Monthnovembre 2008

Giovedi 2 ottobre 2008 da Sbeitla a Douz – Tunisia

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La Palestra

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Arco di Antonino

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I Templi di Giove Giunone e Minerva

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Dentro l`oued

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Oued Essaboun

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La Ferrovia

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Oued El Kebir

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Tozeur

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Chott el Jerid

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Lastre di sale

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Giochi di sale

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“Passano ancora lenti i treni per Tozeur”
Sbeitla, lo Oued el Kebir e il Chott el-Jerid
Mi sveglio che è già giorno, il cielo è sereno e regna il silenzio, la luce è molto bella e la pioggia che ha lavato tutto fa risaltare le pietre dei monumenti che brillano nel primo sole del mattino. Non c’è ancora nessuno, poi arriva l’addetto ai bigletti e si entra nella città. Camminiamo su un largo vialone lastricato che conduce alle grandi terme con annesse palestre, in alcuni tratti i pavimenti sono crollati e si vede benissimo il sistema di riscaldamento mentre dove i solai sono integri i pavimenti a mosaico sono bellissimi perché lavati e resi brillanti dalla pioggia. Come in tutte le città romane anche qui ci sono le scanalature per le porte a scorrere dei negozi e i pipi ritti di pietra che indicavano la via per raggiungere i lupanari. Come Bulla Regia e Dougga anche Sefetula fu costruita dai romani su una preesistente città Numida intorno al primo secolo e raggiunse il massimo dello splendore circa un secolo dopo, doveva la sua ricchezza alla campagna fertile ed era famosa soprattutto per la produzione dell’olio come testimoniamo anche i resti dei tanti frantoi, pero` a differenza di Dougga, rimase un centro molto importante anche sotto i Bizantini che ne fecero la città più importante della regione e la fortificarono per contrastare le ribellioni dei berberi. Nel 651 il prefetto Gregorio rese la città indipendente da Costantinopoli ma dopo pochi mesi il nuovo stato fu sconfitto dagli arabi che ne decretarono il declino.
Lasciate alle spalle le terme ci troviamo davanti il teatro che è molto grande pero` più che restaurato sembra ricostruito e stona con tutto il resto, il vialone principale ci porta davanti alla porta di Antonino, è uno dei monumenti più antichi della città risale a quanto pare al 139, un grande triplice arco dedicato a Antonino Pio e ai figli adottivi Marco Aurelio e Lucio Vero, dall’arco si entra nel grande foro tutto circondato da colonne e il magnifico Campidoglio reso ancora più bello dalle nuvole che sono spuntate alle sue spalle, come sempre il tempio di Giove al centro e quelli di Giunone e Minerva che qui ancora di più che negli altri siti visitati regalano una visione d’insieme di grandiosità e armonia. Quello del foro è uno spazio enorme costruito per accogliere centinaia di persone, stamani qui c’è sentore di magia con le pietre bagnate che luccicano al sole, è tutto cosi` maestoso e irreale, non c’è nessuno in questo monumentale e immobile silenzio. Spostandosi appena fuori si incontrano tre basiliche Bizantine costruite su preesistenti templi, la più grande è la chiesa di San Severio, la più bella è la basilica di SanVitale che fu costruita nel sesto secolo nel cui perimetro di mura si trovano tre fonti battesimali rivestite a mosaico perfettamente conservate, una con disegni di pesci che sembrano nuotare nell’acqua rimasta sul fondo per la pioggia, una tutta bianca e per ultima la più bella con richiami floreali che sembra una jacuzzi gigante tutta morbida con le tesserine piccole che ne rivestono le sinuosità.
