima della tempesta, passiamo dal molo a salutare l’equipaggio del Bichi, Mohamed mi da una brutta notizia, vuole partire domani o al massimo dopodomani mattina perché poi arriva il brutto tempo e poi sta finendo viveri e sigarette e lui a quelle non ci rinuncia. In realtà me l’aspettavo, Kaled occhi bugiardi arrivando mi aveva detto “ vedrai che dopo due giorni ti stufi e mi chiederai di andare via perché sull’isola non c’è niente”. In attesa degli sviluppi ci andiamo a fare una nuotata. Lungo la spiaggia sotto il paese ci sono i pezzi di tanti relitti diversi, alcuni di navi altri di barche, forse ci sono anche i resti delle dodici coralline Ponzesi affondate tutte assieme durante una tempesta negli anni trenta, c’è anche tanta pomice probabilmente arrivata dalle Eolie.
Primo bagno a La Galite, nel mare fermo che  si increspa in superficie per la fuga verso riva di tanti piccoli pesciolini mentre i loro predatori schizzano fuori dall’acqua facendo grandi salti: la battaglia della vita non si ferma mai né in cielo, né in terra, né in mare.
Stasera si mangia capra in umido, siamo invitati dalla gendarmeria, stiamo diventando parte di questa minuscola comunità, ci sono anche i militari della marina che usano la radio della gendarmeria per comunicare con i loro colleghi di stanza su Galitone, sono sei militari che fanno servizio per due settimane e domani c’è il cambio, inaspettatamente ci propongono di andare con loro, ci invita il pilota della barca che effettua i cambi, mi dicono che se voglio possiamo salire al faro anche se secondo loro è una gran faticata e non ne vale la pena. Mohammed ci dice anche che con il nostro permesso possiamo stare ancora sull’Isola perché siamo sotto la loro tutela e siccome il Bichi torna sull’isola fra una settimana per fare un servizio per il governo, noi potremmo rimanere qui per un'altra settimana. Sarebbe favoloso rimanere, proviamo subito a sentire il Bichi ma la radio è spenta. La serata passa guardando un film comico egiziano sulla guerra del golfo e con i racconti Galitesi del quotidiano e delle storie leggendarie, come quella dell’asino suicida di Galitone: il ciuco che era addetto al trasporto dei viveri esasperato dalla fatica che doveva subire ad ogni trasporto, una mattina sentita la sirena della vedetta che arrivava, si lancio’ dalla scogliera suicidandosi.
Quando chiudo la tenda è uscito un po’ di vento, la luna si è velata, oggi la giornata è stata esaltante e domani inshallah …. magari si va su Galitone. 

 

   

