trebbiatrice

tenda

foresta

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ajdir

viottolo

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sentiero incantato

foresta di cedri

cedro

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Si parte presto, lungo la via ci sono tanti piccoli villaggi con le case dai tetti spioventi quasi tutti in lamiera e nei pascoli ci sono tante mucche. La strada scende dolce sul fianco dalla montagna contornata da campi di grano e Tambone cammina a testa bassa come una trebbiatrice rifilando le spighe a bordostrada. Sotto di noi una valle profonda che si estende in lontananza verso est in direzione di Khenifra e prevalentemente di terra rossa che fa risaltare ancora di più i numerosi “fiumi di sale”, la pianta più comune è il leccio, ma prevalentemente ci sono campi di grano che comincia a diventare giallo e tanti papaveri. A monte delle sorgenti non salate partono gli acquedotti che irrigano i fianchi della valle, mentre in fondo al pendio scorre il fiume Chbouka. Nel verde spiccano grandi rocce di calcare e il canto dei grilli e le api sui fiori ci fanno capire che siamo in piena primavera. Si sale e ritornano i cedri, la strada si inerpica fra decine di piccole valli in linea d’aria si fa pochissima strada, poi inizia la discesa, incontriamo qualche pastore e poi in una radura delle fornaci abbandonate per cuocere la calcina. In questa zona i cedri sono giganti, ci sono tanti falchi e si vedono volteggiare anche due bianconi, poi una famiglia di bertucce attraversa la strada in gruppo per poi disperdersi arrampicandosi agilmenrte sui cedri, ce ne sono tante di queste scimmie, se ne stanno sedute sui rami osservandoci curiose. Proseguendo incontriamo delle strane rocce di calcare con degli inserimenti di rocce rossastre che sembrano sculture astratte.
Sotto i cedri, poco prima di un altopiano coltivato, una tenda di nomadi, per quanto mimetica ruba la scena, è fatta di sacchi lisi cuciti fra loro e bruciati intorno al tubo della stufa, si affaccia una bimba bellissima, è vestita di rosso e ha un portamento fiero, gli chiedo a cenni se posso fare delle foto, mi sorride contenta e chiama anche le sorelle, sembra un’ immagine proveniente dal passato, mi sembra di essere dentro un immagine di CesareMaria De Agostini che a inizio ‘900 fotografava gli abitanti della Terra del fuoco.
Uscendo dalla foresta troviamo un piccolo insediamento, intorno ad un pozzo circondato da grano maturo delle donne alte e longilinee stanno lavando. Incrociamo una signora con un mulo che ci da informazioni precise, confermate subito dopo da due pastorelli, il paese Ajdir in realtà non esiste è una grande pianura in mezzo ai cedri dove pascolano centinaia di pecore e intorno un po’ di capanne di legno di cedro e lamiera, i pastori, man mano che si avanza, ci indicano la via per l’Aguelmane (il lago). Oltre l’estesa radura sul confine della foresta c’è un villaggio di case in legno con alcune tende a cono rovesciato come quelle dell’indiani d’america, sembra un villaggio di pionieri uscito da un racconto di Jack London. Ci fermiamo all’ultima casa, ha il tetto fatto con tavole larghe quasi un metro e davanti all’ingrasso c’è una tenda a cono rovesciato che protegge il forno. Fatima, la padrona di casa, prima ci offre latte appena munto, pane e l’immancabile athey, poi ci accompagna fino ad una recinzione abbattuta dove inizia una foresta incantata, c’è un piccolo viottolo ombreggiato da cedri giganti, i più grandi visti finora, e le lame di luce che ogni tanto filtrano fra i rami rendono tutto ancora più magico, il sentierino si perde in mille dedali ma una signora dal volto tatuato avvolta in un manto turchese mi indica il giusto cammino. Nella foresta ci sono delle spianate di rocce bianche dove ci sono diverse bertucce che quando ci vedono velocemente salgono sugli albri, ce ne sono tante almeno una ventina, alcune ci guardano dai rami piu alti, ci fermiamo un po’ su queste “lisce”per godersi questo scorcio da “libro della jungla”.
Le scimmie dopo pochi minuti si tranquillizzano e cominciano a scendere facendo delle evoluzioni spettacolari, si avvicinano ma non troppo e sempre guardinghe, nella foresta comincia a fare buio quando ripartiamo, camminiamo ancora una mezz’oretta e poi arriviamo al lago Azigza. Sul lato opposto del lago arriva una pista e la conseguenza è che c’è un po’ di spazzatura, infondo al lago c’è una grande casa in degrado, ci spostiamo lì per chiedere ospitalità. In origine era un albergo ristorante ma ora è ridotto proprio male, ci vivono due coppie giovani e quattro bimbi piccoli, la cosa strana è che stanno in una specie di baracca sotto la gronda e usano la struttura grande come magazzino, per noi il “gran garage” è un’ottima sistemazione così non si monta la tenda e domani si parte presto.