Il sito è molto esteso e ricco di ville e templi, camminando verso nord ovest si incontrano i resti dell’immancabile arco dedicato a Settimio Severo, più avanti un grande anfiteatro ancora da scavare e poi il grande ponte che attraversa ancora il fiume Sbeitla, proseguo lungo il fiume che anche qui porta i segni del nubifragio notturno e poi poco prima dell’uscita il grandioso Arco di Diocleziano, ci sono dei giardini ricchi di fiori belli e un gruppo di giardinieri a chiacchera che quando ci vedono passare fanno finta di zappettare per poi fermarsi subito dopo.  
Ho una gran voglia di vedere  la zona del nubifragio e ripartiamo con l’intento di fare la strada di ieri fino a Douz, i fiumi sono di nuovo secchi qui la piena è come un treno che passa ma l’acqua ha scavato delle voragini impressionanti. Il paesaggio è caratterizzato da infinite distese di pittai, è completamente un altro posto rispetto a ieri, l’acqua nei fiumi e nei campi è scomparsa, è rimasto solo fango e tante voragini nel terreno. Arriviamo a Feriana anche lei irriconoscibile, il fiume è secco, ieri notte mi sembrava di vedere un treno ma non ero sicuro, il treno c’era e anche la stazione, la ferrovia è ricoperta di fango e sterpaglia strappate, mi fermo e faccio quatto passi nel letto del fiume, ieri sera l’acqua aveva almeno quattro metri di altezza. La vita scorre lenta e tranquilla come se non fosse successo niente, i pollai, che da queste parti sono minuscoli, raggiungono le dimensioni minime viste finora, sono infatti ricavati da vecchie botti di carburante.
Lungo la strada ci sono tanti distributori di benzina, niente a che vedere con quelli che siamo abituati a definire tali, sono dei banchini con taniche e bottiglie di varia capacità piene di benzina, miscela o gasolio, si va dalla bottiglietta da mezzo litro alla tanica da 25 litri e i prezzi sono chiaramente più bassi rispetto ai “distributori occidentali”.  
La strada è piena di tronchi e fango, finalmente vediamo cosa erano le misteriose luci della Steg, che chissà perché me la immaginavo come un immenso asadero argentino, è in realtà una centrale elettrica che pero` si pronuncia coma la bistecca dell’americani, è più o meno l’equivalente dell’Enel da noi. Passiamo sopra il ponte sul Oued Essaboun che ormai è diventato un torrentello ma anche qui le tracce della piena sono impressionanti, poco dopo un poliziotto ci mette in guardia sui pericoli della via e sulla possibilità che la guardia nazionale ci rimandi indietro, proseguiamo e dopo poco incontriamo il gasdotto transtunisino che porta il gas dall’Algeria alla Sicilia, ne avevamo visto la stazione di pompaggio sulla costa a nord di Kelibia i primi di settembre prima che la condotta diventi sottomarina.    
Il paesaggio è arido e la strada per una trentina di chilometri fiancheggia la ferrovia, proprio quella cantata da Battiato dove “passano ancora lenti i treni per Tozeur” la strada ferrata avanza a volte sopraelevata su piccoli ponticelli, a volte dentro gole strettissime con i binari stretti stretti che sembrano quelli di un trenino elettrico, è tutto molto cinematografico potrebbe essere il set di Lawrence d’Arabia o quello di un film western di Sergio Leone.
