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San Giorgio, La Casa di Gesù e il panorama rubato
L’aria del primo mattino è fresca e dalla coltre di smog si intuisce una giornata di sole, ho voglia di rivedere il cosiddetto “Cairo Copto”che visitai molto fugacemente una decina di anni fa. Si va con la metro e si scende alla fermata di Mar Girgis (San Giorgio in Arabo), siamo proprio davanti alla  cittadella fortificata del Cairo Copto, è un Cairo diverso sorprendentemente silenzioso e tranquillo, l’ingresso della Cittadella è ingannevole, come si confà a un posto gestito da preti, c’è una grande porta vistosamente segnalata come ingresso che fa erroneamente pensare che questo sia l’unico modo per accedere. I Copti si sono divisi dal resto della chiesa per la questione della natura non solo divina ma anche umana di Gesù, ma sul sistema di fa quattrini mi sembra ci sia totale affinità  con la santa romana chiesa, infatti l’ingresso con la biglietteria, le immancabili guardie armate e le  indicazioni per il Museo Copto, è studiata in maniera da far sembrare l’intera cittadella un Museo, in realtà basta spostarsi di qualche decina di metri lungo le mura per trovare gli altri ingressi che naturalmente sono liberi e gratuiti. Vicino all’ingresso dei preti ci sono due torri restaurate che costituivano la porta occidentale della Babilonia d’Egitto, le torri furono costruite sotto Traiano nel 98 d.c. quando qui i romani costruirono la cittadella fortificata, il cui nome non ha niente a che  vedere con la mitica Babilonia, ma probabilmente a quanto si dice deriva dalla“storpiatura” latina di Per-Hapi-en-On l’antico nome egizio del porto che un tempo sorgeva in questo luogo. Entriamo nelle mura, abituati alla frenesia del Cairo qui dentro sembra disabitato, davanti a noi il monastero di San Giorgio la struttuta più imponente da cui si accede alla chiesa omonima passando per un corridoio dove sono esposte reliquie, icone e strumenti di tortura fra cui una ruota ricoperta di lame che evoca immagini di orrore che viene “venduta”  per quella che affettò San Giorgio, c’è anche la presunta lancia che infilzò il drago, ma soprattutto sono esposte  immagini del santo raffigurato sempre mentre uccide il drago.
Le fantastiche sciagurate avventure di San Giorgio
San Giorgio, che poi è il profeta mussulmano venerato con il nome di Mar Girgis, è in realtà una figura avvolta nel mistero, da secoli infatti gli studiosi cercano di stabilire chi veramente egli fosse, quando e dove sia vissuto. Le poche notizie pervenute sono nella “Passio Georgii” tra l’altro considerate opere apocrife e non riconosciute dalla Chiesa, sembra che sia stato martirizzato con altri cristiani a Lydda in Palestina, più o meno dove oggi si trova Tel Aviv, nel 303. Sembra che Giorgio sia nato in Cappadocia ed era figlio di un persiano di nome Geronzio e della Cappadocia  Policronia che gli inculcò il culto cristiano, divenuto adulto si arruolò come soldato nelle armate Romane di Diocleziano (243-313) e vi rimase fino a quando l’imperatore Diocleziano, con l’editto del 303, dette l’ordine di perseguitare i cristiani in tutto l’impero spingendo Giorgio a rinnegare la sua scelta di soldato. La leggenda racconta che il soldato strappò l’editto e regalò i suoi beni ai poveri e per questo venne arrestato, davanti al tribunale confessò la sua fede in Cristo e non volendoci rinunciare, fu torturato e incarcerato. Qui gli appare in sogno il suo Dio che gli predice dolore e sgomento per sette anni, comprese tre morti a altrettante resurrezioni. Il racconto diventa sempre più epico, fantasioso e sciagurato: con i suoi poteri vince il mago Atanasio che si converte e per questo viene ammazzato; Giorgio viene tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade ma resucita e fa convertire il suo mandante carnefice Anatolio e tutti i suoi soldati, che vengono a loro volta uccisi a fil di spada; Super Giorgio “converti e affetta” non si ferma più, entra in un tempio pagano e con un soffio abbatte gli idoli di pietra, poi converte anche l’imperatrice Alessandra che viene martirizzata, l’imperatore lo condanna alla decapitazione, ma Giorgio (che mi verebbe da chiamare Iettatore più che santo) fa incenerire l’imperatore ed i suoi settantadue dignitari e poi promette protezione a chi onorerà le sue reliquie ed infine ormai soddisfatto di tutto questo sfracello si lascia decapitare.
