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Amman la Città Bianca, l’Ospedale Italiano, l’Hashemita Inglese, il Faraone Greco e l’apocalittico tramonto cementizio
La prima cosa che faccio è controllare su internet (nel fonduk c’è un computer a uso gratuito) se è uscito il comunicato su “Base Elba a Kerkennah”. La notizia ha avuto buona visibilità, specialmente su Elbareport che gli ha dedicato un’ampia Controcopertina. Poi si va all’ospedale italiano di Amman che si trova nella città vecchia a poche centinaia di metri da qui, lo si raggiunge risalendo una delle tante ripide vie della “Città Bianca”, pochi minuti e ci troviamo davanti all’insegna blu dell’Italian Hospital. Questo edificio è stato il primo ospedale di Amman, fu inaugurato nel 1927 ed è stato costruito con finanziamenti italiani per conto dell’A.N.S.M.I. una associazione di supporto ai missionari, per decenni è stato il più importante riferimento sanitario della regione e ancora oggi gode di ottima fama, ho deciso di venire qui per la possibilità di comunicare in italiano con i medici. È una struttura moderna e ben tenuta, arrivato all’ingresso chiedo se è possibile fare una visita medica e le ragazze dell’accoglienza che sono vestite all’occidentale (cosa che dopo qualche mese di Sahara mi sembra strana) senza chiedermi nessun documento o certificato mi accompagnano in un ufficio dove ci accoglie un signore gentile che parla benissimo italiano (mi sento imbarazzato immaginando come sarebbe stato accolto un Giordano in Italia che si presenta in un ospedale chiedendo una visita medica in arabo) Mister Hanna è il direttore amministrativo e in questo periodo è particolarmente indaffarato perché dopo oltre settantanni di ininterrotta gestione italiana, quest’anno l’ospedale è passato ad una gestione francese che ha portato nuovi sistemi, dopo decenni per la prima volta non ci sono italiani che lavorano nella struttura, le ultime ad andare via sono state le suore missionarie Combonesi che sono partite a Natale. Hanna parla benissimo italiano e con la classica diplomazia formale di chi vive in mezzo ai preti mi fa capire che lui si trovava meglio con il vecchio sistema, mentre ci accompagna dal medico nei corridoi vediamo scorrere le foto che rifanno contemporaneamente la storia dell’ospedale di Amman e della famiglia Reale Hascemita, in un’immagine d’epoca si vede l’inaugurazione di questa struttura in pietra che giganteggia in un Amman che all’epoca era poco più che un villaggio sgarrupato di case bianche, nell’immagine a fianco si vede Fausto Tesio (il medico italiano che ha dedicato gran parte della sua vita alla realizzazione e al funzionamento di questo ospedale) un gigantesco omone barbuto, con il Re Abd Allab I il primo sovrano del regno quando questa terra si chiamava ancora Transgiordania. Tesio ormai anziano e ancora più enorme è protagonista in un’altra bella immagine insieme all’allora giovane re Hussein piccolo e baffuto, che assomiglia in maniera impressionante a zio Gino, sono tante le immagini con il sovrano Hashemita, dai primi anni del regno fino alle più recenti con l’ospedale ampliato e ormai inghiottito dalla città divenuta metropoli.
Serena sta bene e lo conferma anche il dottore dopo la visita, che ci da appuntamento a domani per fare tutte le analisi di routine e che, visto che ci siamo, farò anch’io. Soddisfatti e grati e anche un po’ sorpresi per essere stati trattati così bene, si va a fare un giretto per Amman. La capitale della Giordania è una città con un traffico disciplinato dove quasi nessuno suona il clacson, è totalmente diversa dal Cairo, c’è un’atmosfera rilassata e il clima è piacevole, anche perché siamo a circa ottocento metri di altezza, e pur essendo nei pressi di una delle moschee più importanti della città non si respira nessun sentore di tensione o fanatismo. Mi sorprende vedere per le vie tante donne asiatiche, passiamo dentro uno spettacolare mercato ortofrutticolo e finalmente troviamo le albicocche grandi che credevamo di trovare nelle oasi di Bahariyya e Dakhla e tutta la frutta possibile immaginabile. Il mercato finisce sul confine di un monumentale sito archeologico ignorato da tutti: è il Ninfeum, il complesso è recintato ma c’è il cancello aperto, si entra circospetti aspettandosi un assalto di guardiani bashishari e pseudo guide, invece è tutto estremamente tranquillo, il personale di servizio saluta e se ne resta tranquillamente seduto nella propria postazione, le metodiche egiziane per fortuna sono lontane. Pur essendo inglobato all’interno di urbanizzazioni moderne il sito mantiene imponenza ed eleganza, intorno alla fontana principale i resti di grandi colonne e una ruspa parcheggiata che esalta le dimensioni delle rovine antiche. Quello che non manca ad Amman sono le gigantografie di re Abd Allah II che ormai ha spodestato il padre Re Hussein, quando venni la prima volta in Giordania, Abd Allah II era sovrano da pochi mesi ed erano molto più numerose le gigantografie del padre, il nuovo re era sempre raffigurato insieme al babbo. È particolare la storia di questo sovrano molto inglese anche nell’aspetto, figlio dell’inglese Antoniette Avril Gardiner seconda moglie di Hussein II che non si convertì all’Islam e per questo dovette rinunciare al titolo di regina, nel 1972 divorzia e torna nella patria natia con il figlio. Abd Allah è cresciuto ed ha studiato in Inghilterra, dove è stato soldato e ufficiale inglese, diventato re per un colpo di teatro dell’ormai anziano Re Hussein che prima di morire cambiò il testamento designandolo erede al trono. Inizialmente non molto amato perché ritenuto uno straniero che, a quanto dicono, non sapeva nemmeno parlare bene l’arabo, con il tempo e con l’aiuto della propaganda del regime dittatoriale è diventato leader indiscusso di questa nazione. E gli inglesi dopo secoli di tentativi più o meno riusciti, sono arrivati a governare le terre bibliche ad Oriente del Giordano grazie alle gioie di Miss Gardiner.