Un gruppo di camper olandesi che ci precedeva di poco sta tornando indietro, ci fanno segno che la strada è impraticabile, proseguiamo e dopo poco incontriamo lo Oued el Kebir (Il grande fiume). I segni della piena di ieri sono impressionanti, l‘acqua si è portata via un pezzo di strada e il fiume ha allargato l’ampiezza e la profondità del suo letto, ora la situazione è più tranquilla ma c’è sempre tanta acqua sopra il livello della via, la maggior parte di quelli che provano a passare ce la fa, quando qualcuno rimane in mezzo (uno su dieci) interviene un trattore con un gancio che tira fuori dai guai. La polizia controlla mentre fra gli automobilisti su entrambi i lati c’è chi prova e chi aspetta che l’acqua abbassi ancora di livello. Arriva il nostro turno e passiamo senza problemi.
Il paesaggio sta diventando sempre più desertico, aumenta il caldo e la vegetazione si riduce a qualche cespuglio, a pochi chilometri da Gafsa c’è un pozzo a bordo strada dove fanno la fila trainati dagli asini e guidati da bimbi i carretti con le botti, Il panorama è bello con le montagne scure che fanno da sfondo alle palme di Gafsa (l’antica Capsa dei romani) ma la città è fatta di palazzoni e caserme e c’è tanto traffico. Tiro dritto per Tozeur, ormai è deserto, non quello di sabbia ma terreno roccioso con qualche sterpaglia, con le montagne sullo fondo e un cielo allegro azzurro con le nuvole bianche e pancione, ritroviamo anche la ferrovia che fiancheggia nuovamente la strada, incontriamo un altro oued in piena che si è mangiato una strada e poi Tozeur dove finisce la ferrovia e finalmente incontriamo il treno. Tozeur è molto turistica me la facevo più esotica e fuori dal tempo, è più bella cantata da Battiato che dal vero, pero` c’è una pasticceria dove fanno le millefoglie bone. Ripartiamo alla volta del Chott el Jerid, il lago salato più grande della Tunisia, ha una superficie di quasi cinquemila chilometri ed è attraversato da una strada sopraelevata, è un posto molto suggestivo e anche la luce è quella giusta con le montagne sullo sfondo e il grande lago secco è un enorme specchio dove i blocchi di sale riflettono l’ultimo sole del giorno. Scendiamo nel Chott, si avanza in un paesaggio surreale camminando fra grandi lastroni di sale che schioccano sotto i piedi, le lastre sono facili da prendere si fratturano naturalmente come grandi mattonelle, i colori diventano sempre più belli fino al tramonto che arriva insieme al sorgere della luna, questo è uno dei luoghi dove è stato girato Guerre Stellari, da qui Luke Skywalker osservava i due soli, in effetti sembra di essere su un altro pianeta. Fino a qualche decennio fa qui si caricava il sale sui dromedari e si portava fino alle città, oggi è tutto meno poetico e il trasporto del sale viene fatto con i camion, aggregarmi a una carovana di dromedari che trasportano le lastre di sale è una delle cose che mi piacerebbe fare, qui non ce ne sono più ma in Sudan, in Ciad e in Niger mi hanno detto che si trovano ancora e inschallah forse riusciro` a farlo prima che anche questa secolare e rituale attività venga cancellata per sempre dal “progresso”.
E` ormai notte quando arriviamo a Douz, la cittadina considerata la porta del deserto, è più piccola di quello che pensavo, con la macchina andiamo a cercare la famosa grande duna di Douz, ma troviamo solo alberghi e cantieri, ormai è notte fonda domani la cercheremo meglio ma la premessa è abbastanza deludente, si mangia qualcosa e poi si va internet dove Serena crolla e si addormenta. Dormiamo nel parcheggio di un hotel quattro stelle all’ombra di un pullman e dei gipponi dei turistoni, con il consenso benevolo del guardiano.

