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La Tomba di Alessandro Magno ?
Ultimo giorno a Siwa. Fra tutti i misteri di questa oasi uno dei più intriganti è legato alla Tomba di Alessandro Magno, la storia tramandata ci racconta che la salma del Faraone Macedone fu portata secondo le sue volontà ai Sacerdoti del Tempio dell’Oracolo di Amon a Siwa, i religiosi però si rifiutarono di accogliere il corpo del sovrano defunto nel Tempio e i soldati di Alessandro furono costretti a cercare un altro luogo per dargli sepoltura. Dove, non è mai stato specificato. Già durante i giorni di permanenza ad Alessandria ci siamo imbattuti  in diversi luoghi che venivano raccontati come presunte tombe di Alessandro ma in realtà mai nessuno ha trovato documenti o incisioni che certificassero la sepoltura del primo Faraone Macedone. Nel 1995, suscitando grande clamore, l’archeologa greca Liana Souvaltzis dichiarò al mondo la scoperta della tomba di Alessandro Magno nell’Oasi di Siwa, nei pressi del villaggio di Maraqi. Dopo anni di ricerche, grazie alla collaborazione del marito un egitologo egiziano esperto in scrittura geroglifica, decifrò delle iscrizioni che asserivano che il Sepolcro di Maraqi era la tomba di Alessandro il Grande, la notizia fu accolta dal mondo dell’archeologia in maniera discordante, chi la considerò una grande scoperta, chi una farsa, purtroppo le autorità egiziane, con la grezzaggine che gli è propria, risolsero bruscamente la diatriba che stava nascendo revocando il permesso di scavo all’archeologa greca e chiudendo il sito alle visite.
Oltre le notizie estrapolate da internet, quello che ho trovato è una vecchia cartina dove è indicata la tomba e qualche racconto, c’è anche chi ha partecipato allo scavo e in diversi affermano di conoscere la sepoltura, ma nessuno è disposto a parlarne più di tanto e tantomeno ad accompagnarci, soprattutto perché non vogliono problemi con le autorità, ma anche perché c’è la consapevolezza che il mistero che circonda la tomba alimenta la curiosità intorno all’oasi.
Decido comunque di andare alla ricerca della misteriosa sepoltura che dalle indicazioni raccolte dovrebbe essere ad una quindicina di chilometri da qui, poco oltre la sponda sud occidentale del Birket Siwa.
A Siwa continuano la cementificazione, stamani è arrivato un altro autotreno carico di cemento e sbarre di tondino di ferro per le armature, ormai il morbo del calcestruzzo sembra inarrestabile… Salgo sulla collina dietro Shali per avere una visione d’insieme del territorio da qui a Maraqi e vedo che oggi si costruisce anche sul lato opposto, c’è un nuovo cantiere dove si sta facendo la gettata del solaio al primo piano, c’è una squadra di una quindicina di uomini che lavora di gran lena, gru e betoniera a scoppio e l’ambitissimo carrellone basculante con le ruote piene che se lo passano da un cantiere all’altro. Gli africani per quel poco che ho capito in quest’anno e mezzo di permanenza nel continente, magari non brillano di iniziativa, ma sono dei gran lavoratori, secondo me come attitudini assomigliano tanto ai nord italiani, tipo i bergamaschi e i veneti, insomma a quelli razzisti della lega. La sabbia non è certo un problema in un cantiere dentro il Sahara, ma la breccia sì e per averne un pochina bisogna frantumare a colpi di mazza la preziosa roccia bianca che si cava dalle montagne dall’altro lato del lago, per guardare meglio il cantiere mi sposto su una cote spianata e ci trovo la testa di un gatto mutilata e dello sterco secco, un’altra traccia evidente di magia nera che evidentemente qui ha ancora seguaci, oltre al tetro cimelio esoterico da questa posizione si ha comunque una bella visione dell’oasi, con il palmeto delimitato dal deserto e dal lago.