Proseguendo nel fondo valle ormai totalmente urbanizzato, in un alternarsi di edifici antici, vecchi e moderni, si arriva nella zona del teatro, uno dei monumenti più famosi dell’antica Philadelphia Romana, fu costruito dai Romani intorno alla metà del secondo secolo dopo Cristo ma mantenendo lo stile ellenico della città e poteva ospitare fino a seimila persone, il sito sta per chiudere,vistiamo solo la parte esterna senza entrare nel teatro. Le colline su cui si sviluppa Amman salgono ripide e portano velocemente l’ombra qui nel fondo valle dove un tempo scorreva un fiume, sopra di noi sul lato opposto al teatro, sull’apice di una collina dalla cima spianata si vedono le mura della cittadella e alcuni dei suoi resti monumentali, saliamo da una scalinata ripidissima che si arrampica verticalmente verso il culmine del poggio regalando ad ogni passo una vista sempre più panoramica sulla città e in particolare sul teatro. Si attraversano i quartieri popolari più poveri della città dove vivono i profughi palestinesi, questa è un’altra Amman: case sgarrupate, donne velate, tanti bimbi che giocano nelle erte vie, sono migliaia i Palestinesi che sono arrivati nella capitale Giordana, flussi migratori di massa sono inziati a partire dall’istituzione dello stato di Israele nel maggio del 1948 e poi continuati ad ogni conflitto con lo Stato Ebraico. È una dimensione strana questa dello stare fra la cronaca e la storia, situazioni lette e viste nei telegiornali da quando ero bimbo, spesso distrattamente e senza capirle, ma che sono entrate dentro e fanno parte della memoria, come i fatti di casa, o quelli  Elbani, o italiani, un sottofondo quotidiano fra il reale e l’immaginario dove convivono luoghi, come La Batinca e il Rimercoio, il Golan e Via delle Bottege Oscure e personaggi come Arafat, Moshe Dajan, Moro, Curcio, Zio Mario, Berlinquer, Groppino e il Grinzo.
E alla fine il bello dell’attraversare la realtà è che ci sono sempre i bimbi che giocano a pallone e le donne che stendono i panni. 
Si continua a salire da una scalinata sempre più ripida e sgarrupata che nell’ultimo tratto diventa di legno, fino ad arrivare sul culmine del poggio spianato, le grandi mura perimetrali ci dicono che stiamo entrando nell’area archeologica della cittadella Jbel al Qala, che a quanto dicono gli studiosi era abitata già novemila anni fa, ci troviamo nel cuore del sito senza essere passati dall’ingresso, i flussi turistici hanno vie ed orari prestabiliti, se arrivi fuori dai flussi e da vie non percorse dai turisti, entri senza controlli e senza pagare, come la gente di Amman che la sera ama venire qui a godersi l’aria fresca del tramonto. Fra i tanti ruderi spiccano per maestosità le grandi colonne restaurate del tempio di Ercole, anche questo costruito dai Romani al tempo di Marco Aurelio, sopra questa collina spianata un tempo si sviluppava l’acropoli di Philadelphia, la città che Tolomeo II Filadelfo dopo averla conquistata volle dedicare a se stesso. Il Filadelfo, mentre in Egitto regnava come Faraone, qui regnava da sovrano Greco e le architetture della sua Philadelphia sono totalmente diverse da quelle che fece innalzare in territorio Egizio, così come le sue effigi, tanto che si fa fatica a credere che fosse lo stesso periodo storico e lo stesso personaggio; Tolomeo II che in Egitto faceva il Faraone e innalzava templi alle deità delle genti del Nilo, qui era un sovrano greco. Viaggiando si ha il privilegio di assaporare la complessità e la promiscuità della storia e il continuo miscelarsi delle genti e anche l’antica e attuale usanza da parte dei potenti di ogni dove di assoggettarsi la volontà dei popoli con le religioni e le tradizioni, magari sotto la minaccia di malefici e interventi di dei vendicatori. Tolomeo II era un unico sovrano con facce diverse a secondo delle zone, un po’ come le lattine della coca cola che qui hanno le scritte in arabo, ma sono le stesse in tutto il mondo.
In lontananza si vede una gigantesca bandiera della Giordania che sventola faticosamente a causa della grande mole, nonostante un’intensa brezza, il venticello invece permette ai tanti aquiloni colorati che stanno decollando dai terrazzi e dai tetti delle case di Amman, di volare agili e gioiosi adornando il cielo di voglia di libertà. Da qui in cima si valuta meglio la grande estensione della capitale del regno Hashemita, che ormai ha ricoperto completamente tutto il panorama visibile. Piccoli gruppi di donne che si godono la frescura del tramonto sedute sulle rocce a strapiombo sulla città, che da qui appare come una estesa macchia bianca e uniforme da cui sbucano i minareti delle moschee e i campanili delle chiese, mentre ad ovest un sole gigante sta accendendo un tramonto infernale, infuocando un cantiere edile con decine di gru e palazzi in costruzione, un’immagine apocalittica metafora arroventata dell’inarrestabile avanzata del morbo malefico del cemento che insaziabile sta ricoprendo anche questa terra Biblica.