Si tanta spettacolare e sanguinolenta narrazione spopola (a confronto Guerre Stellari e il Signore degli Anelli so’ più pallosi del Giangregorio che spiega la villa di Agrippa a Pianosa) il successo è immediato e il martire diventa un mito da subito, tanto che i numerosi fans dopo pochi anni dalla sua morte costruiscono una basilica a Lydda sul luogo della decapitazione.
Dopo quasi un millennio il trovatore Wace (1170 ca.) e successivamente Jacopo da Varagine (1293) nella sua “Leggenda Aurea” arrichiscono la già spumeggiante sceneggiatura con una scena che  diventerà la più mitica di tutte e permetterà al glorioso moro “Mar Girgis”di  diventare una star di prima grandezza anche in Europa. Nel remake medioevale Giorgio detto “converti e affetta”  uccide un Drago, la cosa piace a bestia tutti i più famosi artisti lo vogliono disegnare mentre inciccia il mostro, le sue immagini moltiplicano nelle chiese di tutt’Europa e i suoi fan club si diffondono in tutto il continente europeo e nelle isole britanniche dove trova i tifosi più affezionati.
La storia del drago è assai appassionante, ci racconta che nel lago vicino alla città Libica di Silene viveva un drago che ogni tanto usciva dall’acqua e andava in giro per il centro abitato uccidendo a fiatate tutte le persone che incontrava. I disgraziati dei Sileni per tenerlo bono ogni giorno gli  portavano due pecore, ma poi le pecore cominciavano a scarseggiare e furono costretti a cambiare  il menù al drago offrendogli pecora e un giovane tirato a sorte. Un giorno fu estratta la figlia del re,  il quale per evitare la sventura cercò di fare una lotteria offrendo al popolo il suo patrimonio e metà del regno, ma la gente si ribellò, (e qui si capisce che è un racconto fantastico) avendo già visto morire tanti suoi figli e dopo otto giorni di tentativi vani il re si arrese alla volontà popolare e alla giovane principessa toccò avviarsi verso lago. Ma proprio in quel frangente passò di lì il giovane cavaliere Giorgio, che una volta capita la situazione si mise all’opera per salvare la nobile pulzella  e quando il drago uscì dalle acque sprizzando fuoco e fumo pestifero dalle narici, Giorgio non si spaventò, salì a cavallo e affrontandolo lo trafisse con la lancia, facendolo stramazzare a terra. Poi disse alla fanciulla di non avere paura e di avvolgere la sua cintura al collo del drago; una volta fatto ciò, il drago la seguì bono bono fino alla città. Gli abitanti erano terrorizzati, Giorgio li rassicurò: ”Non abbiate timore, Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago. Abbracciate la fede in Cristo, ricevete il battesimo e ucciderò il mostro”. Il re e la popolazione si convertirono e il prode cavaliere uccise il drago.
Era il tempo delle crociate e per dare vigore all’impresa militare serviva un mito di un guerriero cristiano e il martire Giorgio, ormai cavaliere dopo l’impresa del drago, era un meraviglioso santo guerriero e anche il drago era perfetto per la propaganda in quanto simboleggiava splendidamente la sconfitta dell’islam.
Da Riccardo Cuor di Leone, San Giorgio venne invocato come protettore di tutti i combattenti e successivamente nel 1348, re Edoardo III istituì l’ordine dei cavalieri di San Giorgio e il famoso grido di battaglia  “Saint George for England”. Il mito crebbe così tanto che sfuggì anche al controllo della chiesa, tanto che Giorgio veniva invocato dai contadini dell’est Europa per  sconfiggere il gelo dell’inverno.
Tutto questo “cinema” di guerra è stato costruito sulla storia presunta di un uomo vissuto tanto tempo fa, che probabilmente voleva solo smettere di fare il soldato e per questo venne ucciso. Un lavoro “mediatico” che ha attraversato un paio di millenni lo ha trasformato in un simbolo guerriero e in un grido di morte che, nella doppia versione di San Giorgio e Mar Girgis, durante le crociate veniva invocato da entrambi i contendenti come protettore della giusta causa.
