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Il Teatro

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Il Tempio di Iside

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Il Tempio di Serapide

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Il Tempio Liber Pater

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Il Foro

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Statua di Flavio Tullio

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Il Mausoleo di Bes

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Qsar al Haj

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Nalut

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Il magico silenzio di Sabratha e la pesantezza di Silenzio e lo Jbel Nafusa
Il macchinone di Silenzio è già in attesa quando mi affaccio, ha piovuto tutta la notte e nuvoloni neri sono ancora li’. Un cartello con la scritta Old Sabratha accanto al rudere di una chiesa abbandonata ci indica la via per la città antica, un paio di chilometri e ci siamo, Silenzio ci lascia e possiamo andare a vedere gli scavi.
Il grande teatro cattura subito l’attenzione, è un monumento grandioso e magnificamente restaurato. La storia di Sabratha è strettamente legata a Roma, anche se la sua origine è sicuramente precedente, già nel quinto secolo avanti cristo qui c’era un piccolo insediamento berbero, nel quarto fu costruita la città Punica da coloni provenienti da Cartagine che si fermarono qui attratti dal porto naturale, nel secondo secolo a.c. arrivano i coloni greci che ne estendono il territorio ellenizzandone l’architettura e facendola divenire un importante centro commerciale. Nel primo secolo dopo cristo Sabratha fu colpita da un grande terremoto, ormai sotto il dominio di Roma la città fu ricostruita secondo lo stile architettonico delle città romane, come per le altre città coeve viste in Tunisia questo fu un periodo di grande splendore per la pax romana che fece prosperare il benessere di queste ricche colonie, cosi’ come per la successiva dinastia dei Severi che, in quanto di origine africana (il capostipite Settimio Severo era natio della vicina Leptis Magna) ebbero sempre un occhio di riguardo per le città nord africane. Il declino di Sabratha è legato al grande tremendo terremoto del trecentosessantacinque che distrusse tutta la città anche perché costruita principalmente con blocchi di arenaria, l’impero romano ormai era in decadenza e il culto cristiano ormai diffuso impedi’ la ricostruzione dei templi, Sabratha continuo’ ad essere abitata ma il suo splendore era perso per sempre. Nel 553 cadde in mano bizantina per merito del generale Bellisario, dopodiché vennero utilizzate le pietre degli antichi monumenti per costruire una fortificazione  intorno al porto e alla zona alle sue spalle, riducendo di molto l’estenzione dell’insediamento. Sabratha venne abbandonata per sempre dopo la conquista araba del settimo secolo e poi fu sommersa dalla sabbia e riscoperta dagli archeologi italiani negli anni venti. Fu scavata e restaurata soprattutto per merito degli archeologi Giacomo Grandi e Giacomo Caputo che con grande competenza ricostruirono alcune delle principali vestigia dell’antica città.
Il cielo si apre e tutto s’illumina, ci siamo solo noi dentro Sabratha, andiamo subito a vedere il teatro che dall’interno è ancora più spettacolare, il fondale è grandioso ci sono oltre cento colonne distibruite su tre livelli per un altezza complessiva che supera i venti metri, nonostante  si veda che è stato ricostruito lascia senza fiato, anchel’impatto del palcoscenico e del pulpito è grandioso, quest’ultimo è tutto rivestito di marmo e ci sono una serie di grandi nicchie dove sono scolpite decine e decine di figure fra cui le immancabili Tre Grazie. Tutto è sovrastato dalle gradinate  che potevano ospitare cinquemila spettatori che dall’alto permettono una visione d’insieme straordinaria con le rovine della città che si stagliano fra cielo e mare. Molto belli sono anche i livelli inferiori e sotterranei ricchi di camminamenti e stanze che sono rimaste immutate dalla costruzione del  monumento che inizio’ sotto Commodo intorno al 190 e fu completato sotto Settimio Severo. E’ un posto magico e il fatto che non ci sia nessuno permette di intrufolarsi anche nelle zone interdette, purtroppo il tempo a disposizione è limitato sicuramente non saranno le due ore concesse da Silenzio, ma nemmeno quello che vorrei. Ci spostiamo verso il mare in direzione