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La Luna Rossa nel Deserto Bianco 
Colazione con la frittellona di farina come si usava fare nei villaggi marocchini, poi si compra l’acqua e i viveri per andare nel deserto bianco, appena usciti la polizia turistica ci riferma per la solita intervista “uotnacionality? uariufrom? Fonduk? Uariugoo? why ?…”  ci si avvia sulla strada che conduce al deserto bianco alla ricerca di un passaggio che arriva subito per la gentilezza di un camionista che ci carica a bordo, al primo posto di blocco la polizia ci ferma, solita tiritera “chi sei da dove vieni, dove dormi, dove vai?” Parla anche con il camionista, al quale chiede se si paga, correttamente risponde no…. Ci fanno scendere e sedere sulla murella, nel frattempo fanno salire due al posto nostro e comincia una serie di telefonate. Dopo poco arriva il pik up del capo, il classico poliziotto boss, occhiali a specchio, baffo alla Sadam Hssein, fronte bollata e sorriso da faina, insieme a lui l’autista attendente, occhi di servo e aspirante sosia del capo, solito saluto, poi solite domande, come da copione ci sconsiglia di andare nel deserto da soli… dove si risiede, con chi si va… Gli rispondo che nel parco si può pernottare e che lo sappiamo bene perché il progetto del parco è stato fatto dagli italiani, solito farfugliamento, poi arriva un fuoristrada guidato da uno “splendido” che si presenta come padrone del founduk dove si alloggia, ci dice che è stato chiamato dal gran capo della polizia per accompagnarci nel deserto… vuole 150 pound, ha inizio un collettivo elencare, divieti, leggi e pericoli, ma si tiene il punto e alla fine torna indietro. Al posto di blocco arriva un bus turistico che naturalmente non da un passaggio a tipi non ben identificabili quali orgogliosamente noi siamo, dopo un po’ passa un pik up collettivo, i taxi di qui, naturalmente gli sbirri ci devono fare la cresta, si tratta a manciate di pound, alla fine ci si accorda per venticinque, metto lo zaino sul tetto, mi puppo un’altra dose di solite domande e la raccomandazione di tornare domattina presto a Farafra e finalmente si parte. L’autista ci porterà  alle porte del deserto bianco ma prima deve finire il suo giro e andare al vilaggio di Abu Nus, a noi va benissimo è una buona occasione per vedere anche se di sfuggita questo piccolo villaggio, c’è anche un lago, sede di un fallito tentativo di itticoltura, il paesino è sgarrupato, il minaretto fatto con essenziale traliccio di ferro con quattro altoparlanti e due mezze lune sul vertice, dal cassone telonato scendono una decina di persone, arrivano correndo i figli dell’autista per salutare il babbo e rimediare qualche nichelino per i bon bon. Si riparte subito, l’oasi è rigogliosa ci sono tante mucche grandi e lungo i numerosi canali abbondano le garzette e altri ucceli acquatici, ci scorrono intorno le immagini di una campagna ricca anche i girasoli qui sono grandi e le grandi estensioni dei campi di grano fanno pensare alle oasi al tempo dell’antica Roma. Si ripassa dai poliziotti, lungo rettilineo per il Deserto Bianco, dopo pochi minuti siamo di nuovo fermi a un altro posto di blocco, le solite domande e poi dritti fino alla meta, incrociamo il bus turistico visto prima, torna già indietro, cosa cazzo avranno visto non lo so. Abdullah ci lascia alla porta principale del famoso White Desert dove c’è un grande pannello che descrive le piste e i luoghi censiti più famosi.
È subito magia, i grandi e surreali funghi bianchi divenuti il simbolo di questo straordinario luogo, ci circondano e stagliano le loro sagome nel cielo terso. Il Deserto Bianco si estende per circa 3000 kmq, si tratta prevalentemente di depositi di calcare bianchi organogeni, i famosi “chalk” dei libri di geologia, tutto questo surreale paesaggio ha avuto origine dai sedimenti organici depositatisi sul fondo del mare che ricopriva questa zona nel cretaceo, circa un centinaio di milioni di anni fa. Le rocce candide sono formate principalmente dai resti delle conchiglie, di microrganismi (microforaminiferi) e di coeve microscopiche alghe unicellulari, dette coccolitosfere; questi depositi accumulatisi sul fondo di questo mare estinto una trentina di milioni di anni fa, quando il mare si è ritirato definitivamente, hanno cominciato ad essere erosi dalle sabbie di arenaria abrasive e molto più dure, provenienti dalle rocce limitrofe, erosione meccanica che combinata con l’azione delle piogge e gli sbalzi termici ha originato col passare dei millenni questo fantasmagorico paesaggio.
Camminiamo dentro una distesa di funghi in direzione Sud Est, alle nostre spalle in lontananza i suggestivi picchi affilati del Deserto Bianco Occidentale e il famoso El Qubur “lo scalpello di Dio” chiamato anche dalla gente del deserto il Pipo di Allah. È veramente bello, temevo di trovarmi in un “recinto per turisti” invece non c’è nessuno, intanto che lo penso a poca distanza passano dei fuoristrada con tutta l’attrezzatura per il campo, ma velocemente scompaiono. Si sale su una cascata candida che sembra latte solidificato, per poi fermarsi su un altopiano meraviglia, che ci regala un panorama eccelente sui funghi e sulle alture del Sahara al Baida, solo l’assilo delle mosche ci conferma che è tutto vero. Pone il sole infuocando il cielo mentre tutto si colora di arancio, sono attimi densi di meraviglia, i colori cangianti scaldano le forme fantasmagoriche delle rocce regalandogli una parvenza di movimento, siamo avvolti in uno scenario maestoso ed armonico che esige solo contemplazione, ogni movimento o azione è inopportuna, disturba e sa di atto sacrilego. I toni del cielo da rossi sono diventati viola, nell’immobilità dