CategorySettembre 2008

Marted?¨ 30 settembre 2008 Dougga, Le Kef ‚Äì Tunisia

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il teatro

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veduta del Tell

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il tempio di Saturno

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tomba preistorica

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opus africanus

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la nicchia di Giove

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il Campidoglio

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opus africanus

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i venti dei romani

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terme

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casa del trifoglio

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latrine

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Mausoleo Numida

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Arco di Alessandro Severo

 

Dougga la Dorata
Un ragazzo tunisino dai riccioli rossi mi consegna la classica sgraziata clio tre volumi con in dotazione un mazzo di datteri e un cd di Ramazotti in omaggio alle italiche origini.
Lasciamo una Bizerte che si sta dormendo il mattino del suo ultimo giorno di Ramadan e dopo un tranquillo controllo della gendarmeria cominciamo ad entrare nella campagna. Ci lasciamo alle spalle il Jbel Ickeul dove però voglio tornare prima di lasciare la Tunisia, sono stati percorsi solo pochi chilometri ma è già un altro mondo, pochissime macchine, ogni tanto un pik up carico di poponi gialli, quella che stiamo attraversando è una pianura brulla dove passano lenti carri trainati da asini che sembrano ignorare la pioggia, poi risaliamo  le colline del Teboursouk ricoperte di pini striminziti stile monte Orello, passiamo dall’omonimo paese e poi finalmente  il Tell, un altopiano roccioso che stamani è fasciato dalle nebbie. La pianura sopraelevata del Tell è assai adatta alla coltivazione del grano, caratteristica che rese questa regione ricca e importante già prima delle dominazioni Cartaginesi e Romane. Siamo qui per vedere i resti di Dougga considerata con la Libica Leptis Magna la più bella città del periodo Romano dell’Africa. Dopo una serie di ripidi tornantoni la strada spiana, sulla nostra destra i resti delle cave Romane con ancora evidenti le tracce dei solchi di cesura per il distacco di blocchi e colonne, in lontananza si vedono le prime colonne che si stagliano austere nel cielo plumbeo. Il sito è deserto, solo un paio di persone alla biglietteria, la pioggerellina e il vento freddo esaltano ancora di più il silenzio aumentando la suggestione. Davanti a noi c’è il teatro un perfetto semicerchio che poteva ospitare più di tremilacinquecento persone, fu fatto costruire da Marcus Quadratus (è scalpellato proprio così) uno dei più ricchi abitanti di Dougga nel 188 dopo cristo, la parte bassa dominata dalla scena  è ricca di stanze e cunicoli, saliamo in cima al camminamento alto sopra le gradinate, nel mentre la nebbiolina che circondava i monumenti si è dissolta aprendo uno scenario favoloso che domina tutta la città. Dougga si è conservata così bene perché dopo il declino dell‘impero Romano è stata praticamente abbandonata come centro urbano,  ha continuato ad essere abitata ininterrottamente (e in parte lo è anche oggi) ma da pastori e contadini che si sono insediati fra le monumentali opere dell’epoca classica. L’agglomerato si sviluppa su un colle morbido ricco di acqua sorgiva e di grotte naturali dunque perfetto per un insediamento umano, alla nostre spalle ci dovrebbero essere degli insediamenti risalenti al secondo millennio avanti cristo. Un viottolino risale fino al Tempio di Saturno, si trova a mezzo chilometro dalla zona adibita alla visite ed è quello ridotto peggio fra i tanti templi, ma da quello che rimane si capisce che doveva essere enorme anche perché Saturno prese il posto di Baal Hammon la principale divinità dei Cartaginesi, che i Romani da paraculi quali erano trasformarono in Saturno. Il tempio si trova su una grande terrazza che si affaccia da una posizione di dominio sulla ricca pianura circostante dove oggi come al tempo dell’Impero Romano si estendono grandi oliveti. In basso a poca distanza l’unica traccia cristiana del sito, la chiesetta di santa Vittoria che fu costruita dai vandali nel V secolo, quasi invisibile al cospetto di tanta grandezza, rudere che nelle dimensioni e nella forma ricorda le chiesine di Epoca Pisana della montagna Elbana come San Frediano e San Bartolomeo. Di fianco c’è la cripta dove ci sono ancora dei massicci sarcofagi in pietra in uno dei quali ci dovrebbero essere le reliquie della santa. Fra asini e i fichi d'india risalgo la collina in cerca delle tracce preistoriche, qui c’è anche una fattoria  abbaraccata, a metà strada fra la casa del vecchio Urru e il caprile di Evangelista sopra San Piero, davanti all’uscio il padrone di casa mi osserva da un bel po’ è in compagnia di un paio di cani, ci saluta e ci viene incontro e con fare alla”Gino Brambilla”  mi indica la zona delle tombe che si trovano poco più in alto. Sono tombe dolmeniche piuttosto massicce le più grandi sono di forma ovale costruite con grossi lastroni e ricordano quelle delle Piane della Sughera, il padrone di casa mi ha accompagnato e mi fa vedere resti di ceramica e forni per la terracotta, ma soprattutto mi vuole far vedere la sua catana piena di monete e lari di terracotta che dice aver trovato zappando qui intorno. Siamo sul dorso del colle, da qui si vedono bene le imponenti cave da cui proviene tutta la pietra color oro usata per la costruzione di Dougga. Ritorniamo in direzione del sito principale camminando fra i coltivi dove fra le zolle sbucano continuamente pezzi di ceramica, scendendo fiancheggiamo un acquedotto Romano usato ancora oggi per portare l’acqua alle casa di Dougga nuova, anonimo paese di case a forma di scatola di scarpe costruita a valle dell’insediamento antico dove è stata fatta trasferire la popolazione quando la città monumento è stata aperta alle visite turistiche. Ritorna a piovere, ci ripariamo nelle vecchie cisterne dove ci sono ricoverati centinaia di reperti, ci sono tante statue alcune veramente grandi, mosaici, are e un po’ di tutto. Lo scroscio dura poco e passando fra olivi e melograni ci troviamo “in centro”. Finalmente osservando da dietro le mura del Campidoglio capisco l’Opus Africanus la tecnica costruttiva usata dai romani in Africa, si tratta di colonne di pietra con pezzi orizzontali e verticali che servivano da sostegno e da appiglio per il resto della muratura fatto con pietre più piccole, un po’ come si costruisce oggi con le colonne di cemento armato e gli “specchi” riempiti con le “murette”. Le vie sono lastricate meravigliosamente, mi piacerebbe che qui ci fossero Babbo e Peppe loro apprezzerebbero la qualità di questi lavori eccellenti, il reticolo delle vie è diverso dal solito rigore geometrico delle città dell’antica Roma, è tortuoso e a volte labirintico, le vie seppur più maestose ricordano quelle sinuose viste qualche settimana fa a Bulla Regia, infatti anche qui la città è stata costruita su un insediamento precedente. La storia ci dice che Thugga, questo è il nome originale, era già un grande insediamento quando i Cartaginesi nel quarto secolo avanti cristo vi si insediarono, nel secolo successivo, dopo la sconfitta di Cartagine nella secoda guerra Punica, diventa con il benestare di Roma città Numida sotto il regno di Massinisa e rimane sotto di loro fino al 46 avanti cristo. Quando il re Giuba I durante la guerra civile romana si schierò dalla parte del perdente Pompeo, Giulio Cesare gliela fece pagare e pose termine per sempre al regno Numida. Thugga divenne Dougga e iniziò il processo di romanizzazione che raggiunse il culmine fra il secondo e il quarto secolo, periodo in cui furono costruiti la maggior parte dei monumenti. Poi con l’invasione dei vandali tutto lo splendore e la ricchezza Dougga la dorata finì rapidamente.