Mercoledi’ 15 ottobre 2008 Isola de La Galite – Tunisia

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Galitone e il Faro

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casa Ponzo-Galitese

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Lo sguardo enigmatico del Corvo
All’alba partono le barche dei corallari mentre si dissolve la nebbia marina e la luna gigante non è ancora tramontata, anche questa giornata si preannuncia bella, il telo della tenda è bagnato come succede sempre di queste stagioni al mare. Cominciamo a camminare, la piccola comunità isolana dorme ancora, dopo la piana del cimitero ci spostiamo verso ovest fra le zolle ricoperte di erba alta ancora gocciolante di guazza, si sentono camminare le tartarughe, ce ne sono tante ognuna col suo carattere, ci sono quelle che quando ti avvicini si chiudono nella corazza e altre che si danno alla fuga, il mare stamani non ha voce è una lastra immobile che con il salire del sole piano piano prende colore insieme al cielo. La prima collina che si attraversa è un giardino, si cammina fra fioriture di erica e rosmarino dove le api sono già a lavoro, ma ci sono anche tanti giunchi e “i pruni caprini” che quando vai a troncamacchia non mancano mai. Salendo ancora tartarughe e anche tanti uccelli che pedulano fra i cespugli fioriti, poi ci inseriamo nell’ultimo tratto del sentiero che porta  fino al semaforo posto sulla vetta de La Galite, è l’unico viottolo agibile ed è conosciuto come il cammino di Bourghiba perché si dice che nei due anni che passo’ confinato qui, il futuro presidente della Tunisia veniva obbligato dai militari francesi a salire tutti i giorni fino al semaforo per firmare il registro di presenza. E’ un sentiero profumato che ricorda quello che porta al semaforo dell’Isola di Capraia dell’Arcipelago Toscano e all’Isola degli Hermes assomiglia anche il paesaggio della vetta con i ruderi dell’antica vedetta, i ferri arrugginiti e le piazzole in cemento e anche per  le pareti di roccia scura che precipitano verso il mare. Ma il nome del poggio ci riporta a Ponza, anche li’ la vetta isolana si chiama Monte Guardia, e questo è abbastanza scontato visto che i pochi nomi riportati nelle carte dei  rilievi e dei  promontori sono di origine italica, l’aspetto più curioso è che i due monti hanno pressoché la stessa altezza trecentonovanta metri, mentre nella forma, che da qui sopra si disegna chiaramente, La Galite è molto simile all’Elba a cui è speculare anche come orientamento, con la testa (dove siamo ora) a ovest e la coda a est. Si vede anche Galitone ma non come pensavo, c’è infatti ancora tanta Isola prima di arrivare all’estremo ovest. Si scende e si sale più volte fra grandi strapiombi affacciati sul mare smeraldo che, complice il gran caldo, chiama a se, ma le meraviglie sono anche dentro l’isola che risplende di vita e colori in questa primavera d’ottobre, ci sono tante farfalle policrome e poi ragni, grilli e libellule gialle, verdi e blu, ma le più fotogeniche sono quelle arancioni, una meravigliosa, elegante e spietata cattura e si mangia una mosca forse troppo distratta. Siamo avvolti nella mediterraneità, dal basso le capre ci guardano da picchi arditi sospesi fra cielo e mare, sono tante e vivono libere, la loro anarchia ha tempi opposti a quella umana su quest’isola. Finalmente padrone del loro destino, proprio come le capre Elbane che vivono sovrane fra le pendici di Monte Grosso e Nisportino, sono imponenti, specialmente i maschi con le grandi corna, le riconosco sono le grandi capre italiane dei racconti di Ali Baba Ouerda, l’amico veterinario dalle misteriose origini italiane conosciuto a Kerkennah, che qui a La Galite una ventina di anni fa aveva fatto uno studio proprio sulle capre per conto del governo, “ li’ ci sono le capre italiane” mi diceva “più grandi e più forti di quelle africane e migliori per la carne e per il latte” e convinto mi raccontava “Le hanno portate gli italiani con le barche”. Non sono sicuro