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Forma e Sostanza
Manca un pezzo di Siwa stamani, ma a breve il vecchio edificio in kirshif verrà sostituito con un palazzo di tre piani come quello degli Albini che devasta la piazzetta di Siwa con la sua architettura scellerata, con le pareti a vetrata che espongono una serie di armadi catafalco dai colori luttuosi. Gli Albini sono una famiglia di ricchi Siwani, con la pelle rosa e i capelli bianchi, che con il sole hanno un rapporto simile ai pipistrelli, sono commercianti di mobili e hanno costruito questa palazzina che fa il verso ai metropolitani grattacieli, è la massima schifezza, specialmente la notte quando con le vetrate illuminate devasta la poesia architettonica del villaggio. Ma come dice Hssein detto “Ggraziaaa” un ragazzo Siwano che bazzica il fonduk alla ricerca di gente da accompagnare con il suo scarcassato fuoristrada “ bellissimo!” Scambiamo due opinioni sui nuovi palazzi ma per lui, come per la maggior parte dei Siwani, questi palazzi moderni sono motivo di vanto e orgoglio e tutti ne vorrebbero costruire  “new Siwa very good , kirshif no good, cemento moolto bellissimo,turist very good , money very good, old Siwa finish, future very good” Se continua così Shali fra qualche anno sarà circondata da una corona di palazzi, a Hssein lo capisco la voglia di moderno e di nuovo è sempre tanta, soprattutto quando cominci a vedere cose mai viste, mi ricordo che  da bimbo ero estasiato dai grattacieli di Portoferraio li vedevo giganteschi e potenti sapevano di tecnologico, mi piaceva sopratutto il grande cartellone pubblicitario che si vedeva dal mare perché sembrava di esse’ in un posto importante come quelli che vedevi dentro la televisione. A ripensarci ora mi viene i brividi, per costruire quelle schifezze che tutte le volte che arrivi a Portoferraio con il traghetto rovinano la magia della meravigliosa panoramica sulle Fortezze Medicee di Cosmopoli, hanno distrutto anche la Fortezza Francese di Forte Saint Cloud… i pensieri mi saltellano continuamente fra presente, passato e futuro, mi sembra che il mondo tutto alla fine sia una ripetizione delle stesse dinamiche, cambiano i luoghi, i tempi e le dimensioni ma la trama è sempre un po’ la stessa, in un’illusione di cambiamento si tende ad omologare sempre tutto e tutti, che questo sia voluto e serva per avere un controllo globale delle masse è più che un pensiero.
Vado in ferramenta a comprare un pennello per pulire il computer che dopo la ventolata di ieri è tutto pieno di sabbia, il negozio è gestito da un Hajj rigoroso, con la classica barba da uomo di moschea, che fedele alla sua immagine di uomo retto, prima di vendermi il pennello mi illustra tutti i modelli e i relativi prezzi.
Il fondouk dei turisti indipendenti è un mondo a se stante, lontano dal turismo organizzato ma anche dalla quotidianità di Siwa, Gandalf il Grigio è quello che gira di più, ma gli altri passano la maggior parte del tempo in questo ostello, mediamente stanno un paio di giorni. I nuovi arrivi sono una coppia di ragazzi americani tutti tatuati che passano il tempo a farsi le treccine, poi c’è Rastasonno un incrocio fra Bob Marley e Pupo, che passa le giornate a dormire sotto le palme e Cannaalvento la sua magrissima compagna sempre infreddolita e fasciata da una sciarpa più grande di lei, che nell’attesa vana del risveglio del treccioso nano, ascolta le ininterrotte chiacchiere di una cinese americana che fa parte di una piccola comitiva multietnica di studenti d’oltreoceano. Permangono la Lollocrucca, Nasorifatto (una inglese di mezza età che non sopporta le mosche) e Sir Sorry il marito, che si scusa con tutti per la moglie che un sopporta le mosche. Nonostante faccia di tutto per muoversi nell’anonimato, spicca il distinto Sir Culay, un aristocratico finocchio inglese che si accompagna con uno stralunato compatriota mascherato da Lawrence d’Arabia, chiude il quadro Golden Durbans un egiziano con un inquietante sorriso di denti d’oro che con un’espressione fra il beato e l’arrapato lancia sguardi sognanti a tutte le donne del fonduk. Questo ostello è frequentato da un micromondo vario, colorato e multietnico, che vive come in una bolla estranea a quello che c’è intorno, li rispetto ma non è il mio modo di viaggiare.
Nel tardo pomeriggio i vicoli dell’oasi acquistano una dimensione di fiaba e dalla veranda di un rudere mi godo i tanti carretti guidati dai bimbi che rientrano con le donne andate a chiacchierare nelle case delle parenti e poi con Serena ci spostiamo nella piazza della moschea principale, vicino alla tomba di Sidi Suleiman, un famoso Marabutto Sufi molto venerato dalla gente dell’oasi. A quest’ora qui si ritrovano gli anziani a chiacchierare, mi piace osservarli mentre discutono disegnando figure astratte nella sabbia con le mani oppure con i sassolini, ogni movimento sembra studiato come a fare parte di un rituale, chissà se alcuni di loro quando erano più giovani sono stati Mugzzabin i danzatori Sufi che per mezzo di balli e di canti ipnotici “Zikr” raggiungono uno stato di trance con cui, dicono, si uniscono ad Allah. C’è chi dice che la forma è anche sostanza, sicuramente la scenografia, i larghi camicioni, le barbe e le movenze lente e danzate aiutano questi uomini a rivestirsi di un alone di saggezza.
Ci spostiamo verso Shali da un vicolo secondario, come per magia si materializza una principessina scalza, è piccola piccola avrà tre anni, ma è già velata, è vestita elegantemente con tanto di ricami dorati e senza emettere suono, con gli occhi ci invita a seguirla nel vicolo opposto fino ad indicarci il campanile di Shali, ci congeda con un sorriso accennato e con passo leggero scompare nel vicolo. La fortezza di sale è sempre meravigliosa e le sue rovine deformate dall’erosione assumono fogge impossibili da descrivere, Shali è un delirio di figure cangianti che ti circonda, i mille volti che si disegnano fra ombre, porte e finestre, sembrano osservarti in ogni mossa e i ruderi più imponenti fanno il verso alle fortezze della fiabe. Uno degli scorci che preferisco conserva una torre che nella forma ricorda la Torre di San Giovanni in Campo e i due edifici dovrebbero essere più o meno dello stesso periodo, due fortezze costruite per difendersi dalle armate islamiche, una di sale, una di granito, una circondata dalla sabbia, l’altra dal mare, una somiglianza di forma e una sostanziale affinità storica.
Il tramonto si avvicina adornato da un cielo di nuvole barocche che fa da sfondo superbo al rientro delle garzette e poi, dopo aver dato sfoggio di potenza perforando con possenti lame di luce le compatte nuvole che fasciavano il cielo ad occidente, il sole posa dietro le dune.
Con l’oscurità Shali acquista magia, fra i bastioni della fortezza di sale filtra una luce, dentro c’è un uomo che disegna con una biro, finalmente incontro Mohammed l’insegnante artista di cui mi aveva parlato con toni entusiasti il francese, ci accoglie con entusiasmo all’interno del suo “studio” ha un volto simpatico, assomiglia a un giovane gufo allegro. I suoi disegni sono originali e complessi, contengono mille occhi e volti che sbucano da tutti gli angoli, mi parla dei suoi progetti, di Motopia e della Casa della Fantasia dove i bimbi si ritrovano per fare arte, si chiacchiera un po’ e ci si da appuntamento a domani.