Quando durante le conversazioni un capisco nulla e succede spesso con l’Arabo, penso che se i romani avessero romanizzato di più l’Africa del nord magari tutto il nord africa avrebbe mantenuto una matrice linguistica latina con innegabili vantaggi per noi e sicuramente senza l’avvento dell’Islam tutto il nord africa avrebbe una matrice linguistica latina, in questo viaggio penso spesso al grande popolo del mediterraneo e credo che una lingua comune seppur frutto di una dominazione avrebbe aiutato tanto l’integrazione fra le due sponde del mare nostrum. 
La via principale ci conduce nella piazza dei venti, siamo circondati da templi che si estendono in tutte le direzioni, sul pavimento è incisa una grande rosa dei venti, dodici nomi scalpellati alcuni si leggono bene altri meno Africus (che corrisponde allo scirocco), Septemtrio (Tramontana), Auster, Leoconotus, Faun, Arcistes, Circius, Aqui e poi altri quattro che non si leggono più, è incredibile che in un posto così bello ci siamo solo noi. Subito dopo si arriva davanti al Campidoglio, la parte più imponente di tutto il sito costruito sopra una collina ha grandi mura alte oltre dieci metri e sei grandi colonne in monoblocco che sostengono il portico, all’interno ci sono tre nicchie quelle laterali per le statue di Giunone e Minerva e la più grande al centro per l’mmagine di Giove che doveva essere alta almeno sei o sette metri. Proseguiamo camminando nel grande spazio del foro, il silenzio è rotto, arriva un gruppo di turisti sono una quindicina di veneti e l’unico che parla italiano è la guida tunisina. Ville e templi si susseguono (censiti ce ne sono ventuno), arriviamo alle grandi terme ulteriore prova della ricchezza di questa città, sono maestose nella parte pubblica e ancora di più in quella labirintica delle caldaie e dei condotti, dove però gli schiavi facevano una vita torturante. Il vento ha portato il sereno e il sole illumina tutto e si capisce ancora meglio perché veniva chiamata la dorata, la pietra gialla si illumina come se fosse placcata d’oro.
Suona il telefono, inaspettata arriva la notizia che attendevamo da più di un mese: è arrivata l’autorizzazione per andare a La Galite, fra tre giorni confermare la data di partenza per l’isola e inviare una serie di documenti relativi alla barca.
Il morale è alto, continuiamo a scendere la collina urbanizzata e ci troviamo davanti una delle ville più belle nominata dagli archeologi casa del trifoglio, in realtà era il bordello più importante della città, si entra da una scalinata che conduce a una serie di eleganti stanze che si affacciavano sul cortile interno. Ancora un impianto termale più piccolo e ridotto peggio ma con una latrina in pietra  a dodici piazze a forma di ferro di cavallo che sembra appena ultimata, in qua e in là ci sono anche tanti pavimenti mosaicati. C’è una guida ferma fra il casino e le latrine e il grande Arco intitolato Settimio Severo il primo imperatore di Roma nato in Africa, si offre per accompagnarci ma in realtà anche lui è qui per provare a vendere qualche reperto che fa astutamente capolino dalla classica  catana del tombarolo venditore. In questa zona lo scavo è solo parziale ma affascinante perché vivo, con le pecore e le capre che pascolano fra capitelli e are votive, scambio qualche parola con un pastore anziano tutto contento perché dice che qui in fondo non ci arriva mai nessuno, mi racconta che prima che attrezzassero l’area archeologica lui viveva fra i templi del centro e poi mi indica la via per raggiungere il tempio Numida, che in realtà si vede molto bene perché il mausoleo è alto più di venti metri, con una piramide in cima dove sta seduto un leone di pietra. Pur essendo il monumento architettonico più antico del sito, risale al secondo secolo avanti cristo, ha una forma che lo fa sembrare molto più recente e ricorda il mausoleo Tonietti del Cavo, la forma è quella di un obelisco tozzo a tre piani, è considerato il più importante monumento Numida esistente ed è famoso per l’iscrizione bilingue in Libico e Punico che recita “Ateban, figlio di Ypmatat figlio di Palù” Purtroppo l’arroganza e la stupidità