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Oasi di Douz

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Oasi di Ksar Ghilane

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Il Villaggio di Ksar Ghilane

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Il Forte nel Deserto

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Le Formiche del Sahara

 

Il Deserto di sabbia
Sveglia di buio per vedere l’alba sulla grande duna di Douz che è proprio davanti agli albergoni e poi non è cosi` grande. Il sole sorge gigante dietro le sagome delle palme, il cielo si incendia e le piccole dune del deserto prendono forma. Sono deluso dalla duna soprattutto perché decantata come la Grande Duna, mi aspettavo quacosa di simile alla Grande Duna di Erg Chebbi nei pressi di Marzouga in Marocco che avevo visto a gennaio. Questo è il desertino dei mille balocchi, alzato il sole si è scatenata la baraonda: i quad,  le moto e i fuoristrada alzano polvere e rumore, tutti in fila fanno una specie di girotondo fra le dune bianche davanti a noi e poi ritornano alla base, si alza anche un ultraleggero che fa dei microvoli di cinque minuti a rotazione, ma nel giro di mezz’ora tutto si quieta. Le dune sono piccole ma belle, di colore chiaro quasi bianco con i soliti magici ricami sinuosi di sabbia e ombra, è un posto divertente per giocare a fare salti e scivolate, pero` scalzi perché con le scarpe si fa troppa fatica e poi si riempiono di sabbia. Rientrano le carovane dei cammelli che hanno  portato i turisti a dormire nel deserto, in realtà molto vicini alla zona turistica ma infossati dentro le dune per coprire le luci del centro abitato, credo che abbiano dato un senso di Sahara selvaggio ai turisti, l’immagine dei cammelli in fila indiana fra le dune rimane comunque molto bella, ma lo spettacolo massimo di queste dunette sono i “Tombolamerda” gli scarabei che camminano veloci sulle dune lasciando una traccia simile a quella di due minuscoli cingoli. Camminiamo per tre ore fra le dune e poi rientriamo alla “grande” duna dove i finti Tuareg si stanno preparando all’arrivo dei turisti portando cammelli e allestendo le bancarelle di souvenir. Questo è un deserto per tour operator, c’è anche la pista dei go kart da sabbia che anche mi garbano ma non è certo questo il deserto che cerco. Attraversiamo un tratto della grande oasi rigogliosa con le sue tante palme ricche di caschi di datteri ricoperti con fogli di nailon per proteggerli dall’umidità della notte, poi passiamo dal villaggio appena oltre la zona turistica, questo è il paese dei cammelli ce ne sono a centinaia probabilmente le “navi del deserto” perlomeno in questa zona sono ancora legate all’uomo per il turismo in quanto le attività carovaniere sono ormai state soppiantate dai camion. Sono pochi chilometri ma è una  realtà completamente diversa da quella a ridosso della duna, fra le case semidisastrate, capre, cammelli, asini e tanta spazzatura. Proseguiamo in direzione Matmata, la strada è bella nel deserto roccioso si incontrano di tanto in tanto stentati cespugli dove pascolano piccoli branchi di dromedari selvatici, uno si ferma in mezzo alla strada ignorandomi, segno evidente che di traffico ce n’é poco, vale comunque la pena di fermarsi per godersi le espressioni ingonghi dei cammelidi e le puppate energiche di un piccolo, qualche foto e si riparte voglio andare all’oasi di Ksar Ghilane per vedere il vero deserto di sabbia, il Grande Erg Orientale. Le guide dicono che la strada è percorribile solo con i fuoristrada ma comunque vale la pena provare, dopo una settantina di chilometri sulla destra con a fianco un piccolo cafè, il bivio per l’oasi, ci sono tre persone, uno è un poliziotto e mi ferma, temo che mi dica che la strada è solo per i fuoristrada e invece è solo per chiedermi un passaggio per un collega che poi in realtà si rivela il direttore dell’accampamento fisso che si trova dentro l’oasi. La strada è agevole dritta e piena di dossi, meno male se no ci sarebbe da addormentarsi, man mano che si avanza le dune si sostituiscono alla roccia e la sabbia ogni tanto invade la sede stradale, dopo una trentina di chilometri, circa a metà strada incontriamo la stazione di un gasdotto, da qui la strada diventa sempre più stretta bisogna andare forte quando c’è la sabbia per prende’ ” la ire” come diceva il Moro. E` divertente un po’ come quando dopo le sciroccate serie, il lungomare di Campo si riempie di sabbia, solo