Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

 

{youtube}ahCw_L8Fpu0{/youtube}

{youtube}Qf0eZqTNQG8{/youtube}

Il compleanno della ragazza dell’Isola dell’Anarchia
Dormono tutti a bordo, il Comandante e Kaled gorgogliano catarri affannati e rumorosi.
Non c’è un alito di vento ma fa freddo, è ancora buio ma nelle barche a terra c’è movimento, anticipando l’aurora il barcone più grande mette in moto, cerco di capire qualcosa guardando con il teleobbiettivo ma non capisco niente oltre al fatto che a bordo ci sono parecchie persone, poi con il  rischiararsi cominciano a partire anche le barche dei corallari, attrezzate con manichette e camere iperbariche. Quando il sole comincia a scaldare si alzano tutti, Mohammed prova invano a mettere in moto, complici le tante birre in dotazione all’equipaggio, ieri sera il quadro elettrico è rimasto acceso e ora la batteria è a terra, quindi prendiamo terra a traino del gommone.
Il mare ha dei colori bellissimi attraversati da saragi e occhiate, sull’isola regna il silenzio sembra disabitata. Ormeggiamo il Bichi a ridosso dell’unica banchina e poi finalmente si mette piede a terra. In uno slargo vicino allo scalo stanno marcendo un paio di relitti di barconi in tutto simili a quelli che avevo visto a El Attaya alle isole Kerkennah, scafi che erano stati sequestrati dopo essere naufragati nel tentativo di portare i clandestini a Lampedusa.
Con l’autorizzaione di Kaled cominciamo a salire verso la caserma della Guardia Nazionale dove sventola pigra la bandiera Tunisina, per farci vedere e capire come possiamo muoverci e dove possiamo montare la tenda. La strada che conduce al posto di guardia è una ripida cementata, a mezza via incontriamo due guardie che stanno scendendo, già vederli in tuta da ginnastica invece che in divisa è bene augurante, sono subito molto gentili e si dicono  molto felici di averci sull’Isola perché a terra non scende mai nessuno, ci stavano aspettando, il più alto che sembra il responsabile da un’occhiata veloce alle autorizzazioni e mi conferma che è tutto a posto, possiamo muoverci liberamente sull’Isola, la tenda preferisce che la montiamo vicino alla caserma. C’è grande tranquillità, del classico sistema militare tutto di rigore e ipocrisia non c’è traccia, ritorniamo al porticciolo insieme, poi loro rimangono a chiacchera al Bichi e noi cominciamo a salire con i bagagli, volendo si poteva attendere il trattore dei militari che ci mettevano gentilmente a disposizione ma preferisco piazzarmi e cominciare prima possibile l’esplorazione. Al corpo di guardia c’è il terzo gendarme dell’Isola, Mohammed è il più giovane e ci accoglie con un caffè   parliamo un po’ degli italiani e mi racconta dei  “pescatori di aragoste” che sono venuti la scorsa estate  a rivedere la loro vecchia casa.
Se siamo qui è grazie alla mia parte Ponzese perché agli ex abitanti dell’Isola o ai loro parenti è concesso con le opportune dichiarazioni, di visitare l’Isola e io sono qui alla ricerca di tracce  e sepolture di parenti. In  realtà non ne posso essere sicuro ma è abbastanza verosimile visto le strette parentele che legano un po’ tutti i Ponzesi, e quindi anche i PonzoGalitesi, comunque anche in segno di gratitudine per l’autorizzazione il primo luogo che voglio visitare è il cimitero. Monto la tenda in una posizione spettacolare ci infilo i bagagli, saluto Mohammed e si comincia a salire mentre passa il trattorino dei militari, mi  ricorda quello del “Conte Goffredo” il guardiano di Montecristo, attraversiamo parte del paesino abbandonato e passiamo a fianco alla casema dei militari, ci sono un paio di case abitate dove vivono i militari di carriera, gli unici che qui hanno la famiglia, salendo ritroviamo i due cavalli che prima pascolavano vicino alla tenda, ci sono dei piccoli orti e alcune giovani piante di olivo che sono state piantate recentemente. Poi su un pianoro in alto, un chilometro dalle ultime case, il cimitero, è  una versione ridotta e malridotta del cimitero di Ponza, purtroppo solo poche lapidi sono rimaste leggibili, l’unica perfettamente conservata ci ricorda Elisabeth Darco nata il 14 ottobre 1905 e morta il 20 febbraio del 1936, a volte le coincidenze sono incredibili una serie di eventi concatenati ha fatto si che noi visitassimo questa tomba abbandonata proprio nel giorno in cui ricorre il suo copleanno. D’Arco è un nome importante in questa storia avventurosa e romantica, fu infatti proprio Antonio D'Arco il precursore dei colonizzatori Ponzesi de La Galite, fu intorno al milleottocentocinquanta che per primo decise di viverci stabibilmente affascinato da quest’Isola disabitata e quindi senza leggi ne padroni se non la natura stessa e incredibilmente simile nell’aspetto alla natia Ponza, ma