dei colonizzatori europei ha lasciato la sua traccia di vergogna, anche qui infatti nel 1842 per volere del console inglese di Tunisi fu rimossa la pietra con l’iscrizione e questo causò il crollo del monumento. La pietra originale oggi trova a Londra al british museum e il mausoleo che si vede oggi fu rimesso su nel 1910 da una squadra di archeologi francesi. Il parco archeologico è ormai chiuso, ma non ci sono problemi perché si può uscire dai campi circostanti che non sono recintati, risaliamo dal lato ovest passando per i ruderi delle terme estive e poi il grande tempio dedicato a Giunone che rimane ai margini del centro monumentale fra i terreni coltivati circondato da olivi secolari. All’interno di questa maestosa scenografia assistiamo a una scena bellissima e allo stesso tempo imbarazzante perché lo sguardo viola un momento di preghiera di grande intimà e intensità. Poi passiamo sotto il grande arco dedicato a Alessandro Severo, ripassiamo dietro il Campidoglio per poi uscire da Dougga nuovamente bagnata dalla pioggia.
Il tempo è il classico autunnale e il caldo patito fino a pochi giorni fa è un ricordo, ormai è tardi e facciamo la strada principale per raggiungere le Kef attraversando l’altopiano del Tell, piove sempre più forte e la campagna comincia ad allagarsi. Arrivati a le Kef  proseguo per sfruttare l’ultima luce e vedere la strada per Mellegue dove ci dovrebbe essere un impianto termale di epoca Romana, la voglia di vedere l’Algeria è tanta ma una serie di posti di blocco armati mi fa capire che non è cosa. Imbocco la sterrata per il sito, sul lato ovest in alcuni tratti ci sono filo spinato e cartelli con i teschi che indicano la possibilità di campi minati, il fango scorre lungo la strada sterrata però, contrariamente a quanto detto da alcuni, la strada è percorribile, anzi è uno spettacolare sterrato a tornantoni reso ancora più divertente dal fango. Arriviamo in basso all’imbrunire osservando il fiume Mellegue torbo di fango che si sta gonfiando a vista d’occhio. Le terme antiche sono ai margini del fiume e domani inschallah verremo a visitarle per bene.
Le Kef è un'altra Tunisia rispetto a quella della costa, anche un altro islam, siamo in terra Berbera lo si vede dalle facce affilate e dai fisici snelli dei suoi abitanti e lo si respira. La città si sviluppa su una collina rocciosa a 780 metri di altezza, il nome trae origine da Kaf che significa roccia in Arabo, la prima città fondata su questa roccia che domina il Tell fu costruita dai Cartaginesi nel cinquecento e si chiamava Sicca, una città fortezza che era famosa per le prostitute sacre che officiavano nel tempio dedicato a Astarte la Dea dell’Amore, quando Roma si sostituì a Cartagine il Tempio fu dedicato a Venere nome trasformato in Sicca Veneria. Grazie alla sua posizione strategica fu anche una delle roccaforti di Giugurta il re Numida che si ribellò a Roma e la sua indole ribelle è rimasta anche durante la dominazione Araba alla quale i fieri Berberi del Tell nel corso dei secoli si sono più volte ribellati.
E’ l’ultimo giorno di Ramadan e le attività sono tutte chiuse per l’Haide, non si trova nemmeno un panino, la via centrale, che come sempre si chiama avenue Bourghiba, è fiancheggiata da un lungo porticato pieno di microscopici fondi ma la struttura più appariscente è l’hotel Sicca Veneria che con le sue luci a intermittenza fucsia sembra un sexy shop, l'islam bacchettone è lontano qui siamo nella città di Astarte e Venere. Nel frattempo diluvia e le strade diventano fossi, parcheggiare è un problema, col mulo era più facile, trovo un parcheggione vuoto ma un soldato armato sbuca e mi dice che è solo per militari. Sono ormai le undici, il fortunale si è fermato e si vede anche qualche stella, il centro si è ravvivato e la gente si riscalda intorno ai bracieri dove si arrostono salsicce di montone che col freddo ci stanno proprio bene. Dopo il convio un paio d’ore a internet che come sempre nei centri più piccoli è il principale punto di ritrovo e poi parcheggiamo in un posto tranquillo e ci mettiamo a dormire.   
   

