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Alla scoperta di Gerasa, la Roma d’Oriente Amman si sveglia tardi, alle sette di mattina la città è ancora quasi totalmente addormentata,oggi voglio andare a rivedere la città Romana di Jerash, il sito archeologico più famoso della Giordania, dopo Petra, che si trova ad una cinquantina di chilometri da Amman. Con un taxi raggiungiamo la stazione dei bus, il tassista parla romeno perché ha vissuto lì diversi anni e associa la Romania all’Italia “Romania come Italia parla uguale, gente amica dei giordani non come inglesi, francesi e tedeschi, loro razzisti”, mi piace quello che dice e penso anch’io che gli italiani siano in maggior parte così, anche se le ultime cronache italiche in fatto di fratellanza con i rumeni e di tolleranza verso gli altri popoli, non è che siano tanto edificanti. Attraversiamo i saliscendi di un paio di colline ricoperte da grandi alberghi e centri commerciali e in una decina di minuti arriviamo alla stazione Nord degli autobus, è grande e frequentata, non posso fare a meno di notare quanto tutto sia più pulito ed ordinato rispetto all’Egitto, per partire però si aspetta tanto, il sistema è lo stesso della terra dei Faraoni, si parte quando i posti sono tutti occupati. Lasciato il grande piazzale ricomincia il saliscendi fra le colline della grande periferia che sembra finire e ricominciare più volte, sono chilometri di abitazioni recenti o in costruzione, finalmente dopo una ventina di chilometri incontriamo la campagna con i campi di grano e gli oliveti, è un paesaggio collinare prevalentemente brullo con tanti affioramenti di rocce bianche, la strada si snoda sinuosa e panoramica fra discese e salite ripide che si susseguono ininterrottamente per una cinquantina di chilometri, finché non vediamo Jerash, la famosa Gerasa degli Antichi Romani. Dalla strada si vede già il grande arco trionfale di Adriano, chiedo e ottengo di scendere qui, ci prendiamo un the in una microbottega alimentare in questa zona di officine meccaniche, è una baracchina di tre metri per due ma c’è tutto, il banco, il frigo e il fornello. Scendiamo da un viottolo che fiancheggiando la recinzione ci porta ad un ingresso secondario che si trova all’estremità meridionale del sito. Il sito dell’antica Gerasa ha una storia millenaria, la zona era abitata già seimilacinquecento anni fa per una serie di condizioni favorevoli: la posizione sulle colline di Gilead, difficilmente attaccabile da eserciti nemici, la terra fertile, il fiume oggi chiamato Wadi Jerash che l’attraversa garantendo acqua fresca tutto l’anno, l’altitudine di 500 metri che regalava un clima mite e per la posizione estremamente strategica del punto di vista commerciale. Fin dai tempi di Garshu (così si chiamava l’insediamento prima della conquista Greca) questo centro era considerato un punto di incontro fra la cultura mediterranea con quella orientale. L’insediamento diventò una città durante il periodo ellenico, successivo alla conquista di Alessandro Magno (332 a.C.) e fu chiamata Antiochia Chrysorhoas (sul fiume dorato). Ma è con la conquista romana avvenuta nel 63 a.C al tempo di Pompeo, che inizio l’età dell’oro e prese il nome di Gerasa, dopo l’annessione all’Impero Romano entrò a far parte della Lega delle Decapoli. La fortuna di Gerasa fu dovuta alla fertilità del terreno e alla ricchezza d’acqua, ma anche al commercio con mercanti Nabatei, grazie al quale divenne una delle province più ricche di tutto l’Impero Romano e la città venne ridisegnata e ampliata per essere all’altezza del suo status. Con la conquista del regno Nabateo da parte di Roma nel 106 d.c. al tempo di Traiano, Gerasa diventa ancora più importante e si sviluppa fino a diventare una delle più grandi città Romane, arricchita da strutture imponenti e lussuose, un