   

Pensieri dal deserto (Ghadames sabato 8 novembre 2008)

 

La sensazione di essere dentro la storia,
la speranza e la vergogna 

 

Sono nel deserto Libico, nella mitica città dei Tuareg.
In questi giorni ho avuto forte la sensazione di vivere da dentro un momento storico importante: la vittoria di Barrak Obama, il primo presidente nero degli Stati Uniti.
Di certi momenti se ne respira l’importanza dalla tensione e dalla paura, sono mesi che se ne parlava di queste elezioni ma sempre con distacco e disillusione “tanto non cambierà mai nulla”  “è sempre un americano” “è amico di Israele”  “se vince è un fantoccio, se no lo fanno fuori”
Però in fondo la speranza di un cambiamento c’era.
Negli ultimi giorni si capiva che la paura che vincesse il vecchio soldato yankee era forte.
Lunedì sera ero a Sousse a cena con il mio amico Alì, uno che di politica non ama parlare ma stavolta anche lui è teso “ se vince Mc Caine non c’è speranza per il mondo, se vince Obama forse è possibile un futuro”.
Mercoledì mattina, ha vinto Obama, c’è aria di festa sul louage che mi sta portando alla frontiera Libica, senza tanto clamore come usa in questo tipo di democrazie, ma la radio invece che fissa sulle solite musichette cerca continuamente notizie sul fatto del giorno.
Passo la frontiera Libica con meno problemi del previsto, anche nella blindata nazione di Gheddafi l’argomento è Barrak, la gente è felice anche se scettica e soprattutto ancora incredula, sono tutti in attesa delle prime mosse, da oggi alla testa del paese considerato il nemico numero uno, quello che qualsiasi cosa fa ha sempre ragione, c’è un Africano anche se molto yankee. La speranza che possa di colpo diventare un alleato per sconfiggere la miseria e far crescere la democrazia e la libertà in Africa è tanta. Felice anche se scettica e soprattutto ancora incredula.
Un‘ora fa prima di venire a internet ero a mangiare  in compagnia di “belli giovani e abbronzati” (e di molto grossi) Tuareg, mentre la televisione raccontava le esternazioni del “brillante” presidente del consiglio italiano. Come italiano  mi sono sentito una merda e mi è ritornato in mente Mohamed di Kerkennah, un anziano ridaccione col dono dell’ironia che mi faceva lezioni di geopolitica sul tetto della sua casa ricavata da un vecchio forte ottomano, “voi italiani siete come noi, solo che da noi i dittatori vanno al potere con i colpi di stato, invece voi li eleggete democraticamente” e giù a ride’ a presa di culo.
È quasi un anno che sono in Africa, sono in pratica stato adottato da questa gente, sull’Atlas mi hanno ospitato nelle loro case dandomi da mangiare a da dormire e aiutandomi a trovare il cammino, tutti poveri, neri e mussulmani, quelli che vengono quotidianamente insultati e aggrediti da Calderoli e compagnia.
Quando arrivavo nei villaggi di montagna la sera la gente mi veniva incontro per salutarmi e offrirmi ospitalità, non ho mai montato la tenda nei villaggi sono sempre stato ospitato e il pensiero andava spesso alla pagaiata in canoa fatta poco prima di partire per questo viaggio, dall’Elba a Roma dove nel “mio” paese sono stato fermato due volte per vagabondaggio dai carabinieri.
Gli unici problemi li ho incontrati quando ho incontrato i trafficanti di droga sulla costa mediterranea del Rif, ma lì ormai non era né Africa né Europa, era solo un gran giro di soldi.

 

Anche io spero nel cambiamento, da tutte le parti, all’Elba, in Italia, in Africa e nel Mondo. 
 

   

Mercoled?¨ 1 ottobre 2008 da Le Kef a Sbeitla ‚Äì Tunisia

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Zaouia Sidi Abdallah Bumakhlouf