che le abbiano portate i Ponzesi, già in epoca classica si usava portare le capre sulle isole disabitate (come ci insegna anche la storia di Montecristo e Capraia) per avere riserve di cibo in caso di necessità. Mentre ammiro l’agilità di questi animali penso con grande rammarico alle capre di Evangelista, l’ultimo pastore della montagna Elbana, che lo scorso autunno sono state caricate su un camion e portate via, dopo secoli e secoli di legame con quel territorio, queste nell’aspetto assomigliano proprio alle capre che pascolavano la montagna Elbana, una razza antica e resistente di capre mediterranee che ha subito un processo evolutivo simile a quello del muflone, irrobustendosi grazie all’ambiente isolano e diventando assi più forte del suo antenato continentale. Chissà se quando tornero’ all’Elba ci sarà nuovamente un pastore di capre sulle pendici del Capanne, pensando alle  notizie sull’economia lette su internet i giorni scorsi, penso che un processo di ritorno alle origini potrebbe realizzarsi.
Avvolti dal silenzio e nei profumi della macchia arriviamo alla fine dell’Isola, ci fermiamo su  una radura sassosa colorata dai licheni arancio intenso che si apre su un orrizonte “grandangolare”, qui  ci sono tanti falchi che si lanciano continuamente dalle alte scogliere che dominano il canale che ci separa da Galitone, ma qui i padroni di casa sono i corvi, anche se sembrano estranei a questo mondo colorato, neri lucenti e sfuggenti volteggiano eleganti e osservano tutto. Sono affascinato da  questi “rabbini” volanti, nello sguardo del corvo c’è qualcosa di sovrannaturale, ti guarda e sembra  conoscere il futuro e anche i tuoi  pensieri; di tutt’altro stampo sono i falchi, specialmente i piccoli e frenetici falchi di Eleonora Galitei, instancabili cottimisti della caccia e provetti acrobati del volo, il falco non pensa, agisce, il falco è un soldato di leva vigoroso e bene addestrato, mentre il corvo è un gesuita che nel buio del suo piumaggio senza sfumature nasconde il crocifisso e la spada.
Da questa gigantesca prora di roccia si vede bene la sagoma massiccia di Galitone e anche il ripido viottolo scavato nella roccia che sale fino al grande faro sulla vetta, anche qui il richiamo a Ponza è forte: nella via incisa nel fianco dello scoglio rivedo La Sgarrupata a mare che porta al Faro. Le barche dei corallari che stanno rientrando schiariscono una striscia di mare nel disegno delle loro scie, unico solco nel mare piatto di questa patana Africana. Fra licheni “buddhisti” giunchi e rosmarino, risaliamo fino al semaforo dove un suono sordo come quello delle ghiaie ruzzolate dalla risacca riempie il silenzio, è il cozzare affannato di tartarughe focose impegnate in un raduno orgiastico, che si scontrano e si appiccicano come le macchinine dell’autoscontro, la corazza sarà anche una bella sicurezza ma poi ti ritrovi ingessato dal collo al culo, anche quando trombi.
La luce ora è bellissima e le punte bianche della costa nord sono rosate e rugose di ombre lunghe, si ritorna verso il paese dal pendio che scende affacciato sul mare dal lato del porticciolo, anche qui c’è acqua per la gioia di carrubi e lentischi pieni di bacche rosse, lo scalo si è riempito di corallari ci sono sette barche a banchina e altrettante a rada di cui due barche a vela. Poco prima del crepuscolo siamo al villaggio, nella parte alta del paese fantasma, entriamo in qualche casa, la maggior parte sono avvolte dalla macchia, ma in alcune si riesce ad entrare, una ha il pavimento con le mattonelle uguali a quelle del circolino della Bonalaccia. Nella parte del paese meglio conservata a fianco di una casa abitata da  militari c’è la casa più bella, forse era l’abitazione dei D’Arco, intorno alle case piante di alloro, fichi e carrubi e grotte di tufo che facevano da stalle. Anche stasera rientriamo di buio. Sono bastati due giorni per armonizzarsi ai ritmi della natura, ci si alza con la prima luce e si va a letto quando arriva la notte.   
 