Si inizia a camminare dentro l’oasi in direzione ovest, poi il palmeto comincia a diradarsi e si inzia a vedere bene il deserto, il paesaggio ombreggiato del palmeto ha lasciato il posto a una steppa salmastra di giunchi e palme secche, in poche centinaia di metri il terreno cambia divenendo fangoso e circondato da canali, alcuni dei quali confluiscono in una lunga pozza alimentata anche da una gorgogliante sorgente dove nuotano  tanti piccoli pesci. Si prosegue dalla strada dopo le pompe di drenaggio che attraversa il lago a poche decine di metri dalla sponda merionale del Birket Siwa e avanza come un miraggio in direzione dell Adrar Amellal. Nel bassofondale salmastro ci sono numerosi fenicotteri, il sale brilla ovunque, sulla strada, negli accumuli intorno agli steli dei giunchi che sbucano dall’acqua e nella forma più spettacolare delle rose di cristalli che di tanto in tanto affiorano dalle sponde. Nel lago sguazzano diverse specie di volatili acquatici e Serena presa dalla voglia di riprendere da vicino i pacari, finisce nelle sabbie mobili e s’incazza con me perché prima di aiutarla ad uscire gli faccio un po’di foto. Si prosegue ancora un po’ ma poi la strada finisce, ci sono solo poche decine di metri di melma e poi la strada riprende il suo percorso, ma il rischio di rimanere piantati nelle sabbie mobili è troppo elevato e quindi si torna indietro, vuol dire allungarla di almeno una quindicina di chilometri ma la giornata è ancora lunga e c’è tutto il tempo per farlo, voltiamo le spalle all’Adrar Amellal che ormai era vicino e ritorniamo sui nostri passi fino alla zona delle pompe, si segue il canale sul lato sud finché non si spenge nella sabbia e poi si comicia a piegare verso ovest. Fa caldo, si cammina ai bordi del deserto fra cespugli rinsecchiti e giunchi, ogni tanto delle palme cespugliose, sempre più piccole, fino all’ultima ormai secca intorno alla quale si concentrano insetti e piccoli rettili tanto da farla sembrare una metafora dell’oasi. Avvicinandosi alle sponde del lago le croste di sale riaffiorano nel terreno, ci sono nuovamente le palme e i tamerici, poi solo giunchi che crescono fra le piccole dune, a volte il terreno salmastro diventa acquitrino e bisogna fare attenzione perché le sabbie mobili non sono facili da identificare. L’assenza di vento rende il lago una meravigliosa lastra liquida di un intenso azzurro mare, che si ammira magnificamente salendo sul culmine delle dune che poi sinuose si tuffano nel lago oggi specchio meraviglia in cui si riflettono le sagome delle montagne che chiudono il lato nord del bacino. Il bordo del lago segue un disegno ondulato che spesso si distende in piccole spiagge anticipate da una macchia cespugliosa di tamerici e adornate di giunchi e piccole palme, le dune in questo tratto sono relativamente alte e spesso svelano pozzaloni di acqua dolce trasparente e senza tracce di sale, sono queste le zone più ricche di vita e la sabbia è disegnata dalle tante tracce di animali, insetti, rettili, piccoli uccelli, che ogni tanto fanno capolino sulla sabbia calda, tutte le creature hanno movimenti frenetici quando camminano sulla superficie calda della sabbia, specialmente le lucertole che sfrecciano veloci come creature virtuali dentro un videogioco. È un concentrato di vita questo incontro fra le sabbie del Sahara e il lago salato, un paesaggio inusuale e superbo, saturo di colore e dominato dalla montagna bianca dall’Adrar Amellal, i tanti picchi che ci circondano fanno pensare a quote elevate ma in realtà siamo dentro ad una depressione e stiamo camminando a una ventina di metri sotto il livello del mare. Le dune qui vicino al lago sono più vegetate, si attraversa uno stagno secco ricoperto da vigorose spighe rosse e da un erba dalle inflorescenze viola, poi la zona torna più umida e ricompaiono i classici pennacchi dei cannicci, è un girare intorno a stagni, pozze e dune, peferisco allungare il percorso per girare intorno ai pozzaloni dove gli sprofondamenti sono sempre in agguato. Fa ancora tanto caldo ma comincia ad essere mitigato da un accenno di brezza e poi ora il paesaggio comincia ad essere esaltato da una luce che mam mano che il sole si abbassa sta diventando sempre più bella, Adrar Amellal come un gigantesco tempio che si erge dalle sabbie e ci fa da faro in questo avanzare sinuoso, mentre le grandi dune del mare di sabbia occidentale si ergono maestose in lontananza. Incrociamo una pista e poi degli impianti di irrigazione che si distendono nel deserto, la zona della presunta tomba di Alessandro Magno non dovrebbe essere lontana. Come un miraggio comincia a prendere forma un rudere fra le sabbie che si confonde nella luce accecante dell’ovest, è come una torre e avvicinandosi si vede che è costruita con mattoni crudi che mi ricordano la Piramide Nera di Dahshur, ma è molto più modesta e sicuramente più recente e quel che rimane è una porzione di una robusta muratura ora alta una dozzina di metri la cui parte bassa è costruita in pietra e da cui si intuisce che partivano più pareti. Davanti alla “torre” c’è la la pianta di un tempio in pietra, le tracce di uno scavo archeologico e delle grandi lastre ben squadrate di pietra, è un sito grande ma non enorme sarà mille metri quadradrati, si capisce anche che è stata accostata sabbia allo scavo per chiudere un probabile ingresso sotterraneo, comunque da quello che si vede niente può far pensare che questa sia la Tomba di Alessandro Magno.
