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La tempesta di sabbia
Da Ismalia in bus ci spostiamo verso Suez, città costruita sul vertice meridionale del canale. Già al tempo dei Faraoni l’uomo aveva pensato di collegare il Mar Rosso con il Mediterraneo, ci sono dei documenti risalenti al 610 avanti cristo che ne parlano e per primi ci riuscirono i persiani sotto Dario il secolo dopo. Anche i romani migliorarono questo primordiale canale di Suez che collegava il Mar Rosso con Bubastise e da lì, attraverso i canali del delta, al Mare Nostrum. Ma il canale vero e proprio come lo conosciamo noi fu inagurato nel 1869 al termine di dieci anni di lavori stravolgendo le rotte marittine e i commerci dell’intero pianeta. Il canale rimase in mano ai francesi e agli inglesi fino al 1956 fornendo alle due potenze coloniali ingenti guadagni, loro malgrado  dovettero subire la nazionalizzazione del canale da parte di Nasser che, con i dazi di transito finalmente in tasca all’Egitto, finanziò la costruzione della famosa diga che porta il suo nome e che ha stravolto la vita dell’Egitto e forse anche il clima del mondo tutto.
La strada corre dritta nel deserto dove ci sono tante basi militari con cannoni e carri armati, tante di queste  basi sembrano bombardate di recente con mura e hangar semidistrutti e le garritte annerite, evidentemente sono i segni della guerra contro Israle del 73, o addirittura di quella del 67. Arriviamo a Suez dentro una tempesta di sabbia, il cielo è giallo e la visibilità assai scarsa, attraversiamo il ponte che collega il centro principale con Port Taufiq il vero ingresso del canale che qui è veramente scavato nel deserto, in questo  momento non stanno transitando navi, c’è il blocco in entrata, ma a rada ce ne sono tante che attendono l’apertura che avverrà dopo il transito dei convogli che devono arrivare dal Mediterraneo. Qui rispetto a Ismailia è tutto più trasandato, solo un piccolo tratto di passeggiata di Port Taufiq consente di vedere il canale il resto è tutto militarizzato e interdetto e le vie interne sono ricche di banche e uffici di compagnie di navigazione chiuse.
Suez città, è piccola e malridotta con i segni della guerra ancora visibili se si esce dalla zona centrale. Dopo una colazione ritardata con frullato di banana, ci andiamo a mangiare un pesce a metà strada fra il parago e il dentice da un grigliarolo sulla via del centro, sopra la “cucina” c’è un ristorantino dove si può consumare il pesce, è un posto ganzissimo una specie di capanna gestita da tre allegre gioiose velate ma alquanto disinibite.
Ritorniamo a Port Tauiq passando da un elegante e decadente quartiere coloniale e finalmente vediamo le navi nel canale che stanno arrivando da nord, è un flusso costante come una processione, le sagome delle navi si materializzano nelle polvere del deserto e poi ci passano a fianco prima di entrare nuovamente nel mare, le più impressionanti sono le gigantesche portacontainer, la più strana una nave con quattro gigantesche bolle bianche sulla coperta che sembra una base spaziale. Per rientrare il pullman non c’è, ma non è un problema perché c’è un Peugeot 504 collettivo che sta per partire per Ismailia e il tassista beduino che lo guida è un vero driver, va sempre a chiodo e sorpassa facendo peli millimetrici a camion e vetture, in un’oretta siamo nuovamente a Ismailia.
Ismalia è la città delle donne, perlomeno rispetto alle altre città del nord Africa ci sono molte più donne in giro rispetto ai maschi, anche perché molti uomini vanno a lavorare nei vicini stati della penisola arabica dove rispetto all’Egitto guadagnano molto di più e di conseguenza lasciano più libertà di movimento alla donne, ci vorrebbe più tempo per approfondire la cosa ma per esempio rispetto a una città come Marsa Matrhouh  la differenza di atmosfera è macroscopica.