ulteriore sviluppo arriverà in occasione della visita dell’imperatore Adriano nel 129 d.C. L’importanza e la maestosità di Gerasa crebbe fino all’inizio del III secolo, superando i ventimila abitanti e acquisendo anche il titolo di colonia Romana. Ma nei decenni successivi iniziò il declino causato principalmente dal cambiamento delle rotte commerciali che si spostarono verso il mare, abbandonando le vie carovaniere, facendo perdere alla città le tasse sulle merci che transitavano da qui. Il declino della città sembrò segnare una battuta d’arresto nel 300 d.C. sotto Diocleziano, quando si verificò una breve ma intensa ripresa delle attività edili, che però non fermò il regresso di Gerasa che nel quinto secolo aveva perso la sua importanza, nonostante l’imperatore Costantino con la conversione dell’impero Romano al culto cristiano, vi fece edificare molte chiese per lo più costruite sulle rovine di palazzi e templi preesistenti. La conquista da parte degli Arabi nel 636 d.c. decretò la fine di Gerasa che ricevette il colpo di grazia dai terremoti che colpirono la regione intorno alla metà dell’ottavo secolo. Nel XII secolo i cronisti delle crociate raccontano delle rovine disabitate di Gerasa dove si fermò una guarnigione cristiana. Da lì in poi la città rimase totalmente ignota al resto del mondo, finché nel 1806 fu riscoperta da Ulrich Jasper Seetzen, un viaggiatore tedesco che riconobbe le rovine dell’antica città, i resti rimasero semisepolti fino al 1925 quando iniziarono i primi scavi. Entriamo passando dal grande arco di Adriano che fu inaugurato nel 129 d.c. in onore della visita dell’Imperatore, il possente monumento fu costruito molto più a sud della città in previsione della sua futura espansione, che poi in realtà non si verificò; più che restaurato l’arco sembra ricostruito per quanto è perfetto, anche nei siti archeologici la Giordania è totalmente diversa dall’Egitto, i poliziotti fanno i poliziotti e nessuno si propone per farti da guida e poi è tutto molto pulito. Passiamo dentro i resti di una chiesa bizantina e poi arriviamo all’ippodromo, anche questo recentemente restaurato con tanto di tribune e bandiere, è lungo 245 metri e largo 52, sulla pista ci sono un paio di cocchi romani che fanno molto set cinematografico e fanno pensare alla spettacolare corsa delle quadrighe nel circo di Antiochia del kolossal cinematografico Ben Hur. Una via lasticata risale verso nord e dopo qualche centinaio di metri arriva all’ingresso principale dove c’è il centro visite, allestito con grandi panelli, plastici e del bel materiale informativo gratuito. Usciti dal centro visite dopo pochi metri si trova la porta Sud, il vero inizio della città antica, e i resti delle mura cittadine risalenti al quarto secolo dopo cristo, al tempo di Diocleziano. Percorriamo il lastricato della via meridionale che ci porta nella spettacolare Piazza Ovale che misura novanta metri per ottanta, è perfettamente pavimentata e circondata da un favoloso colonnato che si apre verso nord sul Cardo Massimo, è un luogo maestosamente armonico. Appena più in alto sul lato ovest c’è il grandioso Tempio di Giove con le sue colonne alte quindici metri, attualmente è in restauro e il camion gru in mezzo alle rovine sembra un modellino. Si sente un suono di cornamuse provenire dal Teatro Sud che si trova pochi metri più avanti, si entra… il grande teatro in perfetto stato di conservazione, fu costruito nel novanta dopo cristo al tempo di Domiziano e poteva ospitare circa cinquemila persone, i musicisti in divisa militare suonano le cornamuse per un gruppetto di una decina di pallidissimi inglesi che sembrano apprezzare lo spettacolo; gli angli se ne vanno e i musicisti si spostano all’ombra delle possenti mura a riposare, ma solo per pochi attimi, appena vedono arrivare un paio