   

Martedi` 14 ottobre 2008 Isola de La Galite – Tunisia

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Il compleanno della ragazza dell’Isola dell’Anarchia
Dormono tutti a bordo, il Comandante e Kaled gorgogliano catarri affannati e rumorosi.
Non c’è un alito di vento ma fa freddo, è ancora buio ma nelle barche a terra c’è movimento, anticipando l’aurora il barcone più grande mette in moto, cerco di capire qualcosa guardando con il teleobbiettivo ma non capisco niente oltre al fatto che a bordo ci sono parecchie persone, poi con il  rischiararsi cominciano a partire anche le barche dei corallari, attrezzate con manichette e camere iperbariche. Quando il sole comincia a scaldare si alzano tutti, Mohammed prova invano a mettere in moto, complici le tante birre in dotazione all’equipaggio, ieri sera il quadro elettrico è rimasto acceso e ora la batteria è a terra, quindi prendiamo terra a traino del gommone.
Il mare ha dei colori bellissimi attraversati da saragi e occhiate, sull’isola regna il silenzio sembra disabitata. Ormeggiamo il Bichi a ridosso dell’unica banchina e poi finalmente si mette piede a terra. In uno slargo vicino allo scalo stanno marcendo un paio di relitti di barconi in tutto simili a quelli che avevo visto a El Attaya alle isole Kerkennah, scafi che erano stati sequestrati dopo essere naufragati nel tentativo di portare i clandestini a Lampedusa.
Con l’autorizzaione di Kaled cominciamo a salire verso la caserma della Guardia Nazionale dove sventola pigra la bandiera Tunisina, per farci vedere e capire come possiamo muoverci e dove possiamo montare la tenda. La strada che conduce al posto di guardia è una ripida cementata, a mezza via incontriamo due guardie che stanno scendendo, già vederli in tuta da ginnastica invece che in divisa è bene augurante, sono subito molto gentili e si dicono  molto felici di averci sull’Isola perché a terra non scende mai nessuno, ci stavano aspettando, il più alto che sembra il responsabile da un’occhiata veloce alle autorizzazioni e mi conferma che è tutto a posto, possiamo muoverci liberamente sull’Isola, la tenda preferisce che la montiamo vicino alla caserma. C’è grande tranquillità, del classico sistema militare tutto di rigore e ipocrisia non c’è traccia, ritorniamo al porticciolo insieme, poi loro rimangono a chiacchera al Bichi e noi cominciamo a salire con i bagagli, volendo si poteva attendere il trattore dei militari che ci mettevano gentilmente a disposizione ma preferisco piazzarmi e cominciare prima possibile l’esplorazione. Al corpo di guardia c’è il terzo gendarme dell’Isola, Mohammed è il più giovane e ci accoglie con un caffè   parliamo un po’ degli italiani e mi racconta dei  “pescatori di aragoste” che sono venuti la scorsa estate  a rivedere la loro vecchia casa.
Se siamo qui è grazie alla mia parte Ponzese perché agli ex abitanti dell’Isola o ai loro parenti è concesso con le opportune dichiarazioni, di visitare l’Isola e io sono qui alla ricerca di tracce  e sepolture di parenti. In  realtà non ne posso essere sicuro ma è abbastanza verosimile visto le strette parentele che legano un po’ tutti i Ponzesi, e quindi anche i PonzoGalitesi, comunque anche in segno di gratitudine per l’autorizzazione il primo luogo che voglio visitare è il cimitero. Monto la tenda in una posizione spettacolare ci infilo i bagagli, saluto Mohammed e si comincia a salire mentre passa il trattorino dei militari, mi  ricorda quello del “Conte Goffredo” il guardiano di Montecristo, attraversiamo parte del paesino abbandonato e passiamo a fianco alla casema dei militari, ci sono un paio di case abitate dove vivono i militari di carriera, gli unici che qui hanno la famiglia, salendo ritroviamo i due cavalli che prima pascolavano vicino alla tenda, ci sono dei piccoli orti e alcune giovani piante di olivo che sono state piantate recentemente. Poi su un pianoro in alto, un chilometro dalle ultime case, il cimitero, è  una versione ridotta e malridotta del cimitero di Ponza, purtroppo solo poche lapidi sono rimaste leggibili, l’unica perfettamente conservata ci ricorda Elisabeth Darco nata il 14 ottobre 1905 e morta il 20 febbraio del 1936, a volte le coincidenze sono incredibili una serie di eventi concatenati ha fatto si che noi visitassimo questa tomba abbandonata proprio nel giorno in cui ricorre il suo copleanno. D’Arco è un nome importante in questa storia avventurosa e romantica, fu infatti proprio Antonio D'Arco il precursore dei colonizzatori Ponzesi de La Galite, fu intorno al milleottocentocinquanta che per primo decise di viverci stabibilmente affascinato da quest’Isola disabitata e quindi senza leggi ne padroni se non la natura stessa e incredibilmente simile nell’aspetto alla natia Ponza, ma assai più