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Sveglia all’alba, colazione, il paron mi dice di seguirlo, mi porta in ferramenta per comprare due metri di catena e due lucchetti per legare il ciuco nei prossimi giorni. Si carica Tambone e si parte, la strada che fiancheggia il fiume è ancora asfaltata ma praticamente senza traffico, al oued una bimba entra nel fiume con l’asino e poi senza scendere di sella cala il secchio nell’acqua e riempie i grandi bidoni posizionati dentro la scuarì , c’è poca acqua e gli uomini e gli animali (ci sono le greggi delle capre ad abbeverarsi) se la dividono. La strada è circondata da campi di grano ormai in gran parte mietuto, dopo un paio d’ore incontriamo una scuola a bordo strada, penso di fermarmi per parlare di “Base Elba”, gli insegnanti non ci sono, a fianco stanno costruendo un edificio e sono lì a chiacchera, ma arrivano subito dopo. L’accoglienza non è delle migliori “questa è una scuola mussulmana e voi non siete mussulmani, che ci fate qui?” Per la prima volta “Base Elba”non viene accolto bene, anzi “voi siete pericolosi per noi e per i nostri ragazzi, contaminatori, questo Base Elba è un progetto pericoloso, quale è il vero motivo per cui sei venuto qui? credi di fregarmi perché hai la barba lunga e sei vestito come un marocchino, ma non sei un mussulmano e ti atteggi a profeta senza Dio, la razza peggiore un uomo senza timore di dio è pericoloso” e da qui una lunga discussione religiosa filosofica su le genti del libro, santi e profeti, dove riesco a difendermi bene grazie al grande fascino che ha sempre esercitato su di me Aissa da noi conosciuto come Gesù e qui venerato come secondo profeta che ha preparato la venuta di Maometto. Riesco ad esprimere il mio rispetto per l’Islam e la voglia di conoscerlo meglio attraverso lo studio del corano, desiderio che ha preso corpo grazie alle tante persone generose incontrate durante questo viaggio, soprattutto gli Amazigh dell’Atlas. I due insegnanti piano piano si ammorbidiscono pur rimanendo rigidi,” le vostre donne vanno in giro nude per provocare e si accoppiano come i montoni”, “gli amezigh non sono buoni mussulmani considerano gli arabi degli invasori” e ancora “è inutile viaggiare e scambiare contatti quello che è giusto è tutto scritto nel Corano” ma anche “i buoni e i cattivi ci sono da tutte le parti” e “il vostro viaggio è una cosa buona” Alla fine di una lunga discussione di oltre un’ora ci salutiamo scambiandoci gli indirizzi e con l’augurio di proseguire nel migliore dei modi il viaggio.
Fa caldo il cielo è terso, non c’è vento e il sole picchia a piombo, arriviamo al primo bivio nei pressi di un paesino, c’è un grande albero, finalmente un po’ d’ombra. Al fresco dell’alberone ci attende sorridente un motociclista che ci aveva superato qualche ora fa, si presenta parlando spagnolo e mostrandoci i suoi documenti dice che è l’uomo del governo che ci deve proteggere fino a Ras el Oued, soliti convenevoli, poi lo salutiamo lasciando la strada asfaltata. Arrivati al guado veniamo raggiunti dal motocommissario che ci invita a fermarsi per rispondere ad alcune domande, arriva il suo superiore a bordo di una uno bianca, solita trafila, controllo documenti, invito ad andare via,  “cosa portate sul mulo…..perché proprio qui che non c’è niente da vedere”. Ci consiglia di andare a dormire nella casa del motocommissario, ma ringraziando declino l’offerta e proseguiamo. La pista dura poco e ci ritroviamo sulla strada asfaltata dove ci attende sorridente il commissario a cavallo della sua suzuki, ci rinnova l’invito ad ospitarci, ci accompagna per qualche minuto e poi prosegue, lo ritroviamo dopo pochi chilometri in un piccolo chioscho sulla via dove ci invita a sostare, è sempre sorridente ma comincia a essere scocciato. Fa sempre più caldo, nei campi radunano la paglia poi la ricoprono con dei grandi teli di plastica e sopra ci spargono un impasto di fango argilloso che fa da tetto, che fanno assomigliare questi pagliai alle baracche dei minatori alla miniera del ginevro.
