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Sabato 29 Marzo 2008 Anefgou – Bousserfin

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Il padrone di casa ci sveglia alla cinque per la colazione, ci prepariamo per la partenza. In paese c’è grande mobilitazione, stanno arrivando tante donne per la cerimonia luttuosa, è come una  migrazione di donne in gruppi famigliari, alcune in sella a asini e muli, la maggior parte a piedi. Siamo controcorrente rispetto alla migrazione delle donne, sembra che vadano ad una festa più che ad un evento luttuoso, alcune fra le più giovani sono vestite in maniera elegante e vistosa e cavalcano con intorno “cortigiane pedestri”, forse vanno a proporsi come moglie dal vedovo che è rimasto solo con quattro bimbi piccoli, sembra di essere dentro un film in costume. Il viottolo  diventa pista, poi si svolta a destra e si entra in una valle piena di cedri. Sono i famosi cedri dell’Atlante, questa è la foresta più meridionale, sono alberi giganti padroni assoluti di questa zona. La pista cammina lungo il corso del fiume che la taglia spesso facendoci fare tanti guadi, sul primo costruiamo un”ponte” poi si guada alla meglio. Su un viottolino stretto e ripido, alto sul fiume Tambone si cappotta, per fortuna senza farsi male, bisogna scaricare tutto il carico e portarlo in basso e già che ci siamo si mangia. I cedri sono sempre più grandi, mentre il cielo comincia a farsi minaccioso con grandi nuvole grigie, è da stamattina che stiamo salendo, siamo nuovamente molto alti, ogni tanto si incontrano delle case isolate. Sotto un cielo sempre più minaccioso attraversiamo terre colorate di rosso e di verde, arrivati in cima ad un passo la neve ritorna ad accompagnarci. Veniamo circondati da un gruppo di bimbi apparsi dal nulla, sono spauriti e eccitati hanno gli occhi sgranati e urlano, mi fanno impressione è la prima volta che vedo una cosa del genere sembrano drogati. Il capo avrà una decina di anni, dice di seguirlo ché la strada che ho preso porta nella selva e non a Midelt, insiste delirante che devo seguirlo, pianti, urla, capelli strappati, una scena inquietante e tristissima, arriva un ragazzino più grande sui quindici anni, con fare da bimbo bono e occhi da vile, anche lui ci vuole portare fuori via, lo blocco mentre cerca di aprire il tagrart. Fra scene deliranti andiamo avanti per più di mezzora poi si defilano. Sono rimasto turbato da questi bimbi dagli occhi sgranati in preda ad una specie di attacco epilettico, vorrei capire da cosa erano alterati. Continuiamo a salire, il vento ed il freddo aumentano la drammaticità del paesaggio, finalmente si vede sul culmine della via  il villaggio di Anemzi, spoglio e austero è velato dai  fumi bassi dei camini che contrastano la morsa di gelo, fra i ripetitivi parallelepipedi gialli delle case spicca e disturba una villa in costruzione con la classica architettura europea. Il sole sta tramontando e c’è una rasoiata di luce rosa molto bella, ci si avvicina un gruppo di uomini vestiti di nero, il più grasso si presenta come presidente del villaggio, sono curiosi e amichevoli, ci vogliono dare un passaggio con il pick up del “presidente” e ci danno un po’ di informazioni, molto confuse per la verità: la distanza da Agoudim varia dai quattro ai cinquantaquattro chilometri, ma sempre nella massima gentilezza. Ci salutiamo rifiutando gli inviti di ospitalità che singolarmente ognuno ci ha fatto e si prosegue. Qui la pista diventa strada asfaltata e inizia a scendere, un ultimo sguardo a ponente verso le vette già incontrate e poi la discesa che ci apre un nuovo magnifico scenario sulle catene del Masker e del Jbel Ayachi. Incontriamo due anziane donne che stanno rientrando in paese curve sotto un enorme fascio di legna, hanno il mento a mezzo metro dalla strada, ma trovano la forza di salutare per prime e di chiedere incuriosite chi siamo, da dove veniamo e se l’asserdoom è nostro. Scendiamo mentre cala la notte, l’idea è quella di fermarsi nel borgo di Bousserfin, che dovrebbe essere a sei chilometri da Anezmi, dove ci dovrebbe essere una gite. Arrivati in paese ci vengono incontro dei bimbi, gli chiedo della gite, mi indica in viottolo in mezzo al nulla che va verso il fiume, decido di proseguire sulla strada. Incontriamo una casa con un cartello di un associazione culturale, busso e mi apre una ragazza che ci offre ospitalità, è una famiglia solare e accettiamo di buon grado. Si scarica Tambone e si entra nella casa dove vivono due ragazze giovani con due bimbi piccoli, un ragazzo, la nonna e il nonno un tipo ganzo, sordo e ridaccione che è contentissimo della nostra presenza. Passiamo la serata guardando le foto del viaggio e dell’Elba che conservo come i preziosi di famiglia nel pc.
   