Luned?¨ 29 settembre 2008 Bizerte ‚Äì Tunisia

Image Situazione di stallo
Da Tunisi non è arrivato ancora niente, tutto quello che potevamo fare è stato fatto, le autorizzazioni non ci sono, il responsabile delle canoe dello sport nautique che ieri ci aveva dato appuntamento per stamattina non c’è, tutto è ormai fermo per l'Haid e ci saranno almeno tre giorni di festa. Domani inschallah ce ne andiamo, ho deciso di noleggiare una clio per una settimana, i tre mesi di permesso stanno per scadere e ho voglia di vedere tante cose, partire a piedi significherebbe rinunciare a La Galite quindi l'unica soluzione è la macchina in maniera da rientrare velocemente se arrivano le autorizzazioni.
 
   

Domenica 28 settembre 2008 Bizerte – Tunisia

New layer…

Sabato 27 settembre 2008 Bizerte – Tunisia

Image La Medina di Bizerte
Andiamo nuovamente al palazzo del Governatore per avere notizie delle autorizzazioni ma i vigilanti mi bloccano "interdit pas possible" è vietato entrare nel palazzo del Governatore con i pantaloni corti e le ciabatte, ridendo entro ma arrivano attendenti e poliziotti da tutte le parti e mi bloccano, Serena per fortuna può entrare e io rimango fuori ad aspettare fra le risate stentate della "banda interdit". Come previsto nessuna novità. Anche oggi piove sarebbe la giornata giusta per scrivere un po' ma manca la voglia, facciamo un giro al porto dove con le barche a vela arriva sempre qualche personaggio strano e poi in giro per la Medina, quella di Bizerte non ha i classici confini definiti da mura, ci si entra gradualmente camminando fra i banchi del mercato della ville nouvelle e senza che te ne accorgi ti trovi dentro la Medina accompagnato dal vociare dei mercatai che è uguale in tutte le lingue. Un formicaio per uomini la medina, il moderno per motivi di spazio rimane in gran parte fuori, estraneo è il puzzo degli scarichi della macchine e il loro rumore, il suono di sottofondo è un brulicare di passi e voci sussuranti, dai carrugi vengono fuori i suoni antichi delle botteghe dei falegnami e dei fabbri e al posto dei puzzi dei motori gli aromi acuti delle spezie e i profumi densi e intensi che arrivano dalle finestre delle cucine perché il ramadan è il mese del digiuno ma nelle case è tutto un preparare nell'attesa del grande pasto serale.
Sbuchiamo nel porto vecchio dove uomini e gatti sonnecchianti si riparano dalla pioggia fra tettoie e porticati, mi piace osservarla questa passività ma non mi appartiene, è già troppi giorni che siamo statici è tempo di fare qualcosa di più attivo.   
   

Venerd?¨ 26 settembre 2008 Bizerte ‚Äì Tunisia

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Italiani in trasferta
Piove e la giornata è autunnale, sto cercando invano un kayak allo sport nautique ma non c'è verso, riprovo al villaggio turistico italiano. Camminiamo lungo lo spiaggione turistico che è ormai deserto, solo qualche grasso finocchio tedesco in compagnia di culai tunisini e qualche pescatore poco convinto che guarda il mare con il razzaglio in mano. Il villaggio sta chiudendo e anche il servizio di vigilanza è smobilitato e si entra senza problemi, cerco il qui famoso Mario, il capoanimatore, quello che "comanda" anche il reparto sport, è un romano brizzolato che assomiglia a Paolo Franceschetti, un milanese Elbanizzato che conosco da prima di aprire Il Viottolo, con cui spesso mi sfogavo sui mali dell'Elba, da cui ho appreso recentemente leggendolo su un blog che sono di destra. Assisto al pietoso saluto con bacini e manina da parte degli animatori all'ultimo pullman di turisti e poi finalmente ho diritto d'udienza col gran cerimoniere del truman, fra un continuo "ragazzi, ragazzi, ragazzi" solo risposte negative,impossible noleggiare,impossibile comprare,la stagione è finita si impacchetta tutto e si torna in Italia e poi "è pericoloso muoversi al di fuori del villaggio" giro il culo e non rispondo mentre nei vari negozietti impacchettano i troiai coi prezzi in euro. Quando vedo queste realtà da un lato mi deprimo ma dall'altro mi sento veramente fiero per aver fatto nascere Il Viottolo che vedo sempre di più come un modello di turismo da esportare.
Dopo una pausa ricomincia a piovere forte, ci rifugiamo da Ciccio dove all'ora di pranzo si riunisce la piccola Italia Bizertina, ci sono soprattutto i siciliani che "tciavaghiano" nel settore ittico, e un gruppo di toscani e nord italiani impiegati in una fabbrica di scarpe. Davanti agli spaghetti siamo comunque tutti di buon umore, tutti meno gli incravattati, i manager meneghini che sbiancano come i polpi con la cuffia girata davanti alle notizie televisive sulla crisi economica. Piove sempre più forte e così mi faccio una panciata di televisione con il crollo della borsa, l'isola dei famosi e una serie di stronzate che ridanno dignità (parolone improprio ma quello giusto un mi viene) alle telenovelle egiziane e ai tunisini che le guardano incantati nei cafè.   
   