Il Cairo Copto
Un fedele particolarmente devoto nell’impeto di baciare una tetra reliquia mi da una spallata e mi riporta nel presente. Si entra nella basilica di San Giorgio, è una chiesa recente che ha un centinaio di anni ed è la più grande del quartiere, ma rimane comunque molto piccola, se confrontata alle chiese italiche è praticamente un cilindro coperto da una cupola con al centro del pavimento  un altare dove il prete seminascosto dietro una specie di paravento, faccia all’altare e spalle alla gente (molto poca) recita le sue liturgie a braccia alzate; mentre al di qua della barriera una rinsecchita donna pia canta ripetitive litanie al microfono. Oltre alla mummificata canterina ci sono altre fedeli, le donne di chiesa sono tutte uguali, sempre con sorriso impostato sul “come sono buona e felice” la cofana grigia e il vestito triste e l’immancabile occhiata sgusciante giudicante e luciferina.
Lasciamo la cerimonia che raggiugerà il suo apice fra qualche ora e ci incamminiamo per i vicoli, la Cittadella è un dedalo di vialetti ombreggiati, uno porta dentro al cimitero ortodosso, che con le sue cappelle bianche di calce mi ricorda il cimitero di Ponza. Le tombe con le foto, le cappelle familiari, statuette, angeli e citazioni, è un luogo di ricordo a differenza di un cimitero islamico drammaticamente scarno e senza memoria alcuna dei suoi occupanti, che ti ribadisce ancora, come se i tanti predicatori non te lo dicessero abbastanza, che l’uomo è niente. Qui ti incuriosisci e ti immagini la vita, la personalità e le avventure di questi personaggi impressi dentro foto sbiadite,
il pancione elegante dal cognome italiano, il sorriso da mercante del baffone greco, la donna elegante me la immagino cantante, tanti sono gli spunti per agganciarci dei ragionamenti, dal vestito, dal sorriso o dallo sguardo cupo, dal sepolcro lineare, alla tomba barocca. Anche la semplice data di nascita e morte ti racconta, ti immagini l’epoca coloniale, la belle epoque, la seconda guerra mondiale, l’Egitto di Nasser, l’inverno, l’estate e il segno zodiacale, mi viene da pensare che al Foscolo in un cimitero Mussulmano i sepolcri non gli sarebbero mai venuti. Dimessi in un angolo tre custodi dall’aria annoiata si stanno preparando il the, chissà quanto e in che maniera frequentano i loro pensieri le storie delle centinaia di persone che riposano qui per l’eternità, sicuramente ora non vogliono l’interferenza del mio sguardo estraneo. Appena fuori dal campo santo si incontra la chiesa della sacra famiglia dall’aspetto moderno e insignicante ma che in realtà all’interno nasconde la chiesa più antica d’Egitto che sembra risalire al terzo secolo, ma soprattutto dal un punto di vista storico religioso, questo per i cristiani è un luogo assai evocativo ed importante, infatti la chiesetta è costruita sopra la grotta che si dice ospitò Gesù, Giuseppe e Maria durante il loro soggiorno in Egitto a seguito della  strage degli innocenti ordinata da Erode. La cripta è costruita dentro la grotta e adornata con quadri che raccontano della fuga e del soggiono, c’è anche una Maria gioiosa che allatta, la madonna con il seno scoperto l’avevo vista solo nelle chiese del sudamerica e da un tocco di leggerezza e umanità a tutte le enfatiche vicende epico religiose di cui è impregnato questo quartiere fortificato. Per raggiungere gli altri edifici visitabili si esce dalle mura e si rientra da una porta più a sud vicino a una grande lapide azzurra di ceramica con delle scritte bianche in greco e arabo. Arriviamo al Convento di San Giorgio, il convento è chiuso ma si scende nel sottosuolo dove c’è un grande stanzone disadorno in fondo al quale, da un grande portone di legno si accede alla sala delle torture dove ho letto che i fedeli copti si martorizzano in memoria del mitico Giorgio. Ci sono un po’ di persone quasi tutti giovani, c’è anche un gruppo di ragazze mussulmane in gita a studiare i riti dei copti. Mi levo le scarpe e entro, in realtà è una cerimonia molto pacata e pacifica, la gente si gira intorno alla vita una catena di ferro, la bacia e la riattacca al chiodo, qui tutto simboleggia il martirio di San Giorgio è tutto un baciare strumenti di tortura e icone. Questi riti di devozione mi hanno sempre perplesso, sopratutto ‘sti baciamenti, da bimbo il tredici dicembre mi piaceva andare in visita alla chiesa Pilese di Santa Lucia perché quella era anche la festa della comunità Bonalaccese e mi garbava sentirmi parte di una tradizione antica, però mi faceva schifo e non ho mai voluto baciare la croce su cui tutti ambivano poggiare la bocca e che il prete ripuliva con il solito fazzoletto all’infinito, tanto che alla fine su quel cencio e su quella croce c’era  la somma di tutta la bava dei Pilesi, dei Bonalaccesi e Filettesi e della gente de li Marmi e di Sant’Ilario e tutte le volte che mi trovavo nella calca della gente che spingeva per baciare il reliquario avevo il terrore che qualche zia spinta da fervore mistico mi prendesse in collo e mi spingesse contro quel coso sbavato.
