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I rifornimenti ai posti di blocco Sahariani
Dormono tutti al fonduk, si caricano gli zaini sul cassone insieme alla pala, le tavole anti insabbiamento, la tanica del carburante, un po’ di legna e le immancabili coperte. Apro la stanza dove dorme l’autista, mi sembra che non ci sia nessuno, poi guardo meglio e il tappeto arrotolato in fondo ha due appendici che sono i piedi del driver, arriva Grraziaa!!! anche lui autista ma da buon Siwano solo per giri a corto raggio, stamani è stranamente pimpante e con la sua classica espressione da fulminato allegro entra nella camerata del collega Beduino gli urla qualcosa e lo sveglia. Tempo un quarto d’ora si parte, per prima cosa andiamo a prendere un Siwano a casa sua che si piazza nel cassone e si mette a dormire, poi si va dalla polizia per fare i permessi, i militari ci consegnano un grande sacco e uno scatolone di cartone pieno di viveri. Lasciata la caserma si parte alla volta del palmeto a fare un po’ di legna per il the, la ricerca è lunga e sembra infruttuosa, solo qualche steccolino, ma poi l’autiere si stufa di raccattare bricioli, prende un lungo ramo secco di olivo e lo carica nel cassone. Si parte passando dalla via per Dakrur incontrando tanti bimbi che stanno andando a scuola, un ultimo sguardo alla montagna dei fantasmi e poi si imbocca la strada che taglia la laguna, la via asfaltata prosegue costeggiando il lago di Zaytun fino al primo posto di blocco della polizia, quello che martedì era il limite invalicabile e che si può varcare solo con il permesso speciale rilasciato dai militari. Consegnamo un po’ di viveri del sacco, Mustafa da dietro lo schienale del sedile tira fuori anche un po’ di pane e lo regala ai poliziotti che contraccambiano regalandoci due rametti di basilico, un soldato con un cencio in capo si tuffa sui viveri mentre un paio di altre guardie spostano i fusti vuoti che ostruiscono la carreggiata e si inizia la traversata del deserto. È da subito un ambiente totalmente arido, pochi chilometri e la strada diventa pista, ci insabbiamo un paio di volte, pala, tavole sotto le ruote e via, nella prima ora di chilometri ne facciamo davvero pochi, la pista sabbiosa si alterna all’asfalto della strada in costruzione, che una volta ultimata collegherà l’oasi di Siwa a quella di Bahariyya. La strada principale è circondata da lingue di asfalto steso senza massicciata per permettere ai mezzi di avanzare, c’è anche un  impressionante frantoio per macinare la pietra nel deserto e fare la breccia, i cantieri sbucano dal nulla e la gente vive dentro baracche arroventate, le dune invadono spesso i tratti già ultimati di carreggiata e le piste laterali di servizio si deformano, spesso risultano impraticabili, sono diversi anni che stanno lavorando a questa strada nel tentativo di asflatare il deserto, l’impresa da qui appare titanica e anche i mezzi meccanici per quando enormi sembrano poca cosa al cospetto della potenza e della dimensione del deserto. Arriviamo al secondo posto di polizia, una baracchina sgarrupata coi pannelli solari per fornire l’energia elettrica, solita distribuzione di viveri ai militari nelle cui facce abuliche è dipinto l’isolamento. Lasciata la postazione di controllo si avanza cercando una deviazione sul lato sinistro della strada per raggiungere come concordato un importante sito, trovato l’imbocco procediamo per una pista disegnata dentro una depressione bianca fino ad arrivare a vedere una montagnola candida che si eleva precedendo una sottostante pianura dove spiccano alcune palme, sullo sfondo la vegetazione si fa più fitta e si ha la percezione di uno specchio d’acqua, il posto è molto bello ed è anche un importante sito archeologico in cui si trovano numerose sepolture che dovrebbero risalire al periodo Romano, ma Mustafa ha furia e dà segni di insofferenza anche nel vedermi fare le foto. Il terreno è disseminato di piccoli dischi sottili