generosa con un mare incontaminato e ricco di pesci, aragoste e corallo e una terra senza padroni dove abbondavano le sorgenti d’acqua dolce che da sempre sono la principale croce della maggiore delle Isole Pontine. Il richamo di questa terra promessa fece approdare qui diverse decine di pescatori Ponzesi, in particolare quelli più poveri che qui potevano crearsi i propri appezzamenti di terreno da coltivare e in poco tempo nacque una comunità senza leggi né gerarchie. L’isola fu visitata alla fine dell’ottocento da un “ vero” anarchico francese che dalle colonne del periodico Père Peinard esalto’ il puro spirito anarchico dei Ponzo-Galitesi e li prese come esempio a dimostrazione che si poteva vivere “senza governo e senza sfruttamento dell'uomo sull'uomo", aveva trovato I’Isola felice. Nei primi anni trenta ci fu un secondo flusso di Ponzesi legato soprattutto a orientamenti politici che non si confacevano con la dittatura fascista, migrazione che non si interuppe mai del tutto fino ai primi anni cinquanta quando la militarizzazione dell’isola da parte dei francesi si fece più pesante e intollerabile per lo spirito libero dei PonzoGalitesi che furono costretti ad abbandonare per sempre la loro isola. Per quasi un secolo questa comunità visse in pace, si nasceva, si moriva, ci si sposava e ci si separava senza bisogno di preti, carabineri e nessun altro pubblico ufficiale. Oggi di questo sogno anarchico non rimangono che i ruderi delle case con la volta a botte  e le “parracine” sepolte dalla macchia, ma il fascino dell’Isola è più vivo che mai, anzi come sempre la natura, quando l‘uomo è marginale o meglio ancora assente, dà il meglio di se. Il silenzio regna sovrano, è una pace densa di vita, l’isola è verde e i tanti giunchi testimoniano la ricchezza di acqua, ci affacciamo sul lato nord, la parete scende a strapiombo tappezzata di verde fino alla spiaggia di ghiaia scura che si tuffa nel mare trasparente e turchese, mentre lo sfondo è dominato dagli isolotti dei Cani. Fra i giunchi si sente muovere, è una tartaruga, ce ne sono tante e sbucano energiche fra scogli e cespugli, sono uguali a “Tartak” la tartaruga che mi regalo’ zio Ciro da bimbo, mi ricordo che disse che veniva da un’isola vicino alla Sardegna chissà…forse era proprio la Galite, comunque mi piace pensarlo. La sensazione di privilegio aumenta quando mi rendo conto che siamo arrivati in momento eccezionale, stanno nascendo le piccole tartarughine, ce ne sono tantissime piccole piccole, per la gioia epilettica di falchi e corvi che sovraeccitati e iperattivi sono a caccia dei piccoli. In lontanaza passano tante navi e sottocosta ci sono una decina di barche fra corallari e pescatori,  ma sull’isola solo noi e il silenzio. Salendo le tartarughine aumentano, la gariga è policroma adornata della fioritura dell’erica e del rosmarino, ancora più falchi balestrucci, ma purtroppo la macchina fotografica si blocca continuamente e quando scatta lo fa solo con tempi lenti, è un peccato sopraratutto perché diventa difficilissimo fotografare i falchi che fanno dei numeri acrobatici di alta scuola, ce ne sono di diverse specie ma i più comuni e spettacolari sono i falchi di Eleonora, dei piccoli rapaci insettivori che sono dei veri e propri contorsionisti del volo. In questo posto mi ci sento bene, i colori e i profumi sono quelli di casa, ma è sopratutto la luce a essere nostrana è la magia del mare tutt’intorno che ti riflette addosso il sole regalandoti la sensazione di libertà che è solo delle isole piccole, è come una magia che ti fa sentire al centro del creato avvolto dalla luce. Rimaniamo ipnotizzati da questo mondo primordiale, gioioso e spietato al contempo. Saliamo sul monte più alto del lato est, quello che dal mare sembrava una piramide, è molto ripido e le rocce ricordano il Calanche, vicino alla vetta ci sono dei muri molto simili a quelli che si trovano in cima al Monte Fortezza, la vetta di Montecristo. La giornata è stata cosi’ intensa che il tramonto è arrivato improviso, dalla vetta vediamo tante barche nella baia sotto il paese, alcune si fermano a rada ma la maggior parte si accostano al Bichi che è appogiato alla banchina. A ovest le sagome scure di Galitone e “galitino” galleggiano nella luce accecante del tramonto come astronavi fantasma che attendono immobili nel cielo metallo.
Bisogna scendere prima che sia buio anche perché non voglio fare incazzazzare i gendarmi correndo il rischio di avere limiti nella libertà di movimento.
Ritroviamo le prime case al crepuscolo, alcuni soldati  assorti nel silenzio osservano immobili l’orizzonte ormai scuro, sembra che cercano il loro futuro nel mare infinito, la quiete sovrasta ogni cosa, mi piace questo “mondo” senza chiese e senza moschee.
 

