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Fra passato e futuro
Stanotte “ ha piovuto” due gocce ma sono le prime dell’estate.
Ci chiamano dal fumoso cafè davanti alla friggifrati, sono denti d’argento (Lotfy) un tipo rosso e pallido che sembra l’erede di qualche naufrago irlandese convertito all’islam e banque popoulaire (Hermis), prendiamo un thè insieme, l’argomento è il Ramadan, ormai manca poco dovrebbe iniziare lunedì o martedì, per Lotfy che si professa mussulmano non praticante il mese dedicato a Dio è soprattutto una festa, l’Iftar l’interruzione del digiuno diurno quando tutta la gente si ritrova in strada per bere e mangiare dopo aver riposato tutto il giorno è una versione un po’ blasfema ma raccontata con grande sincerità e comunque sempre rispettando chi crede nel valore spirituale del Ramadan ed Eid al–Fitr.
Lascio i due amici e mi ritrovo a girare per i vicoli sabbiosi di El Attaya, è  un mondo romantico e senza tempo che ti avvolge con la sua atmosfera rilassata e serena da villaggio di fiaba, ti cattura con le sue scene silenziose di vita quotidiana che pacate adornano la via illuminandola con sguardi  sereni e gesti di fratellanza. Stesi come panni al sole ci sono i lardi speziati e le viscere di un montone appena macellato, non si butta niente dell’animale ucciso, qui come sui monti dell’Atlas  c’è grande rispetto per il sacrificio della vita come per tutte le popolazioni che vivono a stretto contatto con gli animali, come era per i bisonti degli indiani d’america o per i maiali di casa nostra.
Le case tutte bianche e con il tetto piatto spesso con l’ingresso protetto da un piccolo pergolato di uva si affacciano sul vicolo dove all’ombra delle bianche pareti le donne avvolte nei loro drappi multicolore lavorano sedute su bassi cuscini  riparando le reti da pesca, compito che a Kerkennah spetta tradizionalmente alle donne. Mentre fotografo i bei grappoli di uva matura una donna si alza, raccoglie il grappolo d’uva più grande e maturo, lo lava con l’acqua fresca della cisterna e me lo regala insieme ad un largo sorriso sotto lo sguardo compiaciuto di un’anziana signora con i capelli arancioni di henné. Temo che anche questo vicolo specchio di mondo rituale di silenzio e umanità a breve sarà cancellato per sempre da quello che comunemente si chiama progresso, lo penso mentre incrocio lo sguardo ipnotico di un gatto che sembra leggermi i pensieri.
È ormai sera, andiamo a cercare le tracce dell’antico ponte forse romano che un tempo collegava l’isola di Grimdi con Chergui ma non lo troviamo, su un cumulo di sassi più o meno dove ci dovrebbe essere il passaggio incontriamo invece un variopinto martin pescatore che però non si lascia avvicinare tanto quanto vorrei.
Una “nonna cannone” saluta la nipotina e si avvia verso la feluca dove il marito sta levando gli ormeggi, è forte il contrasto fra l’elaborato abbigliamento tradizionale della signora e quello dell’uomo che potrebbe essere un qualsiasi elbano. Lui spinge la barca con la karia mentre lei scioglie la vela, poi alzano il drappo e piano piano la feluca diventa una macchiolina che si perde verso il mare fra l’isolotto di Grimdi e  quello di Erroumadia. Giriamo per i cantieri fra il porto vecchio e quello nuovo dove giacciono alcuni scafi di barche recuperate dopo naufragi scellerati, sono le dannate barche che portano i clandestini a Lampedusa quelle di cui non si parla mai volentieri. È ormai il tramonto quando arriviamo al Montaza, il ritrovo dei pescatori al porto vecchio, dove abbiamo appuntamento con Ali Baba, ci sono anche Mohamed Ali, Said e Majed. Ali Baba mi dice che il presidente Ben Ali è rimasto deluso dai governanti di Kerkennah, ha destituito  i vecchi amministratori ed ha annunciato grandi progetti per il futuro prossimo di Kerkennah: la costruzione di un aeroporto e il famoso complesso residenziale ecologicoo. Io penso che l’aeroporto sia sicuramente meglio di un ponte, l’Isola rimane comunque Isola ma è importante che gli Isolani siano i protagonisti della propria terra e non facciano solo da coreografia per le multinazionali del turismo. Majed è scettico vuole vendere la feluca e andare in Australia a cercare lavoro perché qui non vede prospettive di futuro a breve e non ha voglia di aspettare, è giovane ma già disilluso, “non vale la pena di lottare” dice, “tanto viene tutto deciso dall’alto e io voglio una macchina e dei bei vestiti”  lo dice con fatica a bocca strinta e con gli occhi bassi come se stesse combattendo con il pirata anarchico che tiene nascosto dentro, ma come direbbe Sandokan Mompracem è ancora viva!
Ci salutiamo dandoci appuntamento al porto domattina alle sei, si va a pesca di spugne con Majed.