che qui per evitare di rimanecci in mezzo bisogna entracci a palla. All`improvviso come un miraggio il villaggio, poco più che una serie di distributori (baracche circondate da fusti di benzina e gasolio) e di abitazioni con il tetto a botte e i panneli fotovoltaici, il tutto arso dal sole e senza nessun albero. E` il classico villaggio di frontiera dei film, quello prima del punto di non ritorno e in effetti, nonostante sia una zona ricca di petrolio, è l’ultima stazione di rifornimento prima di addentrarsi nel profondo sud Tunisino, il prossimo luogo dove è possibile rifornirsi è Borj el Khadra un avamposto militare, il punto più meridionale di questa nazione, che si trova a pochi chilometri da Ghadames la mitica città di carovanieri Tuareg nell’odierna Libia.
Walid (il nostro passeggero che nel frattempo si è svegliato) mi dice di proseguire a destra su una pista sterrata in direzione dell’oasi, due tre curve a novanta gradi e poi un tratto che finisce appena prima di rimanerci dentro, ancora qualche centinaio di metri e siamo all’accampamento nel cuore dell’oasi di Ksar Ghilane. Questa è proprio la classica oasi dell’immaginario colletivo, le palme, la sorgente, il laghetto e poi le dune tutt’intorno. E` incredibile con quanta forza esca l’acqua che  permette di irrigare un palmeto molto esteso che in alcuni tratti è addirittura allagato, il posto è molto bello e seguendo l’invito di Walid decidiamo di passare qui la notte. Intorno e dentro la pozza c’è un gruppo di tedeschi che fa il bagno, fa strano vedere le donne in bikini (e anche un po’ skifo perché so’ brutte) e la gente seduta che beve birra, ma questo è il turismo che violenta e omologa tutto anche le oasi. Fra qualche ora quando il sole sarà meno aggressivo vorrei andare a fare una camminata fra le dune fino a raggiungere l’antica fortezza di epoca Romana di Tivasar, che successivamente fu trasformata in ksour, di cui ho letto una descrizione molto appassionata. Dovrebbe trovarsi su uno sperone di roccia due o tre chilometri ad ovest dell‘oasi, chiedo a delle guide che si stanno riparando all’ombra del piccolo chioscho a bordo pozza che mi confermano i tre chilometri, ma quando capiscono che non ci voglio andare né in fuoristrada né in cammello i chilometri diventano prima cinque, poi sette e poi dodici, cosi` come i tanti pericoli che crescono con i minuti, pero` anche nel disappunto c’è comunque sempre cordialità.
Fa troppo caldo per entrare nel deserto, andiamo in giro nel palmeto dove c’è anche un albergo, l’unico punto rumoroso dell’oasi a causa del gruppo elettrogeno che da la corrente elettrica al complesso. Il palmeto è rigoglioso e ci sono tantissimi datteri, all’interno si trovano delle piccole radure dove pascolano pacifici dromedari, asini e cavalli, nonostante siano avvolti da nuvole di   mosche e zanzare. Il limite dell’oasi è segnato da grandi piante di tamerice, appena oltre troviamo delle dune alte una trentina di metri e molto ripide e bellissime, nonostante la luce accecante l’arancio dorato della sabbia contrasta con l’azzurro terso del cielo e le nuvole bianche sullo sfondo, è un posto ganzissimo per giocare a fare i salti, mi immagino quanto si divertirebbero i bimbi con cui facevo le escursioni all’Elba e mi riprometto di portare i bimbi Isolani in Africa per far partire “Basa Elba”. Prima di entrare nel deserto “vero” si ritorna al “villaggio di frontiera”  l’auto ti consente di vedere tante cose perٍ sempre troppo filtrate, per capire di più bisogna andare a piedi meglio se lentamente, in modo che oltre a vedere le cose che cerchi, vedi anche quelle che ti vengono incontro. Il villaggio delle cellule fotovoltaiche e dei dirtibutori dipinti con i loghi e i colori delle auto e delle moto da competizione che sono passate da qui qualche tempo fa, è un posto vero e duro e anche i suoi abitanti lo sono, ci guardano con sospetto come a dire il vostro recinto è dentro l’oasi qui si viene solo per fare rifornimento, una bimba dagli occhi di ebano mi squadra curiosa mentre sta scaricando delle stagne dal cassone di un camioncino, è bellissima e mi viene di fotografarla ma mi fulmina con uno sguardo di censura e non riesco a scattare. Mi trovo a girare fra le case rifugio in un clima di gelo nonostante gli almeno quaranti gradi, ma poi la curiosità ha il sopravvento e gli sguardi di soppiatto diventano cenni e poi sorrisi, come sempre il ghiaccio è rotto dalle donne che allargano i sorrisi da sotto i