Gioved?¨ 25 settembre 2008 Tabarka – Tunisia

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"Vanno vengono a volte ritornano" (Liguri e Nuvole)
E' ancora buio e piove quando andiamo alla stazione dei pullman, l'unico per Tabarka parte alla sei. Fra piovaschi e temporali arriviamo a Tabarka alle 10,  sotto la pioggia andiamo subito al porto in cerca di un "passaggio" per La Galite. C'è la barca di un diving che sta partendo per fare un'immersione, il boss dice che non c'è problema con le autorizzazioni ma che ormai non è più stagione, il secondo diving ci spara una cifra assurda, il terzo propone un'escursione di giornata con pranzo a bordo, gendarmeria e guardia Nazionale non ci sanno dire niente. Visto che siamo qui proviamo a capire se si riesce ad entrare in Algeria, all'inizio sembra che non ci siano problemi, la cosa è assai strana, ma qui spesso le cose apparentemente più difficili si risolvono velocemente, ma questa volta no e alla fine la frontiera resta un limite invalicabile per chi non è Algerino o Tunisino. Smette di piovere e andiamo a visitare l'Isola di Tabarka e il suo Forte Genovese, i francesi durante il periodo coloniale hanno costruito una strada rialzata che collega l'isola al continente, odio queste violenze che trasformano le Isole che sono sempre terre di magia in anonimi lembi di continente e vorrei organizzare un comitato per la liberazione delle isole da ponti e strade e festeggiare con un grande botto globale simultaneo da Tabarka all'isola di Chiloè in Cile. Sulla prima cinta di mura ci accoglie una lapide di marmo che recita "I Tabarkin du paize uiza de San Pe in Sardegna doppu 250 anni in vixita a Taborka tera di Vegi pe Memoria Taborka au II de settembre du 1988" I Vegi erano i Pegliesi che seguirono i Lomellini quando nel 1540 a seguito delle trattative fra Barbarossa e Andrea Doria per il riscatto di Dragut, l'Isola venne assegnata a questa potente famiglia ligure alleata dei Doria che era interessata alla pesca e al commercio del corallo. La comunità Pegliesi d'Africa che si ribattezzarono Tabarkini visse qui fino al 1741, quando il corallo cominciò a diminuire i traffici e i commerci non andavano tanto bene, il Bey di Tunisi prese il possesso di Tabarka. Carlo Emanuele III di Savoia propose ai "Tabarkini "  di colonizzare L'Isola di San Pietro nel Sud della Sardegna, buona parte della popolazione accettò e capitanata da Agostino Tagliafico raggiunse la disabitata Isola Sarda e la colonizzò. I Tabarkini mantennero la loro identità ligure anche in terra di Sardegna parlando e scrivendo in genovese antico, lo stesso scolpito nel marmo davanti a noi.
Un ragazzino mi dice con tono minaccioso che la zone è interdit, ma poi visto la scarsa considerazione dimostratagli chiama gli altri bimbetti e cambiano loro zona. Il forte è in restauro, ma forse sarebbe meglio dire in rinforzo, sui bastioni bassi che sono lesionati i ponteggi con ferrotubi basculanti sembrano usciti dall'antimanuale della 626. La fortezza è costruita sul culmine dell'isola che poi si tuffa nel mare possente e statica come una cascata pietrificata. Il cielo lavato dalla pioggia è ora terso e a nord ci fa vedere la sagoma de La Galite, l'Isola dei pescatori anarchici esiste davvero, non è un miraggio della fantasia. Il vento è teso e le nuvole cangianti lo attraversano veloci, nel cervello mi suona ossesiva e amica l'onirica voce Sarda che dà inizio alle Nuvole di De André "Vanno vengono ogni tanto si fermano – e quando si fermano sono nere come il corvo – sembra che ti guardano con malocchio – Certe volte sono bianche e corrono e prendono la forma dell’airone o della pecora o di qualche altra bestia…"
