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La Palestra

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Arco di Antonino

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I Templi di Giove Giunone e Minerva

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Dentro l`oued

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Oued Essaboun

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La Ferrovia

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Oued El Kebir

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Tozeur

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Chott el Jerid

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Lastre di sale

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Giochi di sale

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“Passano ancora lenti i treni per Tozeur”
Sbeitla, lo Oued el Kebir e il Chott el-Jerid
Mi sveglio che è già giorno, il cielo è sereno e regna il silenzio, la luce è molto bella e la pioggia che ha lavato tutto fa risaltare le pietre dei monumenti che brillano nel primo sole del mattino. Non c’è ancora nessuno, poi arriva l’addetto ai bigletti e si entra nella città. Camminiamo su un largo vialone lastricato che conduce alle grandi terme con annesse palestre, in alcuni tratti i pavimenti sono crollati e si vede benissimo il sistema di riscaldamento mentre dove i solai sono integri i pavimenti a mosaico sono bellissimi perché lavati e resi brillanti dalla pioggia. Come in tutte le città romane anche qui ci sono le scanalature per le porte a scorrere dei negozi e i pipi ritti di pietra che indicavano la via per raggiungere i lupanari. Come Bulla Regia e Dougga anche Sefetula fu costruita dai romani su una preesistente città Numida intorno al primo secolo e raggiunse il massimo dello splendore circa un secolo dopo, doveva la sua ricchezza alla campagna fertile ed era famosa soprattutto per la produzione dell’olio come testimoniamo anche i resti dei tanti frantoi, pero` a differenza di Dougga, rimase un centro molto importante anche sotto i Bizantini che ne fecero la città più importante della regione e la fortificarono per contrastare le ribellioni dei berberi. Nel 651 il prefetto Gregorio rese la città indipendente da Costantinopoli ma dopo pochi mesi il nuovo stato fu sconfitto dagli arabi che ne decretarono il declino.
Lasciate alle spalle le terme ci troviamo davanti il teatro che è molto grande pero` più che restaurato sembra ricostruito e stona con tutto il resto, il vialone principale ci porta davanti alla porta di Antonino, è uno dei monumenti più antichi della città risale a quanto pare al 139, un grande triplice arco dedicato a Antonino Pio e ai figli adottivi Marco Aurelio e Lucio Vero, dall’arco si entra nel grande foro tutto circondato da colonne e il magnifico Campidoglio reso ancora più bello dalle nuvole che sono spuntate alle sue spalle, come sempre il tempio di Giove al centro e quelli di Giunone e Minerva che qui ancora di più che negli altri siti visitati regalano una visione d’insieme di grandiosità e armonia. Quello del foro è uno spazio enorme costruito per accogliere centinaia di persone, stamani qui c’è sentore di magia con le pietre bagnate che luccicano al sole, è tutto cosi` maestoso e irreale, non c’è nessuno in questo monumentale e immobile silenzio. Spostandosi appena fuori si incontrano tre basiliche Bizantine costruite su preesistenti templi, la più grande è la chiesa di San Severio, la più bella è la basilica di SanVitale che fu costruita nel sesto secolo nel cui perimetro di mura si trovano tre fonti battesimali rivestite a mosaico perfettamente conservate, una con disegni di pesci che sembrano nuotare nell’acqua rimasta sul fondo per la pioggia, una tutta bianca e per ultima la più bella con richiami floreali che sembra una jacuzzi gigante tutta morbida con le tesserine piccole che ne rivestono le sinuosità.
Il sito è molto esteso e ricco di ville e templi, camminando verso nord ovest si incontrano i resti dell’immancabile arco dedicato a Settimio Severo, più avanti un grande anfiteatro ancora da scavare e poi il grande ponte che attraversa ancora il fiume Sbeitla, proseguo lungo il fiume che anche qui porta i segni del nubifragio notturno e poi poco prima dell’uscita il grandioso Arco di Diocleziano, ci sono dei giardini ricchi di fiori belli e un gruppo di giardinieri a chiacchera che quando ci vedono passare fanno finta di zappettare per poi fermarsi subito dopo.  
Ho una gran voglia di vedere  la zona del nubifragio e ripartiamo con l’intento di fare la strada di ieri fino a Douz, i fiumi sono di nuovo secchi qui la piena è come un treno che passa ma l’acqua ha scavato delle voragini impressionanti. Il paesaggio è caratterizzato da infinite distese di pittai, è completamente un altro posto rispetto a ieri, l’acqua nei fiumi e nei campi è scomparsa, è rimasto solo fango e tante voragini nel terreno. Arriviamo a Feriana anche lei irriconoscibile, il fiume è secco, ieri notte mi sembrava di vedere un treno ma non ero sicuro, il treno c’era e anche la stazione, la ferrovia è ricoperta di fango e sterpaglia strappate, mi fermo e faccio quatto passi nel letto del fiume, ieri sera l’acqua aveva almeno quattro metri di altezza. La vita scorre lenta e tranquilla come se non fosse successo niente, i pollai, che da queste parti sono minuscoli, raggiungono le dimensioni minime viste finora, sono infatti ricavati da vecchie botti di carburante.
