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Souk Libia
Finalmente una giornata di sole, sulla spiaggia i bimbi giocano a pallone e qualcuno fa anche il bagno naturalmente vestito come usa qui, alla fine della spiaggia verso ovest ci sono gli ormeggi dei pescherecci che con la bassa marea si adagiano sul fondo. Su una barca con la Ka’hah (il cubo nero della Mecca) disegnata sui due lati della prora ci sono delle persone che stanno sistemando le reti in attesa di partire con l’alta marea, gli chiedo se posso uscire con loro a pesca  ma mi spiegano che non si può perché la polizia non vuole che portino turisti o comunque stranieri. Ci spostiamo verso Souk Libia, il mercato che è come sempre la parte più colorata e viva di ogni città o paese. I banchi policromi e profumati della frutta e della verdura mettono di buon umore, così come la fiumana caotica ma pacifica di uomini, donne e bimbi, tutti sempre attenti alle urla aggressive dei piloti dei carri che con cipiglio da conduttore di quadriga del circo massimo di Roma, conducono fra i vicoli congestionati le loro sgarrupate vetture al traino di ciuchi scoloriti e frenetici, tutti acuminati da un  abulica espressione equina di rassegnata sconfitta. Falsi e bercianti come tutti i mercatai, i venditori riempiono il souk di proclami strillati e favori bisbigliati e le donne che vivono questo rito becero e falso come un’illusione di corteggiamento ammiccando falsamente austere da dietro i chador.
Africa e Oriente si miscelano nel caos armonico di questo souk ricoperto da teli lisi e ombrelloni sponsorizzati, prevalentemente è un mercato ortofrutticolo dove spiccano per dimensione cavoli e fragole, ma qui si vende di tutto dalle sezioni di copertone usato, alle mucche che insieme ai vitelli e alle pecore attendono pacifiche sui cassoni dei pik up. Andando avanti si incontra il mercato del pesce dove fra i tanti pesci dall’occhio albino spiccano dei bei totani che a breve diventeranno un risotto. Nel centro i cafè sono affollati dagli uomini venuti da fuori per il souk che si fermano per concedersi the e shisha, mentre le donne aspettano sedute nei cassoni dei furgoni telonati lontane dagli sguardi indiscreti. Le televisioni ormai sono fisse sui canali che trasmettono le notizie da Gaza e alle pareti dei locali stanno aumentando le bandiere egiziane. Nella striscia è sempre più guerra.