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Basilica

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Antica Tor?†

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la piena del Mellegue

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la Tavola di Giugurta

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L'alluvione nel deserto
Fa freddo, dopo qualche mese in ciabatte mi rinfilo le 8850, sono quelle nuove consegnatemi da Jader a luglio. Andiamo nel centro di Le Kef  per respirare l’aria di questa giornata di festa,
El Haid chiamata anche la piccola festa (Haid as Sagheer) che ormai è l’argomento principale da una decina di giorni, nella via principale ci sono un po’ di ragazzi mascherati stile carnevale che ballano intorno ad un altoparlante e tanti piccoli banchini di chicci e balocchi. È una festa tranquilla, da famiglie, di quelle stile natale, in cui i parenti si riuniscono per il gran pranzo di fine digiuno scambiandosi i dolci tradizionali a base di miele e datteri, già si parla della grande festa che ci sarà fra settanta giorni l’Haid el Adha dove ogni famiglia macellerà un montone. È la festa dei bimbi e soprattutto delle bimbe che girano per il paese inghingate come piccole spose, spesso accompagnate dal babbo, pavoneggiandosi, è dissonante la vistosa eleganza delle bimbe con lo stile dimesso e sempre nell’ombra delle donne.
La strada sale ripida fra le case bianche fino alla Basilica, un edificio costruito in epoca romana e poi trasformato in chiesa dai bizantini, prima di diventare moschea con l’avvento dell’islam, oggi questo edificio è sconsacrato ed è stato restaurato cercando di riportarlo alle sue origini architettoniche, è adibito a museo ma per la gente è ancora la Grand Mosqué. Poi salendo gli scalini bianchi raggiungiamo la bella Zaouia di Sidi Abdallah Bumakhlouf  il santo patrono della città, è un posto bello, armonico e rilassante, ombreggiato dal verde degli alberi lucente per la pioggia, è un edificio elegante con tre cupole bianche e porte verdi. Saliamo ancora fino ad arrivare alla grande fortezza della Kasbah costruita sulla roccia a strapiombo che la rende ancora più imponente. Questo  è da sempre il punto strategicamente più importante del Tell e ancora oggi all’interno c’è una base dell’esercito tunisino. Davanti all’ingresso c’è il guardiano in attesa, oltre il portone fra lapidi e statue di varie epoche, fanno bella mostra una serie di vecchi cannoni circondati da fiori gialli, da qui un altro portone ci invita al livello superiore dove ci sono due forti costruiti nel milleseicento dagli arabi che riportano evidenti le tracce dei francesi nelle strutture difensive e negli alloggi. Dalle feritoie dei bastioni alti si ha una vista bellissima sulla città vecchia che ingloba gli scavi romani dove spiccano le colonne delle terme e sul grande altopiano. Accompagnati da bimbi che fanno festa entriamo nella parte alta della medina dove troviamo un'altra Zaouia, una scuola sufi fondata dal maestro Sufi  Sidi Ali Ben Aissa che oggi in parte è trasformata in museo. E’ uscito un sole caldo che si sposa bene con il vento fresco, davanti al “Sufi center” c’è una piazza alberata con un cafè stile bar da mario prima maniera, con il pavimento ricoperto di mozziconi di sigarette, dove si radunano gli uomini a fumare e a giocare a carte, mentre in piazza i ragazzini scoppiano i petardi. Saliamo ancora e usciamo dalle mura della medina, davanti a noi un grande bastione di roccia, è una collina di pietra gialla con tante piante di capperi e grotte belle usate come stalle, nella forma e nei colori ricorda Forte Focardo. Una scala scalpellata nella roccia ci porta sopra una grande piattaforma con “la periferia alta” un agglomerato di case abbaraccate e tanta spazzatura, peccato per lo sporco perché il posto è molto bello, con la montagna ricoperta di pini in alto e le cave in basso. Scendiamo da un viottolino ripido che ci riporta alle mura. Camminando fra i vicoli del vecchio quartiere Ebraico troviamo all’interno di un piccolo cortile la Sinagoga che è aperta. Qui per secoli ha vissuto una numerosa comunità giudaica, oggi non esiste  più, ma c’è una famiglia che vive qui a fianco che custodisce l’edificio e il suo tesoro: tre rotoli delle Torà scritti mano molto antichi che emanano un gran fascino, oltre alle sacre scritture c’è una mostra di foto incartapecorite che raccontano gli ultimi decenni degli ebrei di Le Kef.
Le Kef è bianca e  le porte delle case sono celesti, in diversi scorci ricorda Ponza.
