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dentro il Sidi Driss

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Toujane

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olivi nel deserto

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Ksar Hallouf

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Ksar Haddada

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Il Marabutto di Guermessa

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La Vetta di Guermessa

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La Piramide di Roccia

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La Moschea Troglodita

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La strada sospesa

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Il Santuario dei sette Dormienti

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Da Star Wars a i sette dormienti passando per il magico villaggio di Guermessa 
Durante la notte solo qualche goccia, risalgo verso Matmata il cielo è sempre scuro, visto che siamo qui voglio vedere alcuni luoghi cult di  Guerre Stellari a cominciare dal famoso albergo troglodita Sidi Driss dove sono state girate tante scene, in realtà è molto meno turistico di quello che credevo, mi aspettvo grandi poster, spade laser e la maschera nera di Darth Vader, invece i richiami si limitano a una scritta  e un disegno, dentro la struttura ci sono ancora alcune scenografie, porte, tubi e reattori vari, è strano girare in una struttura che è comunque anche un albergo con la gente che dorme nelle camere. Dopo “il cinema” un  giro per vedere le famose case troglodite  la maggior parte sono disabitate o usate solo come stalle ma alcune sono ancora abitate, bisogna stare attenti quando si cammina perché il cortile interno si vede solo all’ultimo momento e volarci dentro non è poi cosi’ difficile. Riprendiamo la clio che tutta infangata ha tutt’altra presenza, la strada vecchia   per Tataouine è molto bella, tortuosa e sempre si snoda fra monte e strapiombi, ci fermiamo per affacciarsi su un costone roccioso che precipita nel vuoto per diverse centinaia  metri, fra le rocce ci sono dei fiori bianchi che assomigliano ai gigli di spiaggia. Dopo una mezz’ora di deserto vediamo una casa isolata non lontana dalla strada, è abitata, ci sono due donne molto giovani, un bimbo e tre bimbe, la più piccola è misteriosamente bionda, mi fanno capire che è la sorella più piccola e che è nata bionda, faccio fatica a crederci anche se gli occhi si assomigliano tanto. E’ una casa poverissima assomiglia tanto a quelle incontrate sull’Atlas in Marocco e come li’ troviamo tanta gentilezza e opitalità, le due donne dai linementi eleganti ed austeri sono curiose e gentili ma anche un po’ sorprese e imbarazzate della nostra presenza e anche i bimbi che come sempre si divertono a vedere le foto nella macchina digitale, vorrebbero le foto ma questo è un posto senza indirizzo e loro di qui non si muovono, gli uomini mi sembra di capire che lavorano lontano. Ci salutiamo, dopo una mezz’oretta all’uscita di un tornante sotto di noi si apre un bel paesaggio su una grande gola, nella parte alta c’è un paese di pietra, è il villaggio Berbero di Toujane. Sulla strada qualche bancarella, il villaggio si sviluppa prevalentemente sotto strada e la moschea bianca sembra l’unica cosa integra, in alto poco sopra la strada c’è la sorgente dove alcune ragazze stanno prendendo l‘acqua che portano legandosi sulla schiena le stagne di plastica a mo’ di zaino. Mi passa davanti un anziano che per camminare si aiuta con un bastone di legno nodoso lucido e sottile, sembra lento ma scompare veloce fra i vicoli. Da lontano sembravano macerie e invece ci vivono tante persone, le case hanno il soffitto a botte, tanti tetti sono crollati ma gli edifici vengono utilizzati come stalle, ovili o pollai. Che siamo nuovamente in zona berbera lo si capisce anche dalla ricchezza e varietà di colore nei vestiti, da una porta appare una ragazzina avvolta in uno scialle blu che sembra la madonna e al suo fianco una ragazza vestita di rosso è adornata con spille d’argento e bracciali d’oro, nel borgo mi si avvicina una bimba, bella ed elegante fieramente scalza la piccola principessa degli stracci fa da mamma al fratellino curioso che mi mostra orgoglioso il suo finto cellulare che porta al collo e poi come nelle fiabe arriva la donna nera, scende dalla via con bastone e paiola, ha una fascia rossa sulla fronte che tiene il velo, le unghie delle mani da gigante arancioni di henné e un grande bracciale d’oro. C’è qualcosa di magico fra questi sassi, sarà la luce