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Le Donne Italiane a Siwa. La ruspa e il progresso insonne
È tornato il khamsin il vento di stagione e il cielo è giallo di sabbia, ne approfittiamo per incontrare gli italiani che vivono a Siwa, a cui tanti ormai ci associano pensando che siamo qui per lavorare al “italian project” una cooperazione fra organizzazioni italiane e comunità di Siwa finanziata dal Governo Italiano, i cui operatori sono molto benvoluti dalla gente. Andiamo dentro Shali per salutare Andrea il Fiorentino Siwano che vive qui sei mesi l’anno ma è partito per l’Italia, lui e Lino detto l’artista, sono i connazionali che tutti conoscono nel paese, ma le più famose sono Laura e Silvia che da diverso tempo vivono e lavorano a Siwa. Sento Silvia telefonicamente e in serata ci incontriamo da Abdu, un vecchio Siwano che parla anche un po’ di italiano, il cui locale fa da riferimento per la piccola comunità italiana. Silvia è una donna dinamica e determinata, impegnata nella valorizzazione dei prodotti tessili tipici e delle problematiche delle donne Siwane, è una tipa carismatica e si muove con disinvoltura qui a Siwa e parla fluentemente inglese e arabo, con noi si dimostra molto gentile, ci parla del “progetto italiano” in realtà è composto da più programmi che vanno dall’agricoltura, al recupero dell’edilizia tradizionale, a quello legato all’artigianato finalizzato al mantenimento delle tecniche tradizionali, ma anche alla realizzazione di prodotti da vendere ai turisti. Ci racconta tante cose interessanti su Siwa e sui suoi abitanti, è affascinata dal nostro viaggio e ci darà una mano per “Base Elba” mettendoci in contatto con i giusti referenti. Dopo una mezz’oretta arriva anche Daniela una bella  ragazza romana giunta da poco in Africa, che  invece si occupa di edilizia, ha la curiosità frenetica tipica delle ventenni ma anche lei è una tipa tosta e in poco tempo si è guadagnata la stima e il rispetto dei Siwani, che per una donna non è impresa da poco. Silvia ci spiega che in generale per gli uomini dell’oasi le donne occidentali non godono di grande fama, per loro esistono le donne Siwane, che sono quelle da prendere in considerazione per sposarsi e fare figli, le donne beduine e le donne egiziane se proprio non se ne trova una della comunità locale. Le italiane come tutte le occidentali sono come un altro sesso, sono femmine strane che non si comportano come dovrebbe una donna, non portano il velo, si spostano da sole, guidano la macchina e parlano con gli uomini, a complicare il quadro poi ci sono i Siwani che lavorano come guide turistiche che amano raccontare ai paesani le imprese erotiche con le sconce femmine occidentali a caccia di avventure.
“Dopo una certa diffidenza e ostilità iniziale” ci racconta Silvia “le cose hanno cominciato a funzionare bene e siamo state accettate dalla comunità, spesso veniamo invitate nelle loro case e specialmente ora che i progetti si stanno esaurendo sono tutti molto dispiaciuti”.
Ci racconta della sua esperienza con le donne Siwane e di quanto sia delicato cercare di portare dei miglioramenti senza turbare la suscettibilità delle persone, rispettandone le tradizioni per noi spesso inconcepibili. “Sono incuriosite dal nostro mondo ma ci considerano donne destinate a rimanere senza marito, per loro è considerato normale fidanzarsi da bimbe e sposarsi da ragazze e poi occuparsi della casa, del marito e dei figli e trovano giusto e vantaggioso portare il velo e non avere relazioni fuori dall’ambito familiare. In generale si respira comunque serenità e armonia in queste case e ogni tanto viene da pensare se sia giusto portare dei cambiamenti se nel loro sistema ci stanno bene.”
Dei cambiamenti comunque sono già in atto, il più importante è dato dalle fabbriche per imbottigliare l’acqua dove lavorano le donne non sposate, che proprio per questo motivo si sposano più tardi e alcune sperano che i mariti concedano loro di poter lavorare anche dopo il matrimonio. L’emancipazione delle donne secondo il modello occidentale passa per il lavoro e l’indipendenza economica, ma è un’equazione che non mi convince, non vorrei ritornando a Siwa fra qualche hanno trovarci un asilo nido e le donne velate non sarebbe sicuramente una grande evoluzione.
Mi tornano in mente gli uomini col bollo in fronte e le donne velate del Cairo e di Alessandria, in fila nei global fast food.
Pur essendo una comunità molto chiusa e rigida, le donne Siwane godono di alcune tradizioni che vanno a loro vantaggio, il divorzio è una pratica comune e se una donna si stufa del marito può tornare a casa dei genitori in attesa di risposarsi e poi qui non si pratica l’infibulazione, la menomazione di genitali femminili, che invece è molto diffusa fra i beduini e in generale fra gli egiziani, come mi conferma Silvia.
“In linea di massima” mi dice Silvia “i progetti con le donne hanno avuto tutti successo, meno quelli con gli uomini, che sono più restii alle novità, i Siwani non vogliono lavorare in fabbrica né produrre artigianato da vendere ai turisti e anche nei progetti agricoli non ne vogliono sapere tanto di impianti a goccia, ci partecipano senza entusiasmo e appena il progetto diventa autogestito ricominciano ad irrigare allagando i campi”. “So proprio de coccio” ribadisce Daniela e poi continua “poi da una donna anche peggio non accetterebbero mai un consiglio né tanto meno un ordine, devi fare in modo che la decisione sembri sempre presa da loro”.
A me però stanno simpatici i Siwani e il loro attaccamento integralista alle tradizioni lo capisco e in gran parte lo condivido, mentre saluto e ringrazio le gentili donne italiche penso che questo radicamento forte è quello che ha permesso a questa gente di sopravvivere per secoli, facendo forza sulla loro identità, quella che può sembrare ottusità è la memoria storica di un popolo, alcuni modi di dire dell’oasi come “Quello che conosci è meglio di quello che non conosci” o “Gli stranieri sono ciechi anche se hanno gli occhi” lo fanno capire bene.
I Siwani coltivano la palma e l’olivo e vendono i datteri e le olive e l’olio, nessuno coltiva ortaggi o altri frutti per venderli, non è considerato dignitoso, non è lavoro da vero Siwano, la verdura si coltiva per uso proprio o si regala, ma non si vende; come nessun Siwano è interessato ai dromedari che sono bestie da beduini, a loro interessano solo gli asini. Un sistema ripetitivo che ha sempre visto nella novità la minaccia e la paura di perdere la propria identità, il bene più prezioso. Concetti assai chiari a chi come me è isolano e mi torna in mente Angiolino di Pomonte quando qualche anno fa mi spiegava il progresso, mi disse più o meno così:  “prima eravamo tutti poveri ma tutti padroni, ognuno del suo, poi arivonno quelli della provincia e le gente per soldi cominciò a lavorà sottoposta, nel giro di vent’anni la valle è diventata un buscione e li Pomontinchi tutti sottoposti”
La chiusura della conversazione però me la ricordo precisa “a voi altri giovani vanno inculato bene bene co sta storia del progresso”.
È ormai notte quando la quiete è violentata dal rumore di un crollo, esco a vedere che succede, una ruspa sta cancellando Siwa, in una nuvola di polvere scompare una palazzina in kirshif, sembra un operazione militare, i camion portano via i detriti mentre il ciuco dalla sua stalla rimasta con tre pareti raglia terrorizzato, è arrivato anche un bilico con i tondini di ferro e il cemento, ci si sta preparando alla costruzione di una nuova orribile palazzina in cemento armato… il progresso non dorme mai.