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Pensieri senza limiti
Nel pomeriggio andiamo a vedere  El Ataya il paese con più abitanti delle isole Kekennah dove ci sono i cantieri piu importanti dell’Isola, è un giorno di festa però i cantieri non si fermano mai. Sono cantieri silenziosi, niente a che vedere con i capannoni e le gru, le barche vengono costruite all’aperto dietro la spiaggia con le tecniche tradizionali, i tronchi che vengono portati dal continente  sono di legno di olivo (alberi secchi o comunque improduttivi perché un uomo saggio non ucciderebbe mai il sacro olivo per farne una barca) e di eucaliptus, vengono segati e modellati nelle forme tradizionali delle feluche o dei più moderni motopesca e infine pitturati con i colori sgargianti del mare e del sole. L’arcipelago di Kerkennah ha circa quattordicimila abitanti e duemila  imbarcazioni, circa una scafo a famiglia, la stessa proporzione che c’era nell’Eba preturistica fra  abitanti e asini.
Si potrebbe dire che il mare sta a Kerkennah come la campagna all’Elba, o come il polpo alle vigne,  oppure come la barca all’asino, solo che quando si parla di Kerkennah si parla al presente, mentre dell’Elba al passato (o forse al futuro).
Osservando l’abilità dei maestri d’ascia, che mi ricorda quella degli scalpellini Sanpieresi , penso che ci si potrebbe avvalere di loro per ricostruire la nave da carico di epoca Romana che  porterà  una colonna di granito da Cavoli a Roma, una della cose che inschallah farò qundo tornerò stanziale all’Elba.
Arriviamo nel piccolo porto di El Attaya, il vento mette fame e ci fermiamo nel cafè sul porto per mangiare un brik, ci avvicina un omone che ci invita a prendere un thè con i suoi amici.
Si chiama Samir, mi trovo a condividere i pensieri che mi frullavano nel capo, l’Isole e gli Isolani  del mediterraneo e del mondo, le nostre caratteristiche di apertura mentale e orsaggine formale di cui siamo tanto fieri, il vezzo di dividere il mondo in Isole e continenti e le genti in Isolani e continentali; le nazioni, i linguaggi, le religioni e la politica vengono dopo. Isolati sì, ma miscelati e bastardi, navigatori, mistici, fuggiaschi, dissidenti e corsari, un cacciucco di individui diversi abituati a osservare un orizzonte senza confini dove stendere pensieri senza limiti sul mare infinito e mai uguale. E penso all’Elba, dove le menti si sono inquinate di soldi e chiuse in confini continentali che non ci appartengono, dove si guardano i grafici e non si guarda più il mare, dove si ha paura di tutto e non ci si vuole adattare a niente.
Il tempo scorre veloce chiacchierando e in un attimo arrivano le undici, abbiamo appuntamento con Fathi a Ouled Kacem per la cerimonia finale del matrimonio. Ci accompagnano Samir e Sami un ragazzo di El Attaya che c’ha la macchina, una scassatissima R5 che farebbe schifo anche a zio Ciro.
Fathi ci stava apettando, è tutto orgoglioso e ci presenta amici, ci spiega come si svolgerà la cerimonia e ci mostra il doppio trono dove si siederanno gli sposi. Arriva “il folklore” con cinque musicisti poi i parenti stretti e finalmente i festeggiati, la sposa è irriconoscibile, da bimba minuta e velata si è trasformata in una vamp, tutta scollata e luccicante come una topona del carnevale di Rio de Janero. Come da copione c’è la telecamera e l’immancabile fotografo spaccacoglioni alla Cetica che tortura gli sposi e tutto il parentato con un ventaglio  di plastica e un mazzo di fiori finti obbligandoli a pose demenziali e accecandoli a colpi di flash. Ogni paese ha le sue usanze, come in tutte le Isole c’è un gran campanilismo o “minarettismo” che sia e Samir schifa i matrimoni di Ouled Kacem dicendo che è solo un ostentare vestiti mentre a El Attaya è tutto più semplice ma molto più spontaneo.
La festa andrà avanti fino all’alba fra canti balli e bevute ma noi rientriamo approfittando del passaggio che ci ha offerto Sami, lasciando la sposa ormai agonizzante a sciogliersi sotto i colpi di flash del fotografo.