Quando si riparte mezza giornata se n’é già andata, lungo la via facciamo una sosta in un marabutto circondato da olivi secolari, più avanti tende militari, filo spinato e cartelli di pericolo però non si vede nessuno, chiedo informazioni a un pastore che mi dice che si tratta di un campo di addestramento militare.
Le montagne algerine sullo sfondo sono molto belle e si perdono in lontananza in un orizzonte di nuvole di tempesta, iniziamo la discesa per raggiungere l’hamman Mellegue circondati da colline multicolori dominate dal rosso degli ossidi di ferro. Nella notte la pioggia ha scavato il fondo della strada ma si riesce ancora a passare, arrivati in fondo andiamo a vedere il fiume che rispetto a ieri sera è almeno un metro più alto e poi andiamo alle terme romane. A pochi metri c’è una casina dove vive una famiglia che usa l’hamman come bagno ma permette a chi vuole di usufruirne, la signora ci consegna la chiave da cantina e andiamo. Dall’esterno è poco più di un insieme di ruderi ma scendendo è sorprendentemente bello, si scendono due rampe di scale e ci si trova dentro il calidarium, una grande stanza scavata  nella roccia con una piscina che emana vapori, sulla volta un lucernaio che illumina la stanza con una lama di luce, è un posto fuori dal tempo. La vasca è alimentata da una sorgente di acqua calda e salata che si trova a poca distanza, sul pavimento ci sono dei fori chiusi con dei cenci che vengono levati per svuotare la vasca e il livello è regolato da un’apertura di troppo pieno che manda l’acqua nel Mellegue. Si sta proprio bene ammollo in quest’acqua calda e salata, il caldo abbiocca e ci vuole uno sforzo di volontà per uscire, la sensazione di privilegio è grande, dentro un calidarium di duemila anni fa in perfetta efficienza e dentro ci siamo solo noi, gironzolando mi rendo conto che è più grande di quello che sembrava, c’è un’altra vasca ancora più grande che è quella destinata alle donne. Pensando alla strada che stanno costruendo ho la sensazione che anche qui siamo arrivati appena in tempo, è un posto di eccezionale bellezza che si è salvato perché arrivarci è complicato, ma se entra nel circuito turistico è la fine,  magari ci faranno anche il foro e il colosseo, ma questa magia sparirà per sempre. Scambio qualche impressione con il ragazzo che abita qui, lui spera nei turisti e negli investimenti che promettono ricchezza, magari gli faranno fare anche il guardiano o il giardiniere e avrà una casa con la doccia, ma dubito che potrà ancora andare a suo piacimento nell’hamman degli ancien roman.
Il fiume è sempre più gonfio, un salto a vedere le spettacolari rocce colorate che sembrano clonate dalla miniera di Rio Albano e poi si riparte anche perché ha ricominciato a piovere, i signori delle terme ci invitano a rimanere per un giorno, decliniamo ma sono contento perché ritorniamo a trovare l’ospitalità  berbera. Andiamo verso Sud scendendo praticamente paralleli al confine Algerino, il paesaggio è da campagna maremmana e il clima da autunno europeo, arriviamo a Tajerouine un paesone di frontiera pieno di caserme militari e famoso per il contrabbando con l’Algeria, come tutti i centri anche questo è ricco di reperti romani, un piccolo cartello indica a sinistra la Tavola di Giugurta la famosa montagna fortezza dove si racconta che Giugurta, l‘ultimo re unico Numida  avesse la sua roccaforte inespugnabile. Giugurta era un eccellente guerriero e riunificò il regno Numida che i Romani alla morte di Massinissa avevano diviso in tre regni assegnati formalmente ai figli di Massinissa. Questa nuova situazione politica non stava bene ai Romani che presero a pretesto l’uccisione di alcuni ricchi mercanti capitolini per attaccare il regno Numida, Giugurta resistette per sette anni dal 112 al 105  avanti cristo e fu sconfitto solo perché tradito da Bocco I re della Mauretania e suo suocero.
Si sale in direzione di  Kalaat es – Senan, la Tavola dovrebbe essere davanti a noi ma la nebbia nasconde tutto, la vediamo quando ci siamo sotto, è una montagna con la sommità piatta, un’enorme fortezza naturale che incute rispetto e saperla roccaforte dei guerrieri numidi, per i legionari di Roma non doveva essere piacevole. La strada finisce al minuscolo villaggio di Ain Senan, la macchina viene assaltata da un gruppo di bimbi sovraeccitati che chiedono soldi e bon bon, segno evidente che qui è arrivato il turismo di quelli che scendono dal fuoristrada, fanno la foto, regalano dinari e bob bon e via, chissà cosa sarebbe successo se fossimo arrivati con il mulo, probabilmente saremmo stati accolti e invitati a prendere un the. Il turismo sarebbe una grande risorsa per queste terre povere ma questo sistema di turismo è schifoso e porta solo illusione di ricchezza e toglie la dignità, questi bimbi per correre dietro ai regali, magari anche ingenui, dei turisti, senza accorgersene anzi giocando perdono il loro orgoglio, valore indispensabile per vivere in terre così dure, incrocio lo sguardo di un anziano del villaggio e ci leggo il mio stesso pensiero.  