est dove  si vedono tante colonne che spiccano possenti sul mare agitato, è il tempio dedicato a Iside la dea protettrice dei naviganti, è per questo motivo che il santuario in onore della dea di origine Egizia fu costruito vicino al mare. La ricchezza di Sabratha era legata strettamente al suo porto da qui partivano alla volta di Roma carichi di oro, fiere e schiavi portati in città dai berberi dell’interno, insieme all’olio e al vino che erano i principali prodotti agricoli della città, mentre dalla vicina penisola italica e dalla Sicilia giugevano qui attratti dalla ricchezze della colonia Africana, artigiani e commercianti che contribuivano a far diventare sempre più importante la città. Intorno agli scavi ci sono ancora le piccole ferrovie e i vagoni usati durante lo scavo archeologico che mi riportano alla mente quelli simili visti a Volubilis in Marocco che fu la città più meridionale dell’antica Roma. Camminando lungo costa incontriamo un bagno pubblico chiamato le Terme di Oceano  dove si vedono ancora i resti degli impianti termali rivestiti di marmo e poi si risale brevemente attratti dai resti di due basiliche Bizantine con i pavimenti ricoperti di mosaici molto belli e colorati fra cui uno curioso e mai visto che riproduce delle ciabatte infradito. Ritroviamo la vecchia strada che collegava Sabratha con Oea (l’attuale Tripoli) e poi si scende verso il mare nella zona del vecchio porto, la zona dove fu costruita la prima Sabratha, quella Punica. Mentre cammino fra terme mosaicate e latrine di marmo, il silenzio viene squarciato dal rumore possente di un grande elicottero militare che passa veloce sopra di noi facendo vibrare tutto,  è color sabbia e sembra un Antonov di quelli visti nei filmati della guerra in Cecenia, dal  portellone aperto sbuca una grande mitragliatrice. Del porto antico non è rimasto praticamente niente, poco più avanti dietro una spiaggetta bianca sono in secca un paio di scafi di pescherecci celesti, e ancora più avanti un piccolo villaggio di casette bianche con le porte e le finestre dello stesso colore delle barche che fanno molto Ponza. Il cielo ricomincia a incupirsi e anche il mare è in aumento, risalendo si incontrano diversi frantoi e resti di residenze, qui è tutto più stretto e irregolare perché il disegno urbano riprende in parte quello originale della colonia Punica, si incontra la Basilica di Giustiniano un imponente chiesa bizantina a tre navate costruita sfruttando il materiale dei monumenti antecedenti e da qui si entra nella parte più ricca e meglio conservata di Sabratha, il tempio di Serapide come Iside divinità egizia a testimonianza ulteriore di come i Romani sposassero con estrema facilità le divinità locali e poi la curia che è uno dei pochi edidici che fu ricostruito dopo il terremoto del 365 e il portico con due colonne di granito grigio dovrebbero risalire a quel periodo, il piazzale è   circondato dalle gradinate dove un tempo ospitavano i senatori durante le sedute. Dalla curia si accede al foro, da sempre il cuore della città Romane, questo è veramente esteso, lungo il perimetro ci sono ancora in piedi alcune grandi colonne di granito che fanno immaginare quanto doveva essere imponente nel momento di massimo splendore. Sul lato orientale del Foro c’è il Campidoglio dedicato come sempre a Giove, Giunone e Minerva mentre a Ponente si trova il Tempio di Liber Pater dove rimangono sul podio quattro grandi colonne di arenaria. A fianco del Campidoglio si trova un'altra basilica bizantina costruita sulla preesistente struttura del palazzo di giustizia, è conosciuta come la casa di Apuleio un filosofo vaggiatore che girava per le città dell’impero a fare conferenze che nel 158 in questo edificio si produsse in una spettacolare difesa con un’orazione leggendaria. Arrivato a Sabratha conferenziere si sposo’ con Pudentilla, una ricca ereditiera molto più vecchia di lui e fu  accusato dai parenti della facoltosa babbiona di furto del patrimonio per  aver corrotto la mente della sposa con arti magiche. Il filosofo da  gran maestro oratore quale era tenne un discorso di quattro giorni scagionandosi da ogni accusa e diventando un mito dell’arte forense. Si cammina circondati colossali reperti, le colonne sono centinaia ce ne sono di arenaria, di calcare, di marmo e di granito, quelle di marmo cipollino e ancora di più le tante colonne di granito grigio mi ricordano l’Elba, probabilmente sono originarie dell’Egitto ma a me piace pensare che qualcuna sia