di coppie di giapponesi scendono dentro l’orchestra e iniziano a suonare la solita musica. Il suono delle cornamuse non è il massimo ma permette di apprezzare l’eccellente acustica del teatro, che è anche una favolosa postazione panoramica per ammirare la Piazza Ovale e il Cardo Massimo, spina dorsale di Gerasa lungo 800 metri e completamente fiancheggiato da imponenti colonne sui due lati. Percorriamo la maestosa via colonnata del Cardo Massimo, le lastre della pavimentazione conservano i solchi del passaggio dei carri nei tempi antichi, quando questa era una via molto frequentata, oggi c’è solo qualche turista e un po’ di lucertolone policrome, che stanno a godersi il sole fra le rovine. Sul cardo un tempo si affacciavano decine di attività commerciali, entriamo in una bellissima piazza ottagonale che al tempo del dominio romano era occupata dai macelli, è un posto elegante, dalle geometrie perfette, che fa pensare più ad un luogo di culto, a qualcosa di grande importanza pubblica, ma invece a quanto raccontano le inscrizioni sulle pietre è la piazza dei macelli e questo ci fa capire quanto all’epoca fosse elevato il senso estetico. Facciamo una breve visita al museo, che si trova a pochi passi, dove sono esposti alcuni bei mosaici bizantini, monete di varie epoche, ma soprattutto reperti risalenti al periodo preistorico dell’insediamento e poi si ritorna sul Cardo Massimo per arrivare ad incrociare il primo decumano dell’antica Jerash. A est la via scende verso la città nuova e sembra finire dentro una moschea, un tempo, dove oggi c’è un muro e una recinzione che ostruisce il passaggio, c’era un ponte che collegava questo lato della città, in cui si concentravano gli edifici monumentali e pubblici e i mercati, con la parte residenziale che oggi si trova sotto l’insediamento moderno, era questa la parte più estesa dell’antica Gerasa. All’immobilità del sito contribuisce anche una guardia dentro una nicchia, che sembra mummificata insieme al suo telefonino. Il decumano sale verso ovest fiancheggiando la cosiddetta Cattedrale, una delle tante chiese bizantine di Jersah, costruita su un precedente tempio di Dionisio risalente al secondo secolo, che a sua volta aveva sostituito il santuario del dio nebateo Dendhara ai cui era stato associato anche perché entrambi legati al culto del vino. Appena più in alto la Chiesa di San Teodoro davanti alla quale si trova la famosa fontana del miracolo, dove, secondo le leggende cristiane, ogni anno in occasione della ricorrenza del miracolo di Cana, dalla fontana il vino si sostituiva all’acqua, che si potrebbe tradurre in “a Jerash il culto del vino ha attraversato tre religioni”. Gerasa è un insieme di tante rovine di epoche diverse che si sovrappongono, faccio una piccola deviazione per vedere un cantiere dove una squadra di operai sta riportando in superficie la pavimentazione di un vecchio edificio e poi si ritorna sulla via colonnata, che salendo verso la collina si perde nella vegetazione, il colonnato si dirada e la via lastricata si perde nella campagna ricoprendosi di erba secca e di cardi giganti, come quelli che crescono a Pianosa. Le rovine sono meno leggibili ma l’atmosfera è ancora più suggestiva con le colonne e i capitelli che sbucano dal terreno fra erba secca e fiori di campo, sotto lo sguardo di sauri imbronciati e nello svolazzare di farfalle leggere e leggiadre, sembra di essere sulla strada per Frittole di “Non ci resta che piangere” una sensazione piacevole e leggera di sentirsi fuori dal tempo e dentro la storia. Salendo si incontrano altre tre chiese costruite dai Bizantini sfruttando gli edifici preesistenti, sono dedicate a San Giorgio, San Giovanni e ai SS Cosimo e Damiano, quest’ultima è quella che si conserva meglio ed ha ancora dei pregevoli pavimenti a mosaico. La chiesa è