Da una delle finestre del forte si affaccia il guardiano del faro "interdit zone militaire" dice di andare via, poi scende giù e apre il portone, il cicchetto ringhiato in breve si trasforma in una eccezionale concessione per visitare il forte da dentro, con la raccomandazione di non sporgersi dai bastioni per evitare che gli operai vedano e facciano la spia, è tutta una recita ma stiamo al gioco ben felici di visitare questa favolosa fortezza piena di cunicoli, garitte e segrete. Da sopra i bastioni si ammira un panorama superbo che spazia dalla costa rocciosa del versante Algerino a le montagne ricoperte di sughere dell'interno, per perdersi nelle grandi dune di sabbia lungo la costa ad est dell'abitato, purtroppo si vedono anche i tanti cantieri di alberghi in costruzione che stanno rovinando ancora di più un paesaggio già menomato dal cemento, ma che conserva ancora scorci di grande bellezza.
Ringraziamo il fanalista che ci ha ospitato e scendiamo da un viottolino visto dal forte che scende lungo la scogliera sotto i bastioni di ponente. La luce è sempre più bella e il sole fa luccicare le massicce mura ancora bagnate dalla pioggia, scendendo fra giunchiglie e barba di giove ci ritroviamo nuovamente sulla spiaggia dove un antico cannone insabbiato ci ricorda che stiamo camminando sulla storia della pirateria del mediterraneo. C'è un omino magrissimo con una voce da baritono che sta parlando con due persone che non vedo, uno con una voce stridula e uno roco, ci metto un po' a capire che Il matto di Tabarka in perfetta solitudine sta facendo un comizio fra le rocce e la spiaggia, è un grande degno del miglior Giovannino di Pomonte interpreta tre personaggi da vero artista e mi rammarico tanto di non capire l'arabo. Buone nuove su La Galite non ce ne sono e passare la frontiera algerina sempra cosa assai complicata, andiamo a fare un giro verso il promontorio a ovest dell'abitato da dove si dovrebbe vedere bene la Costa Algerina, passiamo dalle Aiguilles, i pinnacoli di roccia che sono uno dei simboli di Tabarka e effettivamente sono molto belle per forma e colore, peccato che per renderle più accessibili le hanno circondate di cemento, una passeggiata criminale per quanto è brutta, cammina per qualche centinaio di metri lungocosta raggiungendo anche un altro ecomostro, un anfiteatro di cementoarmato, poi fra cantieri edili e strade in costruzione raggiungiamo la scogliera dopo essere passati da una strada in costruzione che a causa delle forti piogge è finita in mare e fa un certro effetto vedere il guard rail sospeso per aria e una cinquantina di metri più in basso i resti della strada dentro il mare. La scogliera è bella e ha un che di Monte Grosso ma dal mare Algerino spinte da un vento freddo stanno arrivando delle nuvole che "sono nere come il corvo" quindi si torna indietro e l'acqua grossa arriva quando ormai siamo in paese e fra tettoie e botteghe in smantellamento ce la sterziamo bene. L'unico mezzo per rientrare a Bizerte è il louage, dopo una trattativa di un'oretta con altri sei troviamo un louage che ci porterà fino a Beja e da lì saliremo su un louage diretto a Tunisi, sembra strano a raccontare ma è tutto legato a dove i tassisti si fermeranno a mangiare alla fine del giorno di digiuno, il nostro a Beja e il tassista che ci sta aspettando andrà a mangiare a Tunisi. Si cambia al volo in una piazzola, il nuovo tassista viaggia come una scheggia col suo ducato dalle tendine ricamate, sorpassando tutto quello che si presenta davanti, un pik-up carico di poponi gialli ci taglia la strada e rischiamo di brutto e l'autista "occhi di demonio" si incazza così tanto che dopo aver litigato per un paio di chilometri dal finestrino con il poponaio comincia un comizio su come si guida con i passeggeri, è talmente preso che si dimentica che aveva furia e da un passo da 120 chilometri all'ora passiamo a 40 di media. Arrivati a Tunisi occhi di demonio sceso dal Ducato sembra un agnellino e ci saluta con fare da chierichetto. A pochi metri c'è un louage con solo due posti liberi diretto a Bizerte, si sale e si parte subito. Intorno all'una uscendo da internet vediamo per la prima volta il ponte aperto con i rimorchiatori che trainano un mercantile all'interno del lago di Bizerte.  
   