30 gennaio 2008: TIZNIT – MAROCCO

 
 Dopo una lunga sosta a Tiznit per ordinare e spedire materiale, mi rendo conto che ogni tanto bisogna che mi fermi per sistemare il materiale e idee, se no le cose si accavallano e diventa tutto più complicato anche in un viaggio così libero ci vuole disciplina.
La voglia di mare è forte, averlo così vicino, da Tiznit dista solo 17 chilometri, e non vederlo è una tortura, domattina vado ad Agadir, solo un giorno per poi ritornare a Marrakhech, ma un giorno al mare.
   

27 gennaio 2008: TIZNIT – MAROCCO

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 Giornata tranquilla passata a scrivere, nel pomeriggio faccio un giro in paese c’è fermento per la Coppa d’Africa, alle 18 gioca il Marocco, è la sfida decisiva se perde va fuori, tutti i bar si sono attrezzati per l’evento e quelli che hanno la televisione grande fanno pagare il biglietto, per il Marocco si mette subito male e poi peggio, mentre il Ghana si appresta a trionfare il barista bigliettaio deluso frulla per la via tutti i biglietti che aveva preparato per le sfide future.
Tiznit è un posto tranquillo e accogliente che si addormenta presto, esco da internet e non c’è più nessuno in giro, incontro solo una giovanissima mamma con un bimbo piccolo piccolo che si sta preparando il giaciglio sul marciapiede.
   

26 gennaio 2008: TIZNIT – MAROCCO

 
Faccio un giro nella medina, è molto tranquilla non ci sono turisti, ma quelli che potremmo definire nuovi coloni, ci sono tanti pensionati europei che svernano qui, alcuni vi ci sono proprio trasferiti e sono felicissimi della loro scelta.
Il reddito mensile medio di un lavoratore marocchino non supera i 200 euro e con questi diciamo che si manda avanti una famiglia, è chiaro che un pensionato, o meglio una coppia di pensionati europei qui vive alla grande permettendosi un tenore di vita impensabile nel proprio paese, stando al caldo e al mare, inoltre sono ben visti perché spendono molto.

Il potere d’acquisto crea nuovi flussi migratori, si va verso un’Africa di vecchi europei e un’Europa di giovani Africani.

Certo che se tutto questo denaro di provenienza europea, dei Pensionati e dei lavoratori Africani, venisse ben investito, in Africa ci potrebbero essere delle prospettive di sviluppo interessanti per questo Continente e per lo stesso motivo preoccupanti per l’Europa.
Io credo che una comunità sana abbia bisogno delle persone di tutte le età, come non è sano vedere i paesi nel deserto abitati da nonni e bambini, allo stesso modo è monca e triste una famiglia senza nonni, da sempre filo di congiunzione fra le generazioni. La nostra Isola è un posto benedetto dai privilegi di una natura estremamente benevola, tale da permettere una socialità sana anche in questo “mondo difficile”.
L’Elba è un luogo abitato da tanta bella gente saldamente radicata nel “fero” e nel granito, queste preziose radici che vanno curate e concimate e consegnate forti alle generazioni future, perché le radici sono più potenti di qualsiasi scudo spaziale e non temono nessuna sorta di mangiafoco.
   

