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Melilla

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Gita fuoriporta
Stamattina so’ tutti amiconi, sorrisi e tentativi di parlare italiano, “è tutto risolto” dicono di continuo “è stato solo un equivoco, ora andate a Melilla e poi potete continuare il vostro viaggio; e mi raccomando parlate bene del Marocco e della polizia”. Sembra proprio che il caso sia risolto, dopo l’intervento della diplomazia, come ci è stato riconfermato telefonicamente da Meliani. Firmo una serie di documenti in arabo, chiedo una copia in francese ma non mi viene data, mi fido, credo che sia il pv, ma non è così perché si va direttamente a Melilla. Ci dicono che è tutto a posto, che siamo regolari, che hanno fatto tutto loro e che dobbiamo andare solo alla polizia di frontiera per regolarizzare il tutto, ci accompagnerà un loro agente, i passaporti e i documenti firmati da me e dal comandante vengono sigillati in una busta che il nostro accompagnatore custodisce gelosamente. Partiamo col cellulare fino alla stazione dei bus, poi partiamo scortati dal nostro tutore sul pullman per Melillla. Facciamo la strada interna, risalendo sulle alte montagne aride del Rif orientale dove l’esercito di Abd el Krim inflisse le sconfitte più dure agli spagnoli, guardando l’asprezza di questi monti si capisce perché gli abitanti non sono mai stati veramente assoggetati a nessuna dominazione. La strada è ripida e sinuosa e il bus fatica a superare il passo più alto e si deve anche fermare un paio di volte perché il motore surriscalda, poi si comincia a scendere, avvicinandosi al mare la strada diventa pianeggiante e circondata da coltivi, fino ad arrivare a Nador. Ritorniamo alla frontiera Marocco-Spagnola, ma questa volta scortati. Entriamo direttamente nell’edificio della dogana marocchina saltando tutta la fila, nel cortile assisto ad una scena tremenda: c’è un piccolo gruppo di etnia sub sahariana che è stato fermato alla frontiera, circondato da poliziotti con fucili e manganelli, una ragazza come impazzita urla e piange mentre si spoglia e si prende a sassate, forse nella speranza di finire all’ospedale per non essere rispedita nel suo paese. Mi ritorna in mente il villaggio abbandonato che avevo visto a gennaio ai limiti del deserto dove i pozzi si erano seccati e la gente era andata via per non morire di sete. Arriva un poliziotto e mi dice di spostarmi da lì. Aspettiamo pochi minuti e poi un funzionario in divisa ci accompagna alla frontiera spagnola tenendo in mano la busta con i  nostri documenti. Il poliziotto che ci ha accompagnato da Al Hoceima ci saluta tutto gentile dicendo che è tutto a posto e che possiamo rientrare da subito in Marocco e proseguire il nostro viaggio, anzi ci fa gli auguri di buon proseguimento e ci saluta con un “sempre benvenuti in Marocco”.  Ci congediamo dal Marocco con l’ulteriore conferma verbale che possiamo rientrare nel Paese volendo anche immediatamente, ma seguendo il consiglio dell’ambasciata penso che resteremo almeno un paio di giorni a Melilla.

Sulla sponda spagnola il clima è molto più rilassato, un funzionario doganale con fare ironico mi chiede se lo zaino è tutto pieno di droga.

Ci sistemiamo all’ hostal, sembra di essere in europa, ci sono gli euro che me li ricordavo più grandi, le donne coi capelli al vento e il prosciutto, è un altro mondo. La città autonoma di Melilla è un truman show circondato da reti elettrificate e filo spinato, abitato da militari e funzionari spagnoli che ostentano un diffuso benessere che si rispecchia nei tanti figli di papà in giro per le vie del centro sopra a gipponi metallizzati, con la radio a palla e inforcando occhiali da sole grandi come maschere subacquee.
Superi le barriere e cambi continente, al posto del classico marocchino secco, sdentato e mediamente cencioso, ti ritrovi il melillano grasso, vestito alla moda e puzzicoso d’alcool. Telefoniamo per ringraziare i diplomatici che ci hanno aiutato e poi andiamo a scoprire l’enclave spagnola che rispetto ai centri urbani marocchini sembra deserta. La città è piena di locali e negozi  che ostentano il vino e i superalcolici come grande simbolo di libertà, ma c’è anche una gelateria artigianale spettacolare che fa tre tipi di cioccolato con un fondente così bono che quando lo lecchi chiudi l’occhi e ridi.

Sicuramente per un marocchino Melilla è una visione distorta dell’europa.