di roccia grigia a forma di moneta, una volta ripartiti il beduino si rilassa, ritorniamo sulla strada principale e si prosegue verso oriente, gli unici mezzi che si incontrano sono quelli che lavorano al cantiere stradale, il caldo comincia a diventare pesante e la caligine disegna confini indefiniti sull’orizzonte, si cominciano a vedere anche delle grandi dune in lontananza, hanno colori più sbiaditi rispetto a quelle Libiche, si viaggia a una media di cinquanta chilometri all’ora, forse meno, avanzando per lo più sulla massicciata del futuro stradone. Per raggiungere il terzo posto di polizia si fa una deviazione di qualche centinaio di metri per arrivare alla postazione baracca che man mano che si entra nella profondità del deserto diventa sempre più fatiscente. Per farsi scorgere dai “guardiani” Mustafa deve suonare più volte, poi un ragazzino assonnato fa capolino e di seguito altri tre, attratti soprattutto da Serena che guardano come fosse un miraggio, solita distribuzione di viveri e si riparte. La monotonia della pista si interrompe quando la pista si incunea in una depressione da cui si elevano tante montagnole scure che si innalzano dal bianco come ruderi di gigantesche piramidi, è un paesaggio estremamente suggestivo con la strada che si infila sinuosa fra le gibbosità, le montagnole hanno i fianchi erosi tanto da creare delle sagome da grandi funghi, sotto una di queste un gruppo trasportato da un paio di fuoristrada si è fermato a fare la pausa pranzo. Poco dopo anche noi ci fermiamo sotto un grande panettone di roccia, per i beduini la sosta pranzo è un rito irrinunciabile, si sveglia anche il Siwano e comincia a spezzettare la legna per fare il fuoco. Approfittando della sosta saliamo sul più alto di questi cocuzzoli, il panorama è bello e surreale, scende verso sud nella depressione di Bahrein, siamo a circa centoquaranta chilometri da Siwa, qui un tempo c’era  una rigogliosa oasi, oggi c’è solo un po’ di verde e qualche cespuglio sofferto di palme, poi la grande conca che da l’illusione di essere ricoperta d’acqua si spenge  indefinita nelle grandi dune del mare di sabbia. Ormai è poco più di una chiazza di sterpaglia in mezzo al niente, ma fino a pochi decenni fa era un’irrinunciabile tappa intermedia per le carovane che da Siwa avanzavano verso l’oasi Bahariyya. Bahrein è balzata all’attenzione delle cronache archeologiche nel 2003, quando un gruppo di italiani ha portato alla luce un importante tempio risalente al Periodo Faraonico, il santuario era dedicato ad Amon e fu costruito per volere del Faraone Nactnanebo I (380 – 360 a.c.) Il luogo del ritrovamento dovrebbe trovarsi ad una cinquantina di chilometri da qui ed è improponibile chiedere a Mustafa di raggiungerlo, anche perché non essendo pista battuta sarebbe necessario un fuoristrada, il rimpianto di non poter raggiungere i resti del tempio è mitigato dal fatto che i blocchi superstiti del tempio ancora ricchi di pigmenti colorati sono stati trasportati a Marsa Matruh in un deposito della sovrintendenza archeologica in attesa di restauro. A quanto affermano gli archeologi la maggior parte dei blocchi del tempio fu distrutta nei primi secoli dopo cristo, quando i blocchi di calcare vennero smantellati e cotti nelle fornaci per fare la calce. Il mutare delle rotte commerciali e probabilmente anche il peggiorare delle condizioni climatiche, portarono gli abitanti ad abbandonare l’oasi intorno al quinto secolo e da allora Bahrein non è più stata abitata stanzialmente.
Ci sono fossili ovunque, conchiglie e coralli e migliaia di piccoli dischi grigi che sembrano monete,
il suolo è formato da calcare bianco e basta smuovere la superficie e tutto calcare del terreno per trovare una polvere bianchissima di gesso, tutto originato dai sedimenti organici depositatasi sul fondo di quello che un centinaio di milioni di anni fa era un mare, un anticipo del famoso Deserto Bianco che dovremmo visitare nei prossimi giorni.