Mercoled?¨ 23/01/2008 – QUARZAZATE – AIT BENHADDOIT – TAFRAOUTE

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 Lasciamo Quarzazate e ci spostiamo ad Ait-Benhaddoit che è una una Porto Cervo del deserto Marrocchino, bella ma finta.
E’ stata infatti quasi tutta ricostruita per girarci dei film, gli abitanti sembrano quasi degli intrusi, è l’unico paese del Marocco dove ho visto i cestini per la spazzatura. Il panorama che si gode da qui è comunque superbo, si domina un deserto dai mille colori e le vette innevate dell’Atlante, anche l’attraversamento del fiume per raggiunge l’agglomerato è molto scenografico.
Lasciamo la zone delle oasi e iniziamo ad attraversare l’Anti Atlante, sono zone bellissime, aride e selvagge, non ci sono insediamenti umani per decine di chilometri e anche il traffico è pressoché inesistente.
Si attraversano diversi valichi sui 1500 metri di quota, poi iniziamo a scendere verso una zona pianeggiante ma sempre desertica. Qui non ci sono turisti e nemmeno arabi, solo berberi duri e spigolosi, si respira ostilità, ci fermiamo a mangiare qualcosa. ci sono simboli berberi sui muri e nelle rocce c'è un'atmosfera che ricorda l’interno della Corsica ma l’ambientazione è molto meno famigliare. Si prosegue nel deserto di roccia, sono zone poverissime, ogni tanto si incontra un gregge di capre o qualche persona a piedi, diamo qualche passaggio, lasciandoli poi in luoghi senza vie apparenti da dove si avviano nel nulla. Offriamo un passaggio ad un nonno con la nipote, villaggi Berberi, queste zone sono molto povere e i giovani vanno a cercare lavoro verso la costa di Casablanca o, ancora più frequentemente in Europa molto ambita per via del cambio estremamente favorevole. Quindi si vedono spesso bimbi con i nonni, nei paesi ci sono pochissime persone fra i 20 e i 40 anni e i bimbi sono tirati su dai nonni che sono sempre molto affettuosi. Penso allo shock che subiranno questi bimbi quando, probabilmente fra qualche anno, si troveranno catapultati dal medioevo dell’Anti Atlante a qualche metropoli Europea.L’anziano signore mi chiede di fermarmi vicino ad un pozzo, cosi la bimba potrà bere dal secchio, ringraziandomi mi invita a sciacquarmi e a bere. Dopo la piacevole rinfrescata ci salutiamo e il nonno e la nipote si perdono nel paesaggio arido. Il paesaggio cambia quando si entra nella Valle degli Almen dove ci sono diversi piccoli villaggi colorati. C’è qualche palma ma soprattutto ci sono gli alberi di Argana dai cui frutti si ricava il prezioso olio. I piccoli borghi sono incorniciati da un crinale granitico con le vette che superano i 2330 e nella forma e nei colori ricordano le Calanches della Corsica.Arriviamo a Tafraoute, dominato da una spettacolare roccia di granito a forma di testa di leone.
In paese non ci sono turisti, le vie sono poco trafficate, i ragazzi, quasi tutti al club internet a giocare alla play station.
Anche qui si considerano berberi puri, odiano gli arabi che vengono considerati vagabondi.
La zona è molto bella e domani voglio fare un giro fra questi graniti. Sono daccodo con Houssain che ci ritroviamo in paese nel primo pomeriggio.
   