assai più generosa con un mare incontaminato e ricco di pesci, aragoste e corallo e una terra senza padroni dove abbondavano le sorgenti d’acqua dolce che da sempre sono la principale croce della maggiore delle Isole Pontine. Il richamo di questa terra promessa fece approdare qui diverse decine di pescatori Ponzesi, in particolare quelli più poveri che qui potevano crearsi i propri appezzamenti di terreno da coltivare e in poco tempo nacque una comunità senza leggi né gerarchie. L’isola fu visitata alla fine dell’ottocento da un “ vero” anarchico francese che dalle colonne del periodico Père Peinard esalto’ il puro spirito anarchico dei Ponzo-Galitesi e li prese come esempio a dimostrazione che si poteva vivere “senza governo e senza sfruttamento dell'uomo sull'uomo", aveva trovato I’Isola felice. Nei primi anni trenta ci fu un secondo flusso di Ponzesi legato soprattutto a orientamenti politici che non si confacevano con la dittatura fascista, migrazione che non si interuppe mai del tutto fino ai primi anni cinquanta quando la militarizzazione dell’isola da parte dei francesi si fece più pesante e intollerabile per lo spirito libero dei PonzoGalitesi che furono costretti ad abbandonare per sempre la loro isola. Per quasi un secolo questa comunità visse in pace, si nasceva, si moriva, ci si sposava e ci si separava senza bisogno di preti, carabineri e nessun altro pubblico ufficiale. Oggi di questo sogno anarchico non rimangono che i ruderi delle case con la volta a botte  e le “parracine” sepolte dalla macchia, ma il fascino dell’Isola è più vivo che mai, anzi come sempre la natura, quando l‘uomo è marginale o meglio ancora assente, dà il meglio di se. Il silenzio regna sovrano, è una pace densa di vita, l’isola è verde e i tanti giunchi testimoniano la ricchezza di acqua, ci affacciamo sul lato nord, la parete scende a strapiombo tappezzata di verde fino alla spiaggia di ghiaia scura che si tuffa nel mare trasparente e turchese, mentre lo sfondo è dominato dagli isolotti dei Cani. Fra i giunchi si sente muovere, è una tartaruga, ce ne sono tante e sbucano energiche fra scogli e cespugli, sono uguali a “Tartak” la tartaruga che mi regalo’ zio Ciro da bimbo, mi ricordo che disse che veniva da un’isola vicino alla Sardegna chissà…forse era proprio la Galite, comunque mi piace pensarlo. La sensazione di privilegio aumenta quando mi rendo conto che siamo arrivati in momento eccezionale, stanno nascendo le piccole tartarughine, ce ne sono tantissime piccole piccole, per la gioia epilettica di falchi e corvi che sovraeccitati e iperattivi sono a caccia dei piccoli. In lontanaza passano tante navi e sottocosta ci sono una decina di barche fra corallari e pescatori,  ma sull’isola solo noi e il silenzio. Salendo le tartarughine aumentano, la gariga è policroma adornata della fioritura dell’erica e del rosmarino, ancora più falchi balestrucci, ma purtroppo la macchina fotografica si blocca continuamente e quando scatta lo fa solo con tempi lenti, è un peccato sopraratutto perché diventa difficilissimo fotografare i falchi che fanno dei numeri acrobatici di alta scuola, ce ne sono di diverse specie ma i più comuni e spettacolari sono i falchi di Eleonora, dei piccoli rapaci insettivori che sono dei veri e propri contorsionisti del volo. In questo posto mi ci sento bene, i colori e i profumi sono quelli di casa, ma è sopratutto la luce a essere nostrana è la magia del mare tutt’intorno che ti riflette addosso il sole regalandoti la sensazione di libertà che è solo delle isole piccole, è come una magia che ti fa sentire al centro del creato avvolto dalla luce. Rimaniamo ipnotizzati da questo mondo primordiale, gioioso e spietato al contempo. Saliamo sul monte più alto del lato est, quello che dal mare sembrava una piramide, è molto ripido e le rocce ricordano il Calanche, vicino alla vetta ci sono dei muri molto simili a quelli che si trovano in cima al Monte Fortezza, la vetta di Montecristo. La giornata è stata cosi’ intensa che il tramonto è arrivato improviso, dalla vetta vediamo tante barche nella baia sotto il paese, alcune si fermano a rada ma la maggior parte si accostano al Bichi che è appogiato alla banchina. A ovest le sagome scure di Galitone e “galitino” galleggiano nella luce accecante del tramonto come astronavi fantasma che attendono immobili nel cielo metallo.
Bisogna scendere prima che sia buio anche perché non voglio fare incazzazzare i gendarmi correndo il rischio di avere limiti nella libertà di movimento.
Ritroviamo le prime case al crepuscolo, alcuni soldati  assorti nel silenzio osservano immobili l’orizzonte ormai scuro, sembra che cercano il loro futuro nel mare infinito, la quiete sovrasta ogni cosa, mi piace questo “mondo” senza chiese e senza moschee.