giunta qui dalle cave fra Cavoli e Secchetto e imbarcate come diceva il compianto Angelo Galli dalla riva Glauca verso le più importanti città dell’antica Roma. Davanti al tempio di Antonino fa bella mostra la statua decapitata di Flavio Tullio un notabile della città che si guadagno’ questo onore per aver fatto costruire nel secondo secolo un acquedotto che fece fronte al cresciuto fabbisogno idrico di Sabratha e poi il grande tempio dedicato all’imperatore Antonino dove non è rimasto tanto, pero’ salendo su quella che era la base del tempio si gode di una grande vista d’insieme sugli scavi e anche sui nuvoloni carichi di pioggia che stanno arrivando. Le due ore concesse da Silenzio sono passate da parecchio ma di cose da vedere ce ne sono ancora tante , si attraversa la zona residenziale e si arriva al mausoleo di Bes, una tomba Punica sovrastata da una specie di obelisco sostenuto da leoni e sormontato da una piramide affilata, alto più di venti metri. Purtroppo i musei sono chiusi e quindi si ritorna da Silenzio e si parte. Appena lasciata la costa il panorama diventa desertico e monotono, provo a parlare con il mio tutore che senza proferire parola mi fa vedere una copia del programma con l’itinerario che avevo concordato via mail, va cosi’ piano che gli darebbe le fave anche Vanna Mazzei con la cinquecento rossa, mi girano i coglioni ma è cosi’ e non c’è niente da fa’. L’idea che mi sono fatto è che sia un ex poliziotto che si è comprato una macchina e facendosi forza della severa legge libica in materia di turismo, si sia proposto come accompagnatore, mi godo lo spettacolo surreale dei miraggi che si formano continuamente, laghi immaginari fra le nuvole e la sabbia. Dopo un paio d’ore ci fermiamo, Silenzio parla “Qsar al Haj, twelve dinar” siamo arrivati a Qasr al Haj un famoso granaio fortificato unico per via della sua forma circolare. Dall’esterno ha l’aspetto di uno scarno Castel Sant’Angelo, dentro è favoloso sembra di essere nell’arena di un anfiteartro, i magazzini sono disposti su quattro livelli, uno seminterrato destinato alla conservazione dell’olio e tre superiori per le granaglie, i sistemi di conservazione e caricamento sono gli stessi delle analoghe strutture viste in Tunisia nella zona di Tataouine. Costruito nel dodicesimo secolo per volere dello sceicco Abu Jatla fervente credente Mussulmano che impose un tributo obbligatorio per i proprietari dei magazzini da pagare in olio orzo e grano destinato ai bisognosi, ai pellegrini che passavano da qui per andare alla Mecca (da qui il nome Haj) e per mantenere la scuola coranica, a simboleggiare il legame religioso dello ksour i depositi sono centoquattordici come il numero delle sure del corano.
Si prosegue con suggestivo sfondo del Jbel Nafusa la catena montuosa da sempre patria delle tribù dei berberi e come Jerba rifugio degli Ibaditi. La strada si avvicina alle montagne e diventa sempre più bella, poi sale spettacolarmente verso Nalut. Il vecchio villaggio di Nalut è arroccato sul colle più alto, è ormai abbandonato ma ci sono diverse persone che stanno restaurando e un gruppo di anziani che si gode l’ultimo sole pomeridiano dalle spianate di roccia affacciate sul fondovalle, ritrovo le piccole moschee troglodite e i frantoi dei villaggi di Guermessa e Douiret, nella parte più alta c’è una fortezza che in realtà è uno ksour ma diverso da tutti quelli visti fino a ora, le aperture delle gorfa si sviluppano sui lati di un vicolo interno creando una specie di canyon sinuoso dalle pareti verticali piene di aperture, gironzolando fra questi magazzini ne trovo diversi con ancora il grano dentro. E’ ormai il tramonto, il cielo è attraversato da nuvole di storni, il sole cala sulle montagne dalla cima mozza mentre la luna sorge sotto lo sguardo assorto degli anziani affacciati sulla piazza a strapiombo della città vecchia, poi tutti rientrano mentre la temperatura cala velocemente. Silenzio ci aspetta e ci porta alle porte della città nuova sul colle a fianco dove c’è un albergo che fu costruito dagli italiani nel periodo coloniale che Silenzio afferma essere l’unico posto sicuro per dormire e di non muoversi da li’. In realtà la nuova Nalut è un posto tranquillo, dal punto di vista architettonico è un insieme di casermoni, ma è fornita di tutto e abitatata da persone gentili che si entusiasmano quando ci sentono usare qualche termine Amazigh, mangiamo il solito pollo arrosto e poi si va a internet che ormai non manca da nessuna parte.