Domenica 20/01/2008 – ERG CHEBBI – ZAGORA

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Deve ancora albeggiare quando viene data le sveglia. Vengono caricati i bagagli sui dromedari e uno alla volta con il proprio ospite, gli animali si mettono in piedi e poi, in fila indiana, iniziano il percorso di ritorno. Le luci dell’alba sono ancora più belle di quelle del tramonto, seguo la carovana da lontano cercando inquadrature suggestive. Il sole sale velocemente così come la temperatura, sono stato solo una quindicina di ore nel deserto ma è stato ricco di emozione e suggestione. Ritrovo Houssain, saluto il gruppo del deserto e mi scambio gli indirizzi con Kounta che mi raccomanda di stare all’occhio quando sarò in Algeria.
Voglio andare a vedere gli acquedotti abbandonati dell’Oasi di Erfoud. Arrivati alla caserma, dopo un pò di anticamera ci danno appuntamento al bar principale del paese. Arrivano il capo e il vice che sembra tutto il mitico maresciallo “paletta”, ci saranno quaranta gradi ma il capo è tutto abbottonato dentro un pesante cappotto color cammello, porta un paio di baffoni alla "quando eravamo comunisti", calzettoni a quadri e ciabatte alla Ciaccionazzo. Mi fa un terzo grado dallo scontato finale: nel sottosuolo ci sono le ricchezze della patria ed è meglio tenerle lontane dagli sguardi degli infedeli , specialmente se un pagano dazio. Prendo atto e ringrazio pensando di ritornacci più alla zitta.
 Partiamo alla volta di Zagora si attraversa un deserto di pietra scuro circondato da severe montagne nere, il panorama e scarnamente adornato da rade acacie che sembrano uscire dalla roccia compatta, la strada è un rettilineo infinito affiancato da una linea elettrica . Ogni tanto si incontrano uomini vestiti pesantemente su biciclette che sembrano andare verso il nulla, anche le tende dei nomadi appaiono e scompaiono come miraggi. Avvicinandosi alla Valle del Draa iniziano costruzioni di pisè, in questa gola inizia la la più grande palmera del Marocco che poi continua ancora più estesa in Algeria. La strada e costellata da venditori di datteri, in pratica l’unica prodotto della zona, qui si ha ben presente il concetto di desertificazione e cosa può essere la guerra per l’acqua.
Arriviamo a Zagora, la porta del Sahara, da dove, quando le frontiere erano aperte in 52 ore di cammello si raggiungeva la mitica Timbuctu, per un altra notte nel deserto. Stessa situazione del giorno prima, nel deserto da solo non si può è pericoloso: guida cammello e si parte. Il paesaggio è molto meno eccitante rispetto al Erg Chebbi , il deserto non si vede, solo una strada polverosa in mezzo ai campi , potrebbe esse un viottolo dalla Galea alle Paglicce quando è tanto che un piove.
Cammino chiacchierando con la guida che si chiama Haissa, a 28 anni, è un ragazzo simpatico e onesto, mi spiega che a Zagora sono tutti contenti che l’Algeria abbia la frontiera chiusa sennò i turisti andrebbero tutti li dove c’è il Grande Erg il vero deserto di sabbia.
Si vestono da Tuareg perché ai turisti piace così ma qui sono tutti berberi e lui come tutti prima di fare la guida lavorava nella coltivazione dei datteri, “ i Tuareg “ dice “sono neri , non amano lavorare nelle oasi ne tantomeno con i turisti, e poi in Marocco non ci sono, vivono in Mauritania e in Mali ma io” prosegue “ non li ho mai visti”.
Dopo un oretta di cammino arriviamo al campo dove ci sono delle piccole dune, la luna piena rende tutto molto suggestivo, con i disegni geometrici che le luci e le ombre disegnano fra le pieghe sabbiose delle dune ma è un ”Truman Show”, si vedono vicine le luci del paese e di fianco al campo passa una strada. Haissa e i suoi colleghi fanno un pietoso spettacolo di musica berbera per due Estoni slavate e un Brasiliano, io me sto fra le piccole dune a pensare ai danni che fa il turismo poi, quando si fa silenzio mi metto a dormire.
   