   

Lunedi` 13 ottobre 2008 da Bizerte all’Isola de La Galite – Tunisia

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Cap Blanc

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L`uccello misterioso

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La sagoma de La Galite

 

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Si  Parte
Finalmente è il grande giorno, è stato un parto complicato ma questa volta dovremmo esserci. Da quando Raffaele Sandolo mi ha parlato de La Galite e dei PonzoGalitesi, visitare quest’Isola è diventato un obbiettivo, quasi un’ossesione. La storia della comunità anarchica di quest’Isola mi ha stregato e il legame genetico che probabilmente ho con alcuni di questi coloni libertari mi ha spinto a ricercarne le tracce, il viaggio è stato condizionato da questa voglia, ma la costanza è stata premiata, ormai ci siamo. E’ una bella giornata, mentre si caricano viveri e bagagli a bordo viene fuori anche il vero motivo dei “bollettini personalizzati” di Kaled, stava aspettando un amico con un gommone da portarsi dietro per pescare a Jalta (cosi’ si chiama La Galite in Tunisia), si carica tanto ghiaccio a bordo, evidentemente hanno intenzione di pescare tanto perché riempiono due ghiacciaie, e anche diverse casse di birra, mi sa che in mare è tutto un altro islam, poi finalmente verso le due si parte. Lasciamo Bizerte uscendo dalla stretta bocca del porto, siamo in sei sul Bichi, che è una barca di legno molto marina (pesante e con un bel pescaggio) attrezzata principalmente per portare i sub a fare immersioni: Kaled che è l’armatore faccendiere dal capello biondo e lo sguardo sfuggente, Mohammed il comandante, un silenzioso lupo di mare secco secco con il viso tutto grinzo e la sigaretta sempre accesa incastrata in una smorfia di sorriso alla braccio di ferro, Il comandante è l’unico che sta nella piccola cabina e timona stando seduto a gambe incrociate con lo sguardo fisso sulla prora, poi c’è Fathi il figlio di Mohammed ventenne marinaio esperto di pesca alla traina e istruttore di Kamel l’amico con il gommone, un Francotunisino con il pallino della pesca e poi noi. Doppiato Cap Blanc cominciamo ad allontanarci dalla costa ammirando le grandi dune di sabbia bianca che disegnano la costa tra Bizerte e Cap Serrat e gli isolotti dei Fratelli. Il vento in poppa ci agevola nella navigazione, man mano che ci allarghiamo aumentano le berte che volano eleganti intorno alla barca sfiorando il pelo dell’acqua, arriva anche  un misterioso uccello bianco con il collo giallo, è molto più grande e massiccio di una berta e pesca tuffandosi  in verticale da una ventina di metri entrando in mare violentemente e facendo dei grandi schizzi. Mentre la costa africana scompare si comincia a vedere La Galite che nella sagoma ricorda veramente Ponza, poi si iniziano a vedere anche gli isolotti di Galitone e i Cani. Il sole tramonta che siamo ancora lontani, arriviamo che è notte,  l’isola ora ci appare come una piramide nera illuminata dalla luna quasi  piena, si vedono alcune luci in alto e anche nel piccolo approdo, il comandante conversa alla radio e poi ci comunica che stanotte si dorme a rada,  si balla abbastanza perché c’è un po’ di mare lungo ma il piccolo approdo dell’Isola è occupato dalle barche dei corallari che non gradiscono occhi indiscreti (La Galite si dice che venga usata anche come scalo intermedio per portare clandestini Tunisini e Algerini verso le coste Sarde) cosi’ almeno mi sembra di capire dalle comunicazioni via radio, sicuramente è una situazione assai ambigua per un parco naturale. E’ comunque una situazione molto bella che i movimenti intorno al porticciolo rendono ancora più intrigante,  mangiamo maccaroni alla tunisina concentrato e tonno, sotto il fascio potete della luna che nasconde la maggior parte delle stelle ma non il faro di Cap Serrat, unico segnale visibile del continente Africano.