Tornati al “campo base” si mangia e si chiacchera, la classica conversazione essenziale “io Beduino lui Siwi, io arab” “io no arab io Siwi different, different language” “questo in Siwi si chiama… in Arabo…. in Italiano…” e via elencando pane, pomodori, formaggio, peperoni, conchiglie, lucertole e mosche e ognuno mentre enuncia il suo idioma si dimentica quello dell’altro. Immancabile rito del the e si riparte, qualche decina di chilometri e si arriva al quarto controllo di polizia, è più grande degli altri, ci sono tanti cani, gli unici che si accorgono del nostro arrivo, in una delle baracche i soldati sbracati sulle brande rimangono immobili anestezzati dalla calura, in questo sorprendere i guardiani mi sembra di rivedere la motovedetta che porta i viveri a Montecristo, lasciamo altri viveri e si riparte, la scena si ripete più volte, ogni volta si devia e si suona per svegliare i militi, per quanto atteso il pik up con il convio coglie sempre impreparati, persi nell’ozio forzato di queste postazioni di controllo sperdute e lontane anche dall’unica strada da dove normalmente non passa nessuno. La via continua a scendere dentro una depressione che sembra non finire mai circondata dai paesaggi surreali di queste lande aride sotto il livello del mare, la discesa si interrompe in un inaspettato lago dove si sviluppa un grande e rigoglioso canneto che con i suoi colori vivi ci rammenta che sotto questa apparentemente infinita distesa di arsura sterile, si trova una delle più grandi riserve di acqua dolce del pianeta. Si procede spediti, Mustafa guida con aria annoiata tenendo la testa inclinata e gli occhi semichiusi con lo sguardo fisso sull’orrizonte, la monocromia alienante del paesaggio abbiocca aiutata dalla calura, guardando nello specchietto retrovisore la strada sembra evaporare dopo il nostro passaggio, poi come fosse un miraggio appare una macchia arancione  indefinita, all’inizio sembra un’illusione di vapore, ma poi prende velocemente la forma di un camion che poderoso avanza e ci raggiunge, mentre ci affianca ci si scambia i saluti, proprio come quando si incontra una barca in mare aperto. Ogni tanto la pista viene invasa dalla sabbia, per tre o quattro volte Mustafa con abilità se la cava per un pelo, ma poi la rena prende il sopravvento e ci  piantiamo. Spalando e mettendo le tavole sotto le ruote si acquista poco e il pikup ogni volta affonda di più fino a che non si insabbia anche il telaio e si pianta definitivamente. Il posto è favoloso e l’idea di passare la notte qui mi alletta, soprattutto per la vicinanza alla dune, dopo una mezz’oretta  arrivano due fuoristrada per turisti senza passeggeri e dopo un’ora di manovre varie e tentativi falliti si supera l’ostacolo e si riparte, peccato perché sarebbe stato stato un posto bello per bivaccare. Ancora un po’ di passaggi critici con accumuli di sabbia sulla via, poi Mustafa dice “finish after no problem”, il paesaggio diventa sempre più bello con le dune alte a poca distanza che cominciano a prendere forma più definite con l’abbassarsi del sole, entriamo in una pianeggiante distesa bianca e poi ancora dune e forme surreali. Altro posto di blocco dove i protagonisti sono un cucciolo di cane e un uccellino giallo con cui gioca. I paesaggi diventano sempre più belli e si miscelamo con i miraggi che si inghiottono la strada, al tramonto raggiungiamo un altro posto di blocco e poi si scende ancora nella depressione, arriviamo all’ultimo posto di blocco che si iniziano a vedere le luci di Bahariyya. In perfetto stile beduino Mustafa guida a fari spenti, ma la via è ben visile perché illuminata dalle tante stelle, con il ponere del sole c’è stato un cambio drastico di temperatura e ora complici anche gli spifferi fa veramente freddo, sono circa le dieci quando si entra dentro Bawiti il paese principale dell’oasi, dopo l’ultimo controllo nella caserma del paese finalmente il nostro autista ci consegna i passaporti custoditi segretamente sotto il tappetino della pedaliera del guidatore.
È un brusco risveglio, siamo tornati in Egitto, siamo assaltati da una nuvola di persone che si fiondano addosso come le zecche cercando di accaparrarsi le prede europee, manca la magia di Siwa. Circondati da questo flusso epilettico di “amici” ci spostiamo seguendo un cartello di un hotel “no, no lì troppo caro!” ma finalmente si dileguano. Si tratta e ci si piazza.
Arrivando ho visto dei fuoristrada con le targhe dell’organizzazione del Rally dei Faraoni la cosa mi incuriosisce e vado a cercare un internet per saperne di più.
A differenza di Siwa, internet qui è lento e va collegato al telefono, ma dal web una gradita sorpresa, le modifiche al sito grazie a Miki sono on line, le notizie del giorno sono: vince la Brown al debutto e la Ferrari fa schifo, segna Pazzini il sampdoriano e Berlusconi si autocelebra al congresso di fondazione del popolo …  il rally dei Pharaoni passerà di qui però a settembre.  

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