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Primo giorno di Ramadan
Si chiude gli zaini, salutiamo Samir, un salto al museo per salutare e lasciare un cd di foto e poi in pulmino fino al porto di Sidi Youssef all’estremo sud dell’Isola. Oggi è il primo giorno di ramadan il mese dedicato ad allah che ricorre tutti gli anni  nel mese in cui il corano fu rivelato a maometto, il giorno è stabilito dalle autorità religiose in base all’osservazione delle fasi lunari e varia a seconda dei paesi, in medio oriente la celebrazione è iniziata ieri. Dall’alba al tramonto i mussulmani non devono mangiare ne bere, non devono fumare e sono tenuti ad astenersi dai rapporti sessuali. È tutto più rallentato del solito, anche i traghetti hanno ridotto le corse. Nell’attesa facciamo un giro fra le barche arenate per la bassa marea, la grande secca brulica di vita granchi, paguri, garzette, gabbiani e grandi aironi grigi si danno da fare, per loro non c’è il ramadan. La stazione del porto è piena di gente, rispetto alle nostre parti la cosa che risalta di più è la grande differenza di abbigliamento fra la gente, specialmente fra le donne, ci sono donne vestite all’occidentale con e senza velo, altre con la classica veste lunga e poi, specialmente le donne anziane con i colorati costumi tradizionali.
Il sacrificio del Ramadan è osservato rigorosamente, almeno in pubblico, ma anche tanto ostentato, specialmente dai ciccioni, ce ne sono diversi che dopo meno di mezza giornata di digiuno ti guardano con occhi disperati mentre se ne stanno agonizzanti sdraiati fra panchine e vialetti.
Aprono i cancelli e si imbarca. Dal ponte più alto si vede quasi tutta kerkennah, le isole piatte si confondono fra loro e le sagome delle tante palme si perdono nella calura estiva. Il traghetto fiancheggia le sagome a freccia delle charfia e in un attimo Kerkennah scompare nella foschia e si cominciano a vedere i fumi delle industrie di Sfax.
Rumore e puzzo di città, nonostante sia tutto chiuso per il ramadan si respira ugualmente la frenesia urbana. Facciamo un giro per la medina, si entra dentro le mura da Bab Diwan e subito troviamo una grande calca davanti a un venditore di pane e dolci, svicolando lateralmente la medina è semideserta e i vicoli stretti fanno si che ci sia anche un po’ d’ombra, poi un giro nella via principale, che è un grande mercato ogni minuto più affolato. Non ero più abituato alla calca e agli odori forti dei souk, sono poche miglia ma è veramente un altro mondo rispetto alle isole appena lasciate. Un giro intorno alle belle mura bianche e poi alla stazione dove però non ci sono treni, gli orari sono ridotti per il ramadan e fino a domani è tutto fermo. Raggiunta la stazione dei louage, dopo una lunga attesa raggiungiamo le otto persone necessarie a riempire il taxi e si parte per El Jem dove voglio andare per vedere il leggendario anfiteatro romano conosciuto anche come il colosseo d’africa. il louage attraversa una campagna ondulata ricca di alberi d’olivo sembra un paesaggio dell’interno della Sicilia, all’improviso dalla campagna dopo un avvallamento, come un miraggio appare gigantesco l’anfiteatro, la cittadina bianca che gli si sviluppa intorno è schiacciata dall’imponenza delle monumentali mura ocra dello “stadio antico”. Attraversiamo i vicoli deserti di El Jem e raggiungiamo l’anfiteatro dell’antica Thysdrus costruito intorno al duecentotrenta dopo cristo per volere del proconsole Gordiano, un latifondista africano che si arricchì tantissimo grazie al commercio dell’olio e delle fiere, diventando assai influente nei fatti dell’impero tanto che per un breve periodo nel duecentotrentotto arrivò ad essere addirittura imperatore di Roma. Il colosso non si può visitare, è chiuso, anche qui c’è l’orario speciale del ramadan, il custode dorme sdraiato all’ombra dei grandi archi aspettando l’ora del convio e non ha nessuna intenzione di farmi entrare. Anche dall’esterno comunque si può ammirare questo complesso maestoso e imponente, il terzo per grandezza della Roma antica, poteva contenere più di trentamila spettatori che qui come a Roma assistevano a spettacoli con fiere e gladiatori. Il monumento è famoso anche per l’epica resistenza della regina berbera Al Kahina che fu l’ultima ad arrendersi nel settecentouno all’invasione dei maomettani, dopo una serie di vittorie contro gli invasori arabi, accerchiata si barriccò all’interno dell’anfiteatro che era rifornito d’acqua da un acquedotto sotterraneo e collegato con un canale sotterraneo lungo oltre venti chilometri che permetteva alla donna di sfottere gli assalitori mostrandogli ogni giorno del pesce fresco. Questa storia me l’aveva raccontata un Amazigh a Midelt in Marocco, per esaltare la considerazione della donna nella loro cultura ma, solo ora riesco ad inquadrarla in un luogo e in un tempo.
El Jem è deserta sono tutti in attesa del tramonto, i louage sono fermi, ma un tassista gentile ci accompagna alla stazione dei bus dove fra qualche ora partirà un pullman per Madia. Arriva il tramonto e boomm un botto avverte che il primo giorno di ramadan è finito e il rumore delle scodelle invade la via. Siamo gli unici sul pullman snodato che attraversando la campagna ci accompagna fino alla cittadina costiera di Madia, una città bianca che si sviluppa su uno stretto promontorio sul mare che mi ricorda l’Aretusa di Siracusa.