Tornati in superficie un vicolo ci porta davanti ad una postazione di soldati armati con tanto di metal detector, ci controllano accuratamente lo zaino e poi ci fanno passare, siamo nella Sinagoga di Ben Ezra la più antica dell’Egitto, si dice che risalga al tempo di Geremia che qui radunò la gente di Gerusalemme dopo la distruzione della città e del tempio da parte di Nabucodonosor nel 586 avanti cristo (la stessa origine che rivendicava la Sinagoga di El- Ghirba a Jerba) l’edificio non trasmette nessuna emozione che possa farlo riallacciare ad un passato tanto lontano. Uscendo proprio di rimpetto la chiesa di  Santa (Sitt) Barbara, altra sciagurata martire, anche qui è in corso la messa, la chiesina è divisa in due settori da una parte gli uomini e dall’altra le donne, mentre i sacerdoti dietro i paraventi recitano litanie e spargono incensi. Esco dalla calca ordinata della piccola chiesa e dopo poche decine di metri mi ritrovo in un'altra chiesina, quella di San Sergio (Abu Serga) anche questa si dice costruita sopra la grotta che ospito Gesù e non c’è da stupirsi del fatto che poco fa ero dentro una cripta con la stessa storia, qui si sta parlando di luoghi frequentati da divinità e personaggi sovrannaturali, del resto anche Santa Barbara (che è proprio quella di Rio Marina e dei Pompieri) è stata decapitata lo stesso giorno (4 dicembre del 306) dal su’ babbo sia qui che a Scandriglia in provincia di Rieti e Dioscuro (nome perfetto per un Pagano) dopo aver scapato la figlia venne prontamente fulminato sia qui che in centroitalia.
Fra il tintinnio dei campanelli e le nuvole di incenso c’è comunque un clima assai rilassato e gioioso, niente a che vedere con le prediche incazzose dei muezzin. Seguendo il brusio litanioso dei fedeli, per ultima trovo la famosa Chiesa Sospesa, oggi ci sono solo queste chiese in attività ma mi immagino come doveva essere in passato quando le chiese in questa cittadella erano più di venti. La Chiesa Sospesa è costruita sopra l’acqua e poggia su pilastri risalenti al porto della Babilonia Romana e da una finestra sul pavimento si vede l’acqua sotto, questa è la chiesa principale dove    c’è  il prelato di grado più alto che tutto nero e col barbone bianco esplica la funzione in compagnia di altri quattro o cinque religiosi. Siamo arrivati alla fine del rito che è durato tutta la mattinata e mi prendo anche una schizzata di acqua santa, poi finiti i canti arriva un pretone con un cesto di pane che lo spezza a tocchi e lo distribuisce a donne e uomini, la gente mangia il pane benedetto e fa il giro della chiesa baciando le tante icone. Nel cortile interno alla chiesa si vendono immagini e libretti che hanno per protagonisti i vari Pope, attualmente a capo della chiesa Copta c’è Shenuda III ma le immagini che mi copiscono di più sono quelle del suo predecessore Cirillo VI che ha una sguardo magnetico e anche un po’ inquietante. Naturalmente fanno bella mostra le gigantografie con i pope amichevolmente assieme ai vari capi di stato Egiziani, da re Farouk a Nasser, Sadat fino all’attuale presidente Mubarak, a testimoniare i buoni rapporti del clero Copto con il governo egiziano. Uscendo si passa da un vicolo souk, siamo nel cuore della cristianità egiziana ma nei suoi bazar si vende di tutto, dagli dei pagani ai cd coranici e naturalmente anche qui i tutankammon di plastica dorata la fanno da padrone.
