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Sveglia presto con l’alba, come sempre nelle case dei villaggi di montagna, facciamo colazione in compagnia delle due maestre delle scuole che abbiamo conosciuto ieri sera e poi andiamo a scuola per “Base Elba”. Spiego il progetto alla lavagna e tutti, bimbi e insegnanti, sono entusiasti dell’idea, appena raggiungerò Midelt dove penso di fermarmi qualche giorno per aggiornare testi e foto mi riprometto di far partire in maniera attiva questo progetto che lo “Scoglio” non ha ancora recepito bene. Accompagnati da Hammon e da Hammed  andiamo a vedere le miniere di sale, è questa una zona ricca di minerali, c’è ferro e ci sono tantissimi cristalli compresa la tormalina nera che sembra la nostra. La miniera dista meno di un chilometro dal paese e ha diversi ingressi che si tuffano nella terra rossa, sono miniere collettive, che vuol dire che chi vuole può entrare ed estrarre sale minerale, che poi viene venduto nei souk dei villaggi per uso alimentare  o come fertilizzante. È un posto pericolosissimo soprattutto per le misure di sicurezza inesistenti e per l‘attrezzatura  dei minatori che scendono nel pozzo scalzi o in ciabatte, con una piccola torcia in mano. I  pozzi sono praticamente verticali, con delle friabili scale che scendono giù ripide per un chilometro ,così mi è stato detto, io sono sceso solo per qualche metro poi mi hanno esortato e non proseguire. I cristalli di sale sono molto belli così come i fossili che qui si trovano numerosi. Lasciata la zona estrattiva attraversiamo una zona granitica ricca di pianelli coltivati per raggiungere una piccola cascata, dove incontriamo un gruppo di donne che stanno lavando la lana appena tosata. Ritornando verso il paese attraversiamo un grande appezzamento coltivato con  i meli, dove spicca monumentale un grande noce. Qui incontriamo un anziano signore con le gambe mutilate che carponi stà zappando un orto, ha una faccia serena e ci racconta con l’aiuto di hammon di quando tanti anni fa è caduto dentro la miniera e da solo con la sola forza delle braccia è risalito fino alla superficie e ora con la sua zappa corta corta  manda avanti il suo orto tutt’intorno al grande noce. Rientrato in paese cerco una corda per bloccare meglio la soma , il negoziante è steso al sole e senza spostarsi  mi indica la bottega, come a dire “guarda da te se trovi quello che cerchi poi vieni qui, se no inshallah”. La corda non la trovo, in paese c’è una cote spianata in mezzo alla terra che funge da piazza dove quasi tutta la popolazione  maschile adulta del villaggio sta dormicchiando sdraiata al sole, alcuni a pancia all’aria sembrano morti. Arriviamo a casa giusto in tempo per mangiarsi un galletto ex ruspante, poi nonostante l’insistenza a restare di tutta la famiglia e delle insegnanti ci prepariamo alla partenza.
Partiamo con i due Tagrart cuciti fra loro per avere il carico più stabile, salutiamo e si parte attraversando il paese dove ormai tutti ci conoscono, alla fine del villaggio veniamo raggiunti da Hamida  che ci porta due pani appena sfornati. Dobbiamo prendere la via del fiume perché sul passo c’è troppa neve, facciamo la prima parte del tragitto in compagnia di una famiglia che è in marcia verso un souk , c’è un mulo con in sella un anziano, il capo famiglia è a piedi davanti a tutti  con in mano un grande bollitore, poi ci sono un ragazzo che controlla il mulo, la nonna con una bimba piccola fasciata sulla schiena, la mamma e un bimbetto. Lungo il viottolo che segue  all’incirca il percorso del torrente si incontrano tante rocce sferiche di granito e di minerale di ferro, alcune sono veramente grandi e  tanti cristalli di quarzo, è come se il Capanne e Punta Calamita si fossero impastati insieme, c’è un punto vicino al torrente che sembra il Vallone co’ le Coti della Tavola. Tambone è una scheggia, passare dall’asino al mulo è stata un’ottima scelta. Camminiamo vicino al fiume e ci sono tanti pioppi, dopo una quindicina di chilometri  incontriamo il primo villaggio, arroccato sopra il fiume, deviamo a destra lasciando il corso d’acqua principale  e dopo aver salito una collina riscendiamo verso il torrente  dove dobbiamo guadare  proprio vicino a una cascatella. Il torrente è gonfio e la gola in alcuni tratti è molto stretta , sul secondo guado incontriamo, due donne giovani sul mulo che ci danno conferma che siamo sulla giusta via, poco dopo arriva un gruppone di fuoristrada, sono americani e ci fanno le foto dai loro “gipponi”. Il tempo si fa sempre più grigio e il percorso sempre più impegnativo, bisogna passare un terzo guado, qui c’è tanta acqua e per portare Tambone di là bisogna bagnarsi fino alle ginocchia, per fortuna che come succede sempre, arriva l’uomo della provvidenza, questa volta nei panni di un ragazzo su di un mulo bianco che fasciato nel suo jallabar sembra un cavaliere.  “Provvidenza” prende Tambone per le redini e lo porta sull‘altra sponda  poi porta Serena e infine da un passaggio anche a me. Tuona, Provvidenza ci dice di lasciare la via del fiume e di prendere  la via alta, salendo si vedono sotto di noi gole strette e piccoli laghi, in alto la neve, si vede il villaggio mentre il tramonto dipinge tutto di rosso.  Provvidenza come da copione ci invita a casa e noi naturalmente accettiamo,  mentre stiamo per raggiungere la casa  arriva un fuoristrada è Hammon di Anergui, di rientro da Imilcil, ci salutiamo e poi porto Tambone nella stalla per il meritato riposo. La casa è molto grande, ci sono due stanze con la stufa e una cucina con il focolare, ci ospitano in una stanza con una stufa al centro e il tetto fatto di legno di ginepro. Senza mulo e cappottone Provvidenza si rivela un ragazzino, qui comanda la sorella maggiore, mamma di quattro bei bimbi. Arriva il cugino che ogni cosa che vede la indica e dice  “comme s’appelle ça?”  Per sapere come si dice in italiano, arrivano i  vicini per farsi le foto e poi ci mangiamo il secondo pollo di giornata sgozzato, spennato e cotto nel giro di mezzora. Anche qui  non c’è energia elettrica quindi si va a letto presto  preparando la cuccia accanto alla stufa.