protetta da una cancellata e da un filo spinato sul quale fanno bella mostra delle rondini. Si sente il suono delle cornamuse proveniente dal Teatro Sud, che continuano a proporre la solita strofa musicale, ci sono colonne ovunque, sono ancora tantissimi gli edifici interrati e nonostante i terremoti e le tante razzie, sbucano da ogni dove opere raffinate e realizzate con materiali pregiati. Si sale fino al tempio più alto, anche questo trasformato in una chiesa dai cristiani, da qui si domina tutta Jerash, lo scavo e la città nuova che è un appiccicume di case squadrate che toglie magia alla visione di insieme e offre uno spietato confronto fra passato e presente architettonico; su tutto domina il possente complesso del Tempio di Artemide, divinità a cui Gerasa era dedicata. Scendiamo dai campi dorati di erba secca a nord del tempio principale, fra grandi accumuli di colonne e arriviamo al Teatro Nord, più piccolo di quello meridionale ma altrettanto ben conservato. L’essere soli in questi luoghi regala una grande sensazione di privilegio, stare seduti su queste gradinate a meditare è come un respiro di storia che ti entra dentro senza sforzo, come un organismo vivente unico e complesso che unisce tutti gli uomini, di ogni luogo e di tutti i tempi. Dal teatro si scende verso il Cardo Massimo che prosegue fino alla Porta Settentrionale che si apriva sulla leggendaria via per Damasco e Palmira. Vicino al grande arco monumentale c’è un camion gru che viene usata per i restauri, sono opere imponenti quelle in corso, una vera e propria ricostruzione dell’antica città. Siamo vicini al fiume, che in realtà è poco più grande del fosso di Rimercoio, tornando indietro si entra dentro un grande impianto termale, come sempre nelle città romane è una costruzione imponente, ma qui i restauri non sono ancora arrivati e le murature antiche si mimetizzano fra olivi e cardi; ancora colonne e resti di edifici monumentali, fino ad arrivare alla base del tempio di Artemide, la potente Dea della Caccia figlia di Zeus e protettrice di Gerasa. Il santuario vero e proprio è preceduto da una grande scalinata lunga un centinaio di metri e da una grande piazza, questa era l’area sacra più importante della città, il tempio fu costruito intorno alla metà del secondo secolo dopo cristo e nonostante le tante predazioni ricevute da cristiani ed islamici, conserva una grande imponenza. Le colonne che anticipano la Santa Santorum dove veniva conservata la statua più importante della divinità sono enormi, adornate da capitelli Corinzi perfettamente conservati, ci sono due gruppetti di turisti e qualche ragazzino che prova a vendere souvenir e qualche bibita fresca, ma anche qui senza l’insistenza. Le mura possenti del Tempio di Artemide ospitano tanti uccellini che si costruiscono nidi fra le fessure dei grandi blocchi ed è circondato da fioriture di cardi viola. Camminando fra le rovine troviamo la ricostruzione in legno di una ruota ad acqua collegata ad un albero a camme che probabilmente azionava una macina. Torniamo sul Cardo Massimo e passiamo dal Ninfeo, una grande fontana su più livelli che quando era in funzione doveva essere favolosa e poi ripercorriamo la via colonnata fino alla Piazza Ovale, dove la luce bella della sera e le ombre del colonnato ne esaltano l’armonica bellezza. Uscendo dal percorso principale entriamo in una serie di grandi stanze sotterranee in parte usate come depositi di materiale da restaurare. Come capita sempre in questi siti, l’orario di chiusura ci trova ancora dentro, un benevolo custode ci apre il cancello di uscita e grazie a una serie di coincidenze fortunate prendiamo un pulmino che ci porta ad un incrocio sotto la città nuova, dove sta per partire il bus per Amman. |
© 2024 Elba e Umberto
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