Lungo la strada ci sono tanti distributori di benzina, niente a che vedere con quelli che siamo abituati a definire tali, sono dei banchini con taniche e bottiglie di varia capacità piene di benzina, miscela o gasolio, si va dalla bottiglietta da mezzo litro alla tanica da 25 litri e i prezzi sono chiaramente più bassi rispetto ai “distributori occidentali”.  
La strada è piena di tronchi e fango, finalmente vediamo cosa erano le misteriose luci della Steg, che chissà perché me la immaginavo come un immenso asadero argentino, è in realtà una centrale elettrica che pero` si pronuncia coma la bistecca dell’americani, è più o meno l’equivalente dell’Enel da noi. Passiamo sopra il ponte sul Oued Essaboun che ormai è diventato un torrentello ma anche qui le tracce della piena sono impressionanti, poco dopo un poliziotto ci mette in guardia sui pericoli della via e sulla possibilità che la guardia nazionale ci rimandi indietro, proseguiamo e dopo poco incontriamo il gasdotto transtunisino che porta il gas dall’Algeria alla Sicilia, ne avevamo visto la stazione di pompaggio sulla costa a nord di Kelibia i primi di settembre prima che la condotta diventi sottomarina.    
Il paesaggio è arido e la strada per una trentina di chilometri fiancheggia la ferrovia, proprio quella cantata da Battiato dove “passano ancora lenti i treni per Tozeur” la strada ferrata avanza a volte sopraelevata su piccoli ponticelli, a volte dentro gole strettissime con i binari stretti stretti che sembrano quelli di un trenino elettrico, è tutto molto cinematografico potrebbe essere il set di Lawrence d’Arabia o quello di un film western di Sergio Leone.
Un gruppo di camper olandesi che ci precedeva di poco sta tornando indietro, ci fanno segno che la strada è impraticabile, proseguiamo e dopo poco incontriamo lo Oued el Kebir (Il grande fiume). I segni della piena di ieri sono impressionanti, l‘acqua si è portata via un pezzo di strada e il fiume ha allargato l’ampiezza e la profondità del suo letto, ora la situazione è più tranquilla ma c’è sempre tanta acqua sopra il livello della via, la maggior parte di quelli che provano a passare ce la fa, quando qualcuno rimane in mezzo (uno su dieci) interviene un trattore con un gancio che tira fuori dai guai. La polizia controlla mentre fra gli automobilisti su entrambi i lati c’è chi prova e chi aspetta che l’acqua abbassi ancora di livello. Arriva il nostro turno e passiamo senza problemi.
Il paesaggio sta diventando sempre più desertico, aumenta il caldo e la vegetazione si riduce a qualche cespuglio, a pochi chilometri da Gafsa c’è un pozzo a bordo strada dove fanno la fila trainati dagli asini e guidati da bimbi i carretti con le botti, Il panorama è bello con le montagne scure che fanno da sfondo alle palme di Gafsa (l’antica Capsa dei romani) ma la città è fatta di palazzoni e caserme e c’è tanto traffico. Tiro dritto per Tozeur, ormai è deserto, non quello di sabbia ma terreno roccioso con qualche sterpaglia, con le montagne sullo fondo e un cielo allegro azzurro con le nuvole bianche e pancione, ritroviamo anche la ferrovia che fiancheggia nuovamente la strada, incontriamo un altro oued in piena che si è mangiato una strada e poi Tozeur dove finisce la ferrovia e finalmente incontriamo il treno. Tozeur è molto turistica me la facevo più esotica e fuori dal tempo, è più bella cantata da Battiato che dal vero, pero` c’è una pasticceria dove fanno le millefoglie bone. Ripartiamo alla volta del Chott el Jerid, il lago salato più grande della Tunisia, ha una superficie di quasi cinquemila chilometri ed è attraversato da una strada sopraelevata, è un posto molto suggestivo e anche la luce è quella giusta con le montagne sullo sfondo e il grande lago secco è un enorme specchio dove i blocchi di sale riflettono l’ultimo sole del giorno. Scendiamo nel Chott, si avanza in un paesaggio surreale camminando fra grandi lastroni di sale che schioccano sotto i piedi, le lastre sono facili da prendere si fratturano naturalmente come grandi mattonelle, i colori diventano sempre più belli fino al tramonto che arriva insieme al sorgere della luna, questo è uno dei luoghi dove è stato girato Guerre Stellari, da qui Luke Skywalker osservava i due soli, in effetti sembra di essere su un altro pianeta. Fino a qualche decennio fa qui si caricava il sale sui dromedari e si portava fino alle città, oggi è tutto meno poetico e il trasporto del sale viene fatto con i camion, aggregarmi a una carovana di dromedari che trasportano le lastre di sale è una delle cose che mi piacerebbe fare, qui non ce ne sono più ma in Sudan, in Ciad e in Niger mi hanno detto che si trovano ancora e inschallah forse riusciro` a farlo prima che anche questa secolare e rituale attività venga cancellata per sempre dal “progresso”.
E` ormai notte quando arriviamo a Douz, la cittadina considerata la porta del deserto, è più piccola di quello che pensavo, con la macchina andiamo a cercare la famosa grande duna di Douz, ma troviamo solo alberghi e cantieri, ormai è notte fonda domani la cercheremo meglio ma la premessa è abbastanza deludente, si mangia qualcosa e poi si va internet dove Serena crolla e si addormenta. Dormiamo nel parcheggio di un hotel quattro stelle all’ombra di un pullman e dei gipponi dei turistoni, con il consenso benevolo del guardiano.