   

Domenica 12 ottobre 2008 Bizerte – Tunisia

Image Domani Inschallah
Il vento è calato ma il mare è ancora grosso, quindi ancora attesa. Lavoro un po’ al servizio sulla traversata dell’Atlas e poi faccio una lunga chiacchierata col mi fratello su skype occupando gran parte del tempo a parlare del Viottolo che è stato il fulcro delle noste conversazioni da quando ho lasciato l’Elba. La serata è tranquilla e anche il mare ora si è calmato domani inschallah dovrebbe essere la volta bona. 
   

Sabato 11 ottobre 2008 Bizerte – Tunisia

Image  I timbri di Madame Saida
Oggi il mare è veramente grosso è la classica grecalata che “pela” di quelle che dalla spiaggia di Campo vedi lo Scoglietto e il Giglio a “due piani”. Comincia a preoccuparmi la scadenza dei tre mesi del permesso di soggiorno in Tunisia che scade il 20 ottobre, per rinnovarlo la polizia dice che  bisogna uscire e poi rientrare nel paese (andare in nave a Palermo e ritornare), per fortuna ne parlo con Don Ciccio che intercede e mi fa accompagnare in caserma da “messié” un distinto tunisino che lavora come cassiere al ristorante, e si trova la soluzione, si va da Madame Saida la donna dei visti, una fiera signora con cui sono tutti molto ossequiosi, che ci prolunga il permesso di venti giorni, con l’unico impegno di tornare in caserma una settimana prima di lasciare la Tunisia per apporre i timbri.
   

Venerdi` 10 ottobre 2008 Bizerte – Tunisia

Image La festa è finita
E’ una gran grecalata e fa freddo, Bizerte finito il Ramadan è un altro posto, la maggior parte dei ristorantini e dei chioschi che erano chiusi ha riaperto e i bar sono tutti strapieni di uomini che stanno seduti per ore davanti a un bicchiere di caffè. Telefono a casa parlo con Babbo e gli racconto dei tanti europei che stanno arrivando a Bizerte con gruzzolo di euro spaventati dalla crisi delle borse e poi sento Nicol in grande forma e tutta eccitata per la scuola e le lezioni di danza. La Fine del Ramadan ha pero` sancito la fine del clima di festa serale e dopo le otto è quasi tutto chiuso tanto che sembra che ci sia il coprifuoco. 
   

Giovedi` 9 ottobre 2008 Bizerte – Tunisia

Image Gli mms di elbaeumberto.com
Infatti il tempo è bello ma il coltello dalla parte del manico ce l’ha lui, Kaled. I barcaioli sono una delle categorie più bugiarde che esista, sempre pronti a non partire causa condizioni meteo marine avverse trasmesse da bollettini dei naviganti che ascoltano solo loro.
Comunque cose da fare non ne mancano, c’è anche da configurare il telefonino nuovo che fa anche le foto in modo da poter inviare gli mms direttamente dentro il sito, è una novità importante che ci consentirà di aggiornare www.elbaeumberto.com quando non avremo la possibilità di andare ad internet, il viaggio tra poco tornerà ad essere più avventuroso e lo sarà sempre di più e penso che  sia un buon sistema anche se chiaramente il segnale non ci sarà sempre.
Il telefono non si configura perché è rotto, il negoziante che ce l’ha rifilato non lo vuole cambiare dicendo che in Tunisia non si cambia la merce pagata e che le garanzie qui non valgono, fra urli e minacce reciproche finiamo in caserma e esco con un cellulare nuovo di pacca e di qualità superiore, in realtà mi sono fatto forza della mia condizione di straniero.
Come temevo in serata entra grecale, domani non si parte di sicuro.