Nel frattempo inizia a piovere forte e non si può salire in vetta, decido di tornare  indietro con l’idea di ritornare per salire in cima alla Tavola di Giugurta. Da Kalat es-Senan prendo una stradina  sterrata, ma dopo pochi chilometri le buche e il fango ma soprattutto il fronte temporalesco che si sta avvicinando mi fanno sciegliere di tornare indietro verso Tajerine. Nonostante la pioggia e il fango si incontrano tante persone a piedi e in bicicletta che imperturbabili si spostano da un villaggio all’altro. Piove sempre di più, ci fermiamo su un ponte per vedere un oued che si sta mangiando le sponde, ancora lampi. Ci passa davanti un gruppo di cinghiali crinierati con una quindicina di piccoli che sembrano essere usciti da un mosaico antico. L’idea è quella di arrivare a Tozeur, passiamo da Kasserine, il centro più grande della zona, senza fermarci mentre tutt’intorno si sta scatenando un delirio di fulmini, con il buio i fuochi d’artificio sono ancora più belli, arrivano dei lampi che accecano e viene un’acqua come le funi, i lampi illuminano una campagna che sembra un lago che si vuole mangiare la strada, a un certo punto non vedo più niente ma l’unica cosa da fare è proseguire fino a Feriana il prossimo paese. L’arrivo è apocalittico con il fiume in piena a fianco della strada che minaccia di straripare, le vie del paese sono dei fiumi che portano giù di tutto, naturalmente l’energia elettrica è saltata. Dietro ho il fiume che minaccia di straripare,  davanti una depressione che sta diventando un lago poi la strada risale, non c’è molto da scegliere vado e va bene, parcheggio e aspetto con l’acqua che scorre sotto la vettura. Dopo dieci minuti ha praticamente smesso di piovere, lo spettacolo della piena è poderoso, mi vengono in mente i consigli dei pastori che incontravo sull’Atlas che mi raccomandavano sempre prudenza quando passavo nei letti secchi degli oued, ora ho capito il pericolo. Qui la gente prende tutto senza scomporsi minimamente, osserva tutto con apparente distacco, è tutto inschallah e amdullah, di prim’acchito sembrano tutti un po’ tordi, ma con una natura così violenta essere fatalisti è qualcosa di simile alla sopravvivenza. Leggo la carta stradale, per arrivare a Gafsa bisogna passare il fiume che si chiama El Kebir che in arabo vuol dire Il Grande, il che vuol dire che è meglio non andare troppo avanti, ma la curiosità è tanta avanzo un po’ incontrando fango tronchi e pozze, si capisce che l’acqua è già calata rispetto alla piena di qualche minuto fa. In lontananza si vedono tante luci, mi dicono che si tratta della “Steg” sembra una base spaziale, probabilmente è  un’industria o qualcosa del genere, chiedo se la strada per Gafsa è percorribile, ma nessuno lo sa, comunque la strada diventa sempre più impraticabile e decido di tornare indietro. A Feriana incontro un tassista che parla italiano è appena arrivato dalla strada di Kasserine mi conferma che verso Tozeur è impossibile andare e che El- Kebir è straripato e ci sono stati forse dei morti, però la strada per Kasserine è praticabile. Di dormire a fianco del fiume non mi va, così si torna a Kasserine. Tornando indietro mi rendo conto di quanta acqua c’era prima, ora la strada è alta sulla campagna  mentre prima l’acqua sembrava inghiottire tutto, anche Kasserine ha subito una bella lavata e il fango ha invaso le strade, anche questa è una città di frontiera e quindi è piena di caserme e di militari, ci fermiamo a mangiare un panino insieme ai tanti soldati in libera uscita che quando li vedi senza divisa e senza fucili sono dei ragazzini timidi e sbarbati, fissati coi telefonini e i vestiti alla moda. Anche qui trovo un internet e dal web arrivano notizie di tanti morti per il maltempo soprattutto in Algeria, come sempre è Roberto che da La Bonalaccia mi da le dritte per collegarmi sui siti giusti.
Ormai sono circa le due, sarà per l’elettricità dei temporali ma non ho sonno e allora decido di guidare ancora un po’ fino a Sbeitla così domattina presto andiamo a vedere i resti dell’antica città di cui ho letto meraviglie. Anche qui la strada è allagata ma comunque riesco ad arrivare e parcheggio davanti agli scavi del sito.