Venerdi 18/01/2008 – QUARZAZATE – THINERHIR – GOLE DEL TODRA

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Dopo aver dato un occhiata alla Kasbah di Quarzazate si parte in direzione dell'oasi di Skoura, si passa davanti al lago artificiale e, poco dopo, vado a fare un giro in un villaggio che sembra abbandonato, ma in realtà, fra i muri sgretolati, ci sono case abitate con grandi antenne paraboliche. Sento delle voci , le seguo, e vedo delle donne che lavano al fosso che mi fanno capire che non vogliono essere fotografate e che se me ne vado è meglio – proprio come all’Elba nel fosso di Pomonte. Peccato perché è bellissimo, un'esplosione di colori e movimenti che sanno di festa.Arrivato all’oasi di Skoura, con le palme molto rinsecchite per la siccità, vado a vedere la bella Kasbah Amerhidl considerata la più bella del Marocco, Hussain è strano sembra che è la prima volta che viene qui ma continua a dirmi che lui è uno specialista del deserto e ogni volta che ci si ferma si mette a dormire in macchina.Si prosegue attraversando la valle dei Dades, finalmente guido, si attraversa un deserto di pietra rossastra dove ogni tanto appaiono delle chiazze bianche di sale, ogni volta che si attraversa un centro abitato le strade sono piene di bimbi, è tutto molto bello ma mi sento un pò prigioniero, sono comunque ospite e quindi mi devo adattare.
Arrivo a Tinerhir un paesone su un altopiano da cui si domina la rigogliosa oasi del Todra con alle spalle le gole rosse e sullo sfondo le nevi dell Atlante.
Nel punto panoramico un tristissimo dromedario e un paio di ragazzi mascherati da tuareg aspettano qualche turista. Scendiamo nella Valle e ci fermiamo in una struttura di amici di Hussain.
Vado a fare un giro risalendo la valle dalla Palmeira (palmeto), che man mano che risale la valle si stringe, inizialmente le palme sono sui lati, con all’interno olivi, mandorli, melagrani ed orti tutti irrigati da canali e divisi da muri, poi diventa in pratica una fila di palme nella gola stretta, è un luogo silenzioso, si sente solo il rumore dell'acqua ma c’è tanta gente che ci lavora: uomini e donne. Sembra tutto completamente estraneo al frenetico movimento di pulmini e fuoristrada che entrano veloci nella valle dalla strada per andare a veder le gole, l’impressione è che questo movimento turistico "guarda e vai" alla gente del posto non lasci niente oltre il rumore e i venditori di souvenir che mi dicono venire da altre zone.
Entro nelle gole al tramonto e non c'è quasi più nessuno, all’inizio del punto più stretto, su una parete impressionante alta almeno 200 metri, tre scalatori stanno scendendo in corda doppia, il posto è bellissimo, un canale stretto e sinuoso scavato dall’acqua nella roccia rossa, ma la strada che lo attraversa rende l’aria irrespirabile, sembra di essere in una camera e gas. Poi hanno e continuano a costruire alberghi e alberghetti. Superata la strettoia il panorama si apre a monte verso le vette innevate e l’acqua scompare sotto le rocce.
Sarà perchè sono solo e fuori orario ma i bancarellai mi pigliano per una guida turistica in ispezione e mi offrono tangenti se domani porto il gruppo da loro.
Che tristezza un posto da favola rovinato da un turismo fugace che distrugge e mangia l’anima alla gente.
   

Luned?¨ 31/12/2007 – ALGECIRAS

Umberto
 Mattina a Gibilterra per acquistare una reflex digitale poi in bus da Linea ad Algeciras.Questa città è uno di quei posti che se non ci sei nato e non ti ci hanno mandato a lavorare non ci andresti mai: un porto industriale circondato da raffinerie, e ma è un punto quasi obbligato per andare in Marocco.La nave salpa alle 21, a bordo c’è una piccola moschea come se il Marmorica avesse una chiesetta sul ponte principale.La baia di Gibilterra è illuminata dalle navi e a terra iniziano i primi fuochi d’artificio sia dalla parte spagnola che da quella inglese, doppiamo la mitica Trafalgar e le luci d’Africa si avvicinano veloci.Lo sbarco a Tangeri è rallentato dal portello bloccato, a parte il piccolo inconveniente è tutto molto, tutto molto facile non c’è nessun controllo di frontiera. I primi odori di Tangeri non sono gran chè “sembra di esse sul giraglia”. Arriviamo alla stazione dei pulman, è già 2008 ma qui non gliene frega nulla, i ragazzi giocano tra le palme della piazza, c’è un ora di tempo prima della partenza per Casablanca, ci fermiamo in uno dei tanti bar ristorate della zona, tutti pieni e frequentati solo da uomini .Prima cena africana: un pollo arrosto patate riso e sardine per circa due euro.