Siamo ormai ai margini dell’oasi che si sviluppa sul margine occidentale del lago, ancora qualche piccola duna e altri impianti di irrigazione a goccia circondati da tante tracce di animali evidentemente attratti dall’acqua, poi un’ultima duna e si scende fra canneti, pozze e coltivi fino ad arrivare dentro un villaggio di mattoni crudi ormai abbandonato, siamo dentro l’oasi di Maraqi. Anche qui ci sono vasche e canali ricchi di zanzare e garzette e anche grandi palme, il terreno diventa compatto e dopo un paio di chilometri si entra nel villaggio abitato di Maraqi, la sorpresa e la curiosità nei nostri confronti è tanta, la senzazione di essere visti come alieni respirata tante volte nelle zone più isolate dell’Alto Atlas marocchino fa strano, perché siamo a meno di venti chilometri da Siwa, è un villaggio molto povero e come tutti i posti ricchi di squallore materiale eccelle in generosità che qui si manifesta negli inviti a prendere un the. Lasciamo il villaggio fra la perplessità degli uomini che, visto l’approssimarsi del tramonto si volevano adoperare per cercarci un passaggio fino a Siwa, ritorniamo verso il lago passando a fianco alla montagnola posizionata fra Maraqi e l’Adrar Amellal anche questa ricca di decine e decine di sepolture, le camminiamo intorno dal lato meridionale per poi ritrovarsi nella zona degli ecolodge. Come sempre anticipando di poco il ponere del sole, gli stormi delle garzette si involano dal lago verso i palmeti, sono tante e volando basse disegnando una surreale nuvola bianca riflessa nel lago che non riesco a fotografare. Il sole infuoca l’Ovest, da qui lo vediamo scendere dietro canne e giunchi dai pennacchi diventati di fuoco, mentre la sua luce calda illumina la sagoma ora rosa dell’Adrar Amellal che si riflette maestosa nell’immobilità del lago. Aten tramonta in un’esplosione d’arancio e subito la temperatura si abbassa, un arbusto ormai secco emerge parzialmente dalle acque vitree, sui rami il sale ha disegnato delle algide sculture barocche che sembrano annunciare la risalita dal fondo di una pallida fata. L’atmofera di fiaba è bruscamente violentata dall’arrivo di una nuvola di fameliche zanzare bianche che ci invitano a riprendere il cammino lungo la strada rialzata, intorno fra i canneti gli uccelli pescatori sono in piena attività e fra loro anche il minuscolo martin pescatore, poi sulla laguna cala la notte e il silenzio è interrotto di tanto in tanto solo dal saltare dei pesci, mentre nel cielo si accende una grande stellata che si riflette nel lago. Ritornati sulla strada asfaltata un gippone ci offre un passaggio fino ai limiti dell’abitato di Siwa che raggiungiamo passando dai vicoli interni per incontrare un’ultima volta le donne avvolte nei tarfoulet e poi ceniamo per l’ultima volta a Siwa. C’è un’atmosfera mista di gioia per il proseguire del viaggio che riprende dinamicità e di malinconia per lasciare un luogo speciale e non omologato, come già altre volte sale su un magone di lutto per la percezione netta di un prossimo repentino cambiamento che cancellerà per sempre questa magia fatta di tradizioni e ritmi morbidi. Salutiamo Silvia e Daniela, ringraziandole per il preziosissimo aiuto che ci hanno dato per “Base Elba” e per il piacere di riparlare italiano dopo tanto tempo e poi un ultimo giro notturno dentro Shali, splendida e decadente musa di sale e fango.