Mercoled?¨ 24 settembre 2008 Bizerte – Tunisia

Image Delusione grande
Con la testa già a La Galite ci troviamo con Ciccio e Mustafa davanti al palazzo del Governatore. La burocrazia tunisina è più labirintica di quella italiana, in questi palazzi ci sono decine e decine di poliziotti, attendenti e impiegati, è un formicaio di dipendenti dello stato che combinano poco e guadagnano meno. Gli uffici, ci spiegano sono resi efficienti dai cittadini e dalle grandi aziende che contribuiscono fornendo il necessario per svolgere il lavoro, dalle risme di carta alle biro, lo stato da il posto di lavoro a tante persone ma le paga poco, però sono posti assai ambiti perché permettono di arrotondare bene a tutti i livelli grazie alla "necessaria generosità" della gente, un sistema che qui è considerato normale.
Entriamo nell'ufficio della verità, il padrone di casa parla con Mustafa in arabo e poi ci dice che la procedura è lunga e complicata e che ci vorranno mesi. La Delusione è grande per noi e anche per Ciccio, ma non mollo di certo, La Galite è diventato un obbiettivo. Riprovo allo sport nautique per cercare di noleggiare un Kayak per qualche giorno per fare il tratto da Bizerte a Tabarka ma non c'è verso di trovare il responsabile e comunque trovo solo risposte negative. Domattina si va nuovamente a Tabarka per capire se da lì c'è qualche possibilità per andare sull'Isola dei PonzoGalitesi.   
  
   

Marted?¨ 23 settembre 2008 Bizerte – Tunisia

Image  Domani inschallah…
Mi chiama Ciccio per darmi appuntamento a domani mattina, andremo insieme a Mustafa al palazzo del Governatore per La Galite, ormai la cosa dovrebbe essere fatta. Intanto ci cominciamo a muovere per le autorizzazioni per entrare in Libia. Al telefono parlo con Nicol che è tutta entusiasta della scuola e del corso di danza.
   

Luned?¨ 22 settembre 2008 Bizerte – Tunisia

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World music
Mustafa ci dice di risentirci fra un paio di giorni, con le autorizzazioni della gendarmeria bizertina ci siamo, mancano quelle del governatore. La giornata è bella e ci andiamo a fare un altro giro da portoghesi con la canoa del villaggio turistico, poi in serata a Le Muse, il circolo culturale dove si va tutte le sere perché c'è la wi-fi, c'è un bel concerto nella chiesa sconsacrata con un gruppo che miscela la musica araba con quella europea e sudamericana     
   

Domenica 21 settembre 2008 Bizerte – Tunisia

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Nuotando controcorrente
Il tempo è piovigginoso facciamo un giro nella parte più recente di Bizerte che si sviluppa oltre il canale che collega il lago omonimo al mare. La parte più interessante è quella a monte del ponte levatoio con due grandi moschee e un prato esteso di fianco al canale, arredato con gigantesche eliche di navi che in questo periodo di Ramadan diventa un grande dormitorio pubblico.
Lungo la sponda ci sono tane persone che pescano a cannella e una grassa signora con una tinozza piena di vermi che li vende per esca.
Arriva la bassa marea e l’acqua del lago defluisce velocemente verso il mare, ci sono diversi sub che stanno pescando, nuotano controcorrente stando praticamente fermi e aspettano che il pesce gli passi davanti, resistono qualche minuto e poi accostano e si riposano, catturano più che altro muggini, salpe e polpi che nel fondale ciottoloso sono numerosi, quelli pescati ormai cadaveri sventolano allungati dalla corrente legati alle cinture dei sub come ogliere albine. 
Il sole si fa largo fra le nuvole che sanno di autunno mentre si rientra verso Bizerte ripassando dal ponte levatoio.