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Sinoun

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Derj

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Il Marabutto

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il Forte Italiano

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La Nuova Moschea di Ghadames

 

Finalmente l’Africa
Il sole sorge alle sette e mezzo dalle montagne con la testa mozzata e illumina la vecchia fortezza abbandonata di Nalut, fa freddo al mattino i pochi abitanti in giro sono tutti imballati in pesanti coperte. Sono quasi le dieci quando partiamo in direzione sud verso Ghadames, la strada è un infinito rettilineo nel nulla un po’ roccioso e un po’ sabbioso, ogni tanto si incrocia qualche branco di cammelli il traffico è pressoché insistente passa solo qualche carovana di camion iveco con degli enormi tubi destinati a oleodotti e acquedotti, perché nel deserto si sta cercando di incanalare anche l’acqua, di tanto in tanto si vedono delle bandierine verdi e viola che indicano le zone dove  sono stati individuati i giacimenti di petrolio. Incontriamo il piccolo villaggio di Sinoun che è attraversato dalla strada, il villaggio in pietra e fango è abbandonato, a fianco c’è il nuovo insediamento con le grandi brutte case di cemento tutte uguali. Ancora deserto roccioso, il Sergente Silenzio continua a andare a un passo da bradipo, con la sua pulitissima kia appena individua una buca praticamente si ferma e comunque non supera mai i novanta all’ora. Ci fermiamo a Derj antica che si presenta assai affascinante, Silenzio non si vuole fermare ma insisto e ci lascia nel vecchio villaggio, mentre lui va nel nuovo centro a mangiare. Finalmente rimaniamo soli, ci facciamo un giretto nella città vecchia che nonostante le apparenze è ancora abitata, uomini e ragazzi vestiti con lunghi ed eleganti camicioni bianchi sbucano dai vicoli coperti del villaggio, finalmente la sensazione di essere in Africa, silenzio, luce accecante e uomini dalla pelle scura. Entriamo nei camminamenti è come un labirinto con il tetto, la luce filtra soffusa dai cortili laterali ma in alcuni tratti è proprio buio, nel punto più ampio c’è una moschea, una piccola moschea bianca dove il muezzin sta chiamando alla preghiera con una cantilena intonata e serena. Il villaggio si sviluppa su una piccola collinetta, sotto c’è il cimitero con un marabutto bianco che da un tocco mistico a tutto l’insieme, si avvicina un ragazzo che gentilmente mi invita a non sostare nel cimitero, scambiamo qualche battuta, quando gli dico che sono italiano, mi indica il forte sulla collina vicina e mi dice che l’hanno costruito gli italiani che qui non hanno lasciato buoni ricordi e mi chiede se conosco la storia della Libia, sarebbe bello approfondire ma in questo caso la lingua è un grosso limite. Facciamo un giretto nell’oasi a fianco insieme a un gruppo di ragazzini che, dopo averci osservato curiosi dall’inizio, si sono decisi a fare conoscenza, insieme a loro facciamo un altro giro dei vicoli ripassando davanti alla moschea che ora non è più vuota, fuori dall’ingresso ci sono tante calzature, la porta è aperta e intravediamo gli uomini che pregano all’interno.
Poi ritorna il sergente e si parte. Ancora un infinito rettilineo, il paesaggio tutto uguale, il sole negli occhi, l’andatura bradipa, è un casino tenere gli occhi aperti. Tra sogno, sonno e realtà a un certo punto il verde dell’oasi della mitica Ghadames, la città dei mercanti tuareg, Silenzio parla “old city” quando passiamo a fianco alla vecchia Ghadames ormai disabitata e convertita a grande museo per i turisti da quando il colonnello Gheddafi  ha deciso di spostare la popolazione  nel nuovo villaggio costruito a fianco. Silenzio ci vuole portare in albergo ma insistendo un po’ riusciamo ad alloggiare nell’ostello, la soluzione di alloggio più economica di Ghadames si trova in un edificio costruito dagli italiani che assomiglia all’ex scuola media di Campo. Come a Derj anche qui ci si sente in Africa, il deserto, le palme, i tuareg. La Ghadames nuova è una ricca cittadina di frontiera al confine con il deserto Tunisino e Algerino in cui spicca una grande e bella moschea moderna, i negozi sono ricchi di merci, quasi tutte d’importazione, yogurt tedeschi e mele italiane della Val Venosta che, incredibile ma vero, in pieno deserto a Ghadames costano meno che all’Elba, dev’esse’ che qui un c’è il costo del  traghetto. Cena in un bar ristorante che offre pollo arrosto, riso e la specialità in lattina più richiesta della Libia, il succo di frutti di bosco con le bollicine. La maggior parte degli abitanti di Ghadames sono di pelle scura, alti eleganti e allo stesso tempo robusti, spesso vestiti in maniera tradizionale con la veste lunga e il turbante, danno l’idea di essere persone molto tranquille. La prima impressione della Libia è quella di un paese rilassato, il sistema socialista introdotto da Gheddafi sicuramente discutibile sotto tanti aspetti, ha pero’ portato un benessere generale e ha liberato la gente dalla bramosia e dall’ansia dell’accumulare e dell’arraffare, lo si respira camminando per le vie dove nessuno, ne grandi ne piccoli, ti assale con grandi falsi saluti per venderti qualsiasi cosa. E’ ormai il tramonto quando ci affacciamo dentro la vecchia Ghadames, ormai la luce è poca per fare le foto è comunque affascinante e non è totalmente disabitata come dicevano qui, domani la vedremo bene.