La strada è pressoché pianeggiante e rincontra spesso il fiume, sotto un ponte faccio una pausa defecante, subito dopo dietro un albero c’è motobaffo fumante che attende. Ormai sono diverse ore che si cammina e Tambone comincia a rallentare di brutto. Si ferma un furgoncino, esce un ragazzo,  la prima domanda è: “voi non siete mussulmani?” la seconda: “perché siete qui?” Iniziamo a parlare, è un tipo simpatico, ci invita a seguirlo su una pista che risale una collina e che ci eviterà un bel pezzo d’asfalto. Arriva il motocommissario, non è d’accordo con la deviazione, ma dopo qualche minuto si convince dopo aver preso il numero di cellulare del ragazzo. Hassan mi chiede se non abbiamo paura di Bin Laden, gli spiego il mio punto di vista sul personaggio che che dal punto di vista mediatico è stato creato dagli americani, così come l’11 Settembre è stato organizzato per  per creare un clima popolare che favorisse la guerra. E’un ragazzo intelligente che studia storia, concorda con me sull’ importanza della libertà di stampa e sull’enorme potere rivoluzionario che possiede internet, ci invita a casa sua per una pausa merenda, appena scaricato il Targrat, arriva la telefonata del motocommissario che ci obbliga a tornare subito sulla strada, un saluto veloce alla famiglia che ci regala pane, acqua e una bottiglia di latte appena munto, si ricara e si parte. Il nostro “angelo custode” ci aspetta dove inizia la pista sterrata, dice che fa questo per la nostra sicurezza e che fino a che saremo nella sua zona di competenza ci deve scortare perché ha ricevuto questi ordini e che non mi devo arrabbiare, lo lascio a discutere con Hassan e ripartiamo,ma non passano che pochi minuti e rieccolo, solita solfa di scuse e poi via, lo ritrovo dopo una ventina di minuti nei perssi di un mulino dove stanno macinando, dalla moto mi fa cenno che sono autorizzato a prendere la scorciatoia nei campi. Ormai le ombre si sono allungate, sotto un albero la sagoma di un uomo che fuma, la moto parcheggiata poco più avanti mi conferma che motobaffo è ancora in missione. Le montagne del Rif sono vicine e molto belle nella luce del tramonto, un anziano signore elegantemente vestito di bianco mi conferma che siamo arrivati a Rasel Oued, entro in paese accompagnato da un gruppo di bimbi che sta tornando nel villaggio con i ciuchini dopo aver preso l’acqua al fiume. Arriviamo nella polverosa piazza del souk dove sono radunati una cinquantina di uomini, motobaffo finalmente rilassato mi presenta alle autorità del paese, l’anziano reggente e il suo vice, che ci invitano a seguirli subito per sistemarsi per la sera. Lasciamo sorrisi sgloriati e sdentati dei paesani nascosti in una nuvola di kif e seguiamo le autorità. Questa notte dormiremo nella casa del “Chir” un anziano signore che è il referente del re per il  paese. La porta si apre in un ampio cortile dove Tambone finalmente senza carico viene ricompensato con fasci di grano appena mietuti. È una grande casa e veniamo accolti come nababbi, rinfrescata e poi grande merenda con the, dolci e uova lesse. Arriva anche il commissario che ora è tutto rilassato e sembra un altro, ci danno una grande camera e poi ci trasferiamo nell’aia che con grande rapidità, stendendo stuoie e tappeti e cuscini, diventa una grande sala all’aperto. Con la moto al sicuro dentro il giardino del capo, motobaffo si rilassa e smessi i panni dell’uomo di legge si trasforma nel commissariocannone, mi racconta del suo soggiorno in Spagna e mi traduce le domande e i consigli del padrone di casa che ordina continuamente alle tante donne del suo “harem” (un paio di mogli e qualche nipote) di portare the, frutta e dolci. Sono ormai le dieci quando ci portano un pollo arrosto e un vassoio di popone, tutto eccelente, come un pascià mi godo il venticello fresco disteso fra il banano i limoni e i girasoli giganti mentre poco più in là il commissariocannone fumatosi l’ennesimo trombone si è addormentato placido sotto le stelle.