che filtra dalla cappa scura delle nuvole o il silenzio reso greve dal vento freddo di tempesta che scende dalla montagna, ma c’è un’atmosfera epica da signore degli anelli. Un’altra “principessa” con spilloni d’argento e mantello sgargiante, è la principessa dell’ovile che insieme ad altre due donne, probabilmente la mamma e la sorella è dentro il recinto dove alloggia un gregge di pecore e capre, è una scena da presepe vivente ma è tutto vero con le tre donne che preparano il mangime per le bestie perché qui l’erba non c’è e quindi le greggi si nutrono con granaglie secche. Qui si ricicla tutto c’è un muro fatto di vecchie carrette sullo stile delle recinzioni anticinghiale fatte con le reti da letto che usano da noi. Lasciamo Toujane sotto lo sguardo perplesso di un dromedario che passa il termpo a grattarsi il muso sul terreno. La strada scende fino a ritroavare la pianura dove c’è un minimo d’erba, qui incontriamo due donne pastore, la più alta assomiglia a un dromedario è un’abilissima lanciatrice di sassi e gestisce il gregge con lanci mirati, non gradisce le foto e mi fa capire chiaramente che se continuo il prossimo è mio. Continuamo per le stradine  che sembrano portare verso il nulla, incontriamo una donna arancione dai tanti gioielli che ci sorride mentre prende l’acqua da un pozzo e poi diamo un passaggio a un uomo assai sorpreso del fatto che non sono tunisino. E’ un deserto di pietra intervallato da qualche cespuglio, ora che è tornato il sole sembra ancora più arido, incontriamo un grande oued secco e poi ancora segni dell’alluvione che ha cancellato un pezzo di strada, dopo una deviazione ci fermiamo vicino a un pozzo dove ci sono i tanti melagrani stracarichi di frutti  che vengono irrigati per mezzo di una pompa a vento, è una piccola oasi ci sono anche palme e olivi e un gruppo di uomini che sorseggia thè alla loro ombra. Gli olivi sono piante eccezionali se ne trovano molti in questo mare di sassi  apparentemente sterile, ogni tanto dal niente spunta un paesino e poi ancora sole e sassi, è un ambiente troppo duro per essere attraversato con un mulo, infatti di gente che si sposta non se ne incontra, sui picchi più alti di tanto in tanto appare come in un miraggio un marabuto isolato. Ritrovato l’asfalto dopo poco troviamo a bordo strada un po’ di legna raccolta dentro un  mantello rosso, poi la strada ci porta dentro  Ksar Hallouf dove troviamo un  piccolo ksar (granaio fortificato) ancora attivo. E’ un posto vero fuori dalle rotte dei turisti, che in realtà oggi non abbiamo mai visto, la strada asfaltata è dissonante con tutto il resto, qui regna silenzio è uno di quei posti lenti dove tutto sembra essere sempre uguale, la vera novità siamo noi e la nostra bramosia di foto che gli occhi perplessi dei pochi presenti pigramente osservano.
La strada si snoda come un serpente di asfalto, in un continuo saliscendi, su una collina sopra di noi un grande pacchiano dinosauro di cemento ci indica che qui sono state trovati resti dei grandi rettili del passato, poi una grande depressione ricca di grotte e poco più in alto l’abitato di Ksar Haddada che un gran cartello indica come il paese della “Minaccia Fantasma”. Lo ksar è molto grande ma è stato restaurato e trasformato per esigenze cinematografiche, alla fine risulta scialbo in tutto perché  anche le tracce del film non sono né evidenti né enfatizzate. Lo ksar era stato trasformato in albergo prevedendo un grande successo legato alla storia cinematografica, ma evidentemente non ha funzionato perché è ormai tutto in degrado con le camere e i bagni che si stanno decomponendo, solo una piccola parte si conserva bene e alcuni ambienti ricordano Star Wars. Mentre gironzoliamo arriva un gruppo di turisti, sono nord europei probabilmente arrivano da Jerba accompagnati qui con grandi quattro per quattro, fanno un giro veloce dello ksar e dopo dieci minuti scarsi se ne vanno, osservo i fuoristrada sono gli stessi che ho visto a Douz sono addobbati da impresa transahariana ma se li guardi bene si capisce che vanno solo sulle strade bitumate, infatti hanno le gomme da asfalto e sono immacolati.