veli censori. Questo è un villaggio di venditori di benzina e cammellieri, isolato da tutto dove l’energia arriva dal sole per mezzo delle cellule fotovoltaiche che sono collegate a gruppi di batterie i quali fanno funzionare le televisioni e l’lluminazione, ci sono anche dei lampioni con i panneli come quelli sulla strada sopra il Macciarello, mentre per l’acqua c’è un pozzo. Un asino immobile si gode l’ombra del carretto che da croce si è trasformato in privilegio, le case sono circondate da muri per difendere l’abitazione dalla sabbia che il vento ci spinge contro, il tutto è  reso magico da incredibili nuvole bianche che come dirigibili immobili adornano il cielo. Mentre cammino fra i vicoli incrocio lo sguardo gentile di un bimbo che mi mostra fiero la sua meravigliosa bicicletta con una ruota sola con cui magari s’immagina pilota invincibile di moto da raid e mi ritornano in mente i pomeriggi passati a immaginarmi pilota da rally tutto rannicchiato dentro un macchinina a pedali ormai diventata troppo piccola, Salaam! Una voce ridente mi riporta a Ksar Ghilane, è un anziano del villaggio che assieme al nipote sta preparando i dromedari per andare all’oasi ad accompagnare i turisti, ne parla con rispetto ma anche come un corpo estraneo, facciamo un breve tratto insieme e poi ci salutiamo.
Il sole ora è meno forte e cominciamo a camminare, contrariamente a quello che pensavo non ci sono né dromedari né fuoristrada, i tedeschi  sono andati via e sono arrivati altri due gruppetti in fuoristrada di cui uno di italiani ma sono fermi dentro l’oasi. Iniziamo a camminare nel “mare di sabbia”  scalzi si cammina perfettamente, le parole qui sono di troppo e come quando vai sott’acqua osservi e immagazzini immagini e produci pensieri. Come il mare sotto, il deserto è silenzioso ed è anche apparentemente sterile e invece è vivo e sempre in movimento, se la guardi bene la sabbia anche quando sembra non esserci vento si muove e anche sotto i piedi è sempre in movimento, è solido ma assomiglia tanto al mare anche nell’illusione di sentire la sua voce che ti parla entrando direttamente nei pensieri. Le dune in questo tratto non sono molto alte e sono gialle, ogni tanto c’è qualche cespuglio erboso e anche qualche alberello isolato, su ogni duna il vento ha disegnato trame diverse mentre le nuvole bianche e plastiche rendono bucolico questo ambiente di prima impressione infernale. Poi esce il vento che aumenta velocemente e la sabbia vola dentro basse nuvole che bucano quando ti battono addosso, man mano che il sole cala le dune diventano di colore cangiante, arriviamo alle dune più alte che la luce è veramente bella, a poco più di un chilometro ora si vede bene il forte dove vola un aquilone, a fianco dello storico baluardo c’è un fuoristrada che gli leva un po’ di poesia, dall’altro lato vedo in lontananza dei cammelli che stanno venendo verso ovest. Due turiste americane alcolizzate con due accompagnatori arabi molto più giovani di loro, le babbione puzzano di alcool e assomigliano a Fulvia maga mago`. Del forte romano è rimasto poco e niente e anche lo ksour è fortemente compromesso, iniziamo a tornare indietro fermandosi sulle dune più alte per vedere il tramonto, ci sono dieci minuti di pura magia in cui le dune sembrano di materia impalpabile, tanto il gioco dei chiaroscuri ne fa cambiare continuamente la forma, poi all’improvviso appena tramontato il sole cominciano a uscire dalla sabbia delle bellissime formiche grigio metallo con le zampe rosse, sono frenetiche e mordaci e gli garba pizzica’ nei piedi, sono le Cataglyphis Fortis dette anche formica del sahara dicano che sia attiva anche con temperature esterne di  settanta gradi, i suoi segreti per difendersi dal caldo sono la velocità (per attraversare velocemente le zone assolate) e zampe lunghe (per tenere il corpo lontano dalla sabbia rovente) ma qui io le ho viste solo dopo il tramonto. Mentre il cielo si incendia a ovest e diventa algido e pallido ad est rendendo il paesaggio gelido e immobile, si cominciano a vedere le prime stelle quando da una grande tana esce un animale bianco, non riesco a identificarlo ma guardando le impronte penso che si tratti di un fenec la volpe del deserto. Ormai è notte, ma sotto le stelle camminare è ancora più bello, vedo i falo` degli accampamenti che sono a poche centinaia di metri dall’oasi, ecco dove erano finiti i cammelli visti prima, ancora quache passo e poi si rientra all’accampamento.