Il Nilo
Dopo questa lunga mattinata chiesaiola ci spostiamo verso il Nilo. Ritroviamo il traffico assordante e pericoloso, il lungo Nilo è relativamente tranquillo, c’è un largo marciapiede e lungo le zone banchinate ci sono tante grandi feluche attrezzate per portare i turisti. Qui è impossibile trovare una barca per risalire il fiume come lo intendo io, è tutto in funzione dei turisti, ma credo che verso Rosetta dove il Nilo sfocia nel Mediterraneo, riuscirò a trovare una barchetta come cerco, per il momento però ci sono altre priorità, innanzi tutto sistemare l’attrezzatura fotografica e poi visitare al meglio l’Egitto, una volta iniziata la risalita del Nilo non ci sarà tempo di fare troppe soste, meglio vedere prima tutto quello che riusciamo. Il fiume è grande e incute rispetto, è ricco di corrente che fa formare gorghi e piccole onde, l’acqua è verde marrone e specialmente in questo tratto deve essere un concentrato di inquinamento, è comunque un fiume in gran parte blindato ed è difficile osservarne il corso, per avere una bella panoramica del fiume la soluzione è salire in alto. In lontananza si staglia il grattacielo di un grande albergo con un disco in alto che dovrebbe essere un ristorante girevole, Serena mi convince a provare a salire, passiamo senza problemi i vari controlli e una volta dentro si prende un ascensore razzo che in un attimo ci porta quasi in vetta, dove c’è un gran terrazzone, si avvicina un cameriere a cinque stelle di quelli in alta uniforme, spacciandomi per cliente chiedo se si può salire in alto, mi guarda un po’ perplesso ma poi ci fa salire nel ristorante girevole che ora è chiuso. La vista sul fiume è spettacolare, l’isola di Zamalek e tutta la città che si spenge nel deserto, la cosa più magica sono le grandi Piramidi di Giza, che da qui si ammirano in tutta la loro maestosità, mentre in sottofondo la voce di Whitney Winehouse da un ulteriore tocco di magia. Nel frattempo il guardiano comincia a chiedere se si vuole prende qualcosa da bere, do una sbirciata al menù dove un antipasto ha il prezzo di quaranta minestre, il barista comincia a essere agitato ma lo fregamo scendendo con l’ascensore razzo. Siamo entrati in una specie di cittadella per turisti ricchi, c’è anche l’hard rock cafè con esposte le icone di Madonna, Cindy Lauper e simili. Ritornando verso la zona del museo archeologico si rincontra l’Egitto “miseria e sgomento” il confine è segnato dalla postazione militare con i soldati assonnati che se ne stanno all’ombra di un sicomoro con il mento appoggiato sulla canna del fucile e il pane dentro l’elmetto attaccato al chiodo della garitta.
Entriamo nei giardini del Museo Egizio intruppandosi fra le file dei turisti, qui ci sono ammucchiate decine di opere spettacolari risalenti al tempo dei Faraoni che non hanno trovato spazio dentro l’edificio. L’incuria delle opere antiche è una costante in questo paese e anche questa che dovrebbe essere la presentazione di tutto il patrimonio archeologico del paese non fa eccezione, i sarcofaghi sono pieni di spazzatura e le guardie e gli inservienti li usano continuamente come pattumiere. Mi sento estraneo come non mai, distante dai turisti, mezzi nudi frenetici e intruppati, e dagli egiziani abulici e disinteressati a tutto quello che non è money o Allah.
I militari con le baionette inserite fanno al guardia con fare ottuso e aggressivo e appena ti sposti dalla zona della facciata si agitano, vorrei sbirciare negli ingressi secondari e dai finestroni dei famosi seminterrati ma desisto. A fianco dell’ingresso del museo c’è una biblioteca, un cartello dice che l’ingresso è libero, il guardiano prova a buttarmi fuori con le solite scuse, insisto e interviene il il bibliotecario piccolino, isterico e acido, indispettito perché sono voluto entrare nel suo regno, ci sono centinaia di libri giganti scritti dai francesi nell’ottocento al tempo di Auguste Mariette, il mitico fondatore del Service des Antiquitès Egyptyennes e tanti altri testi, ci sarebbe anche una grande sala di lettura e delle mappe interessanti  ma è tutto interdetto e i libri si possono solo guardare da dentro le vetrine, c’è anche una scala a chiocciola che sale dentro il museo, deluso per non poter vedere niente gironzolo un po’ e poi per la gioia del bibliotecaro esco. È ormai tardo pomeriggio e fa freddo, il solito caos e le solite preghiere sui marciapiedi, poi finalmente in serata    da Heliopolis arriva la chiamata tanto attesa: la  macchina fotografica è riparata, una corsa nel traffico e si ritira l’apparecchio, sono contento me la sono cavata con 500 pound. Domani si va ad Abu Sir. 

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