Ancora deserto di sassi, una ventina di chilometri e arriviamo a Guermessa Nouvelle il paese nuovo costruito in pianura, ma lo sguardo va in alto dove fra due colli si sviluppa l’antico paese fortificato spettacolare per quanto minetizzato nella roccia. Una fortezza nel deserto Guermessa, due colli e una moschea, la strada strerrata che sale è impraticabile ne manca una decina di metri, facciamo una deviazione e giriamo intorno alla collina per salire dall’altro lato dove c’è un marabutto con la cupola di un insolito color acquamarina, poi si risale fino alle prime abitazioni, a poche decine di metri dalla moschea bianca dove c’è parcheggiato anche un vecchio furgone pik up. La Lonely Planet che mi porto dietro definisce Guermessa semplicemente come villaggio Berbero, lo trovo molto riduttivo, questo luogo è molto di più e poi anche berbero è un termine che non mi piace. Berbero deriva dal greco barbarikos (stranieri) cosi’ vennero battezzate  le popolazioni che gli ellenici trovarono qui, le stesse che i romani definvano semplicementi africani, io  questo termine lo associo ai mitici Amazigh dell’Atlas gente straordinaria che ho avuto il privilegio e l’onore di conoscere, ma in realtà si tratta di un’etnia molto diversificata e divisa in tante tribù, qui in Tunisia il ceppo più importante risale alla civiltà Numida che trova le sue origini nel neolitico, questa popolazione domino’ le zone più ricche e fertili prima di subire le dominazioni Puniche e Romane alle quali comunque mai si assoggettarono completamente, come racconta bene la storia dei territori visitati nei giorni scorsi. In queste zone più impervie e desertiche che non interessavano agli invasori le popolazioni originarie hanno vissuto in relativa tranquillità per secoli sviluppando i loro insediamenti in pianura fino alla metà dell’undicesimo secolo quando,  per sfuggire all’invasione Hilaniana (le tribù arabe che dall’Egitto invasero il Magrehb portando morte e distruzione)  si traferirono su queste roccaforti di pietra costruendoci i loro villaggi, sfruttando inizialmente precedenti insediamenti che diventeranno poi città fortificate scavate nella roccia, e si ampliarono sempre di più per poi rimanere abitati fino a pochi annifa. La storia ci dice che i Berberi che prima erano stati anche ebrei e cristiani accettarono di buon grado l’islam come religione ma gli arabi molto meno e ancora oggi appena ci si allontana dalle città e dalla costa si respira forte l’identità Berbera che sente gli arabi come invasori, qui a differenza del Marroco sono solo sensazioni anche perché viaggiando cosi’ velocemente non c’è il tempo di parlare con la gente, ma certe cose si percepiscono bene se si è un po’ allenati.
La città antica di Guermessa si presenta subito come eccezionale anche perché aiutata dalla luce bassa della sera che rende tutto più fiabesco. La moschea fra le due colline è il punto di partenza per i tanti viottoli che si snodano fra le spaccature nella montagna, poco più in alto incontro due donne che stanno scendendo, le case sono tutte abbandonate ma si capisce che è un abbandono recente, spingendo le piccole porte di legno di palma si entra dentro le stanze che spesso sono frantoi dove ci son tanti grandi orci e le macine. Cammino risalendo un viottlo fra i muri a secco sul fianco sinistro della montagna, ogni tanto entro nelle case che sono incredibili, la luce filtra dalla porta e dalle tante piccole feritoie che come spioncini si aprono nelle pareti, nel fianco della montagna c’è una grande spaccatura dove ci sono centinaia di abitazioni, molte di più di quello che si intuiva dal basso, questa è una vera e propria città nella pietra pur non avendo niente di monumentale fa venire in menta Petra la mitica città dei Nabatei. E’ la montagna dalle cento case, stanza dentro stanza fino alle ultime stanze, le più piccole e buie, la terra plasmata con le mani e si vedono le tante impronte  essicate sulle pareti e sui soffitti, tutte simili e tutte diverse, anche questo è un regno del silenzio ci siamo solo noi due. Man mano che si sale la collina più bassa diventa sempre più mistica con la sua forma di piramide perfetta, voglio salire fino alla vetta per andare su quello che doveva essere l’ultimo baluardo in caso di assalto nemico. Nella zona più alta ci sono delle grotte  ricche di iscrizioni, la roccia è a volte tenera e altre molto compatta, salendo verso la vetta ci sono dei punti  dove  affiorano delle conchigie fossili mentre in altri punti ci sono delle intrusioni di roccia compatta e dura che sembra selce. La vetta è un altopiano di roccia, sembra una grande piazza pavimentata con lastre ciclopiche, da qui il panorana è un 360 gradi di meraviglia, sul villaggio la piramide e la grande pianura circondata da montagne di terra con la sommità di roccia, si vede benissimo che l’erosione ha disegnato questa spettacolare orografia, mi passano praticamente sotto i piedi un gruppo di corvi, mentre in lontananza veleggia un grande falco, forse un biancone. Poi inaspettata una sorpresa, guardando in basso davanti ad una casa grotta all’altezza