Domenica 30/12/2007 – GIBILTERRA

Gibilterra
 Partenza alle 7 dalla stazione dei bus di Malaga, la strada scorre lungo la costa e l’alba scopre colate di cemento su colate di cemento, gru cantieri case su case, alberghi e casermoni enormi cartelloni di agenzie immobiliari senza fine, solo un breve tratto di erba con tori e mucche nere, poi torna villette e palazzi…Finalmente Linea e sullo sfondo le famose Rocce Bianche di Gibilterra, da sempre sognate e viste con la mente di bimbo grazie ai racconti dei marittimi della “tera di Glauco” i racconti di “Burrasca e del Moro” di Angelo, eroici isolani nati contadini e diventati cavodurnisti per miseria.Linea è un posto vero dove non è tutto in funzione del turista, è domenica e ci sono le famiglie del posto al ristorante con 8 euro si fa un pranzo completo.Per andare a Gibiltera bisogna passare la doppia Frontiera, si attraversa l’aeroporto che è anche strada, pista ciclabile e passaggio pedonale; quando arriva o parte un aereo suona la sirena e si libera la pista.Qui è tutto è english style e Nelson è un icona presente da tutte le parti, più di Napoleone all’Elba. Gibilterra è porto franco dove elettronica e alcolici la fanno da padroni, il centro è una serie ininterrotta di negozi. Lasciamo il paese e iniziamo a salire verso le vette del promontorio. Finalmente silenzio, si sale ripidamente fra fortificazioni antiche e gallerie e batterie dell’ultimo conflitto, la vegetazione è rigogliosa, c’è acqua dolce indispensabile ricchezza di ogni baluardo militare, spiccano le bellissime palme nane ma ci sono tanti olivastri e anche lecci.
Salendo incontriamo i famosi macacchi di Gibilterra si vede che sono abituati alle persone è facile farci amicizia.
Dalla vetta del promontorio ammiriamo un tramonto sulla baia di Gibilterra che ospita decine e decine di grandi navi, sullo sfondo l’Africa e le montagne marocchine.

Luned?¨ 24/12/2007 – MONTPELLIER

 A Ventimiglia cambio veloce per Nizza su un treno francese. La famosa costa azzurra molto cementificata e Montecarlo con i suoi lussuosi panfili, un’ora a Nizza per fare colazione con cioccolata, baguette e marmellata e poi un treno confortevole fino a Montpellier.
Il cielo si apre e i colori sono familiari, c’è tanto pino di Aleppo e poi sughere, lecci e ginestre, i vitigni sono estesi e molto bassi, il colore del terreno alterna il giallo all’ocra tendente all’arancione.
Image A Montpellier (nella foto) c’è un gran sole, la città è viva e allegra una vigilia di Natale che sembra primavera. Montpellier è multietnica, ma si respira l’aria gitana della Camargue, dopo tre ore piacevoli si riparte in treno direzione Barcellona. Il treno spagnolo è più vecchio e meno ordinato, ma più spazioso e colorato, dai finestrini si vedono i famosi cavallini bianchi, sorge una splendida luna piena e il riscaldamento a palla del treno porta l’Africa a bordo. Faccio amicizia con un bimbo di 2-3 anni. Arriviamo a Barcellona alla stazione franca alle 21,45 in un’ambientazione surreale, la stazione è deserta e tutto serado è la vigilia di Natale. Hotel davanti alla stazione, poi in giro nella città vecchia, c’è un concerto nella cattedrale stracolma di gente, ma alla messa di natale preferisco una cena che risulta molto difficile tutti stanno chiudendo, quando sto per perdere la speranza un accogliente taverna, totani ripieni e patate al baccalà Buon Natale