delle abitazioni più alte c’è una persona, imballata in un jallabad che qui chiamano bournous, scendo e insieme a Serena che era rimasta più in basso lo andiamo a trovare. Ci accoglie ridendo sonoramente, è un mestro Sufi che vive qui da solo, la gente del villaggio gli viene a fare visita e ogni tanto di qui passa anche qualche straniero, ma non è certo qui per chiedere l’elemosina, anzi ci offre delle pere e mi riempie le tasche con le caramelle e semini che gli hanno portato le donne che avevo incontrato all’inizio del villaggio. Non è un Sufi serioso, cupo e assorto nelle meditazioni, ma un uomo allegro e ridaccione, tanto lontano dai Sufi incontrati sull’Atlas che andavano in trance fra musiche e canti ossesivi in un clima comunque un po’ angosciante. E’ un uomo sereno e divertito, poi perٍ pur restando placido, diventa silenzioso e mi accompagna a visitare un incredibile santuario sotteraneo, è una moschea troglodita scavata nel cuore della montagna tutta dipinta di bianco, ci sono tante scritte in rilievo e forme di mani e piedi sulle pareti e sul soffitto, l’interno è inaspettatamente grande con tanti archi che formano tre navate, ci sono svariate nicchie, tante colonne irregolari, mi indica delle iscrizioni che non comprendo ma mi incanto ad osservare la sua espressione sognante. Usciamo e andiamo a vedere il tetto, dall’esterno è impossibile capire cosa c’è sotto, c’è anche un  minuscolo minareto senza mezzaluna come mi fa notare Bubakri Hamza, cosi’ si chiama l’Obi-Wan Kenobi di Guermessa. Davanti alla sua grotta scavati nella roccia che sembra un pavimento ci sono scavate due scacchiere una con dei cerchi grandi  a forma di tazza e una più piccola per giocare a dama con i sassi. E’ stato un incontro di pochi minuti, ma è uno di quelli che non dimentichero’.
Il viottolo principale che gira intorno al colle come una circonvallazione ci riporta alla moschea grande, che ora sembra quasi banale. Andiamo verso la vetta della Piramide camminando su una larga passarella di pietra che sembra sospesa nel vuoto, la luce calda e l’assenza di vento aggiungono magia alla magia, è un privilegio grande essere qui.
Ancora deserto di roccia, una decina di chilometri e siamo a Chienini nuova, anche qui c’è  un villaggio scavato nel fianco della montagna, ma siamo sulla strada principale e quindi all’interno del circuito turistico, i bimbi ci si fiondano incontro chiedendo argent con occhi spiritati, poche decine di chilometri e siamo in un’altra dimensione rispetto a quella di Bubakri, quella purtroppo molto più usuale della violenza e del denaro. Chenini è famosa per le Tombe dei Sette Dormienti i santi giganti citati nel Corano, il santuario si trova a un paio di chilometri dal villaggio antico, ci arriviamo che il sole è già tramontato, la  luce flebile si impasta nelle forme morbide e bianche del santuario, le famose tombe dei giganti sono qui davanti a me, io ne conto undici ma forse sono anche di più. Questa leggenda è cara sia ai credenti cristiani che ai mussulmani e seppure con le inevitabili varianti è molto simile. La storia dei  Dormienti cristiani è ambientata ad Efeso e narra di
sette giovani cristiani che intorno al duecentocinquanta, perseguitati per volere dell’imperatore pagano Decio grande nemico dei cristiani, si rifugiarono in una grotta dove furono murati vivi. La leggenda dice che si risvegliarono duecento anni più tardi sotto l’imperatore cristiano Teodosio II  potendo professare liberamente la loro fede, morirono perٍ il giorno stesso addormentandosi felici e come si usa dire in grazia di dio e vennero fatti santi. La storia dei Dormienti di Chienini non è molto diversa ed è riportata nel Corano nella diciottesima Sura, racconta dei Dormienti e del loro cane, senza specificare il numero, che si addormentarono da cristiani perseguitati dai romani e si risvegliarono quattrocento anni dopo  in un mondo dominato dall’Islam, nel frattempo erano diventati dei giganti lunghi quattro metri, la leggenda vuole che anche qui vivranno solo un giorno ma abbastanza per convertirsi alla nuova religione e quindi pronti per andare beati in paradiso.
La morale pero’ credo che sia sempre quella, se sei convinto di una cosa prima o poi arriva pero’ ci vole pazienza, magari qualche giorno in più l’avrei fatti campa’.
Relais e pullman alla base di Chenini, andiamo verso Tataouine inseguendo un tramonto di fuoco. Tataouine la sera è semideserta, siamo gli unici stranieri e Serena è l’unica donna in giro, pero’ troviamo persone gentili e pasticcini buoni, poi ritorniamo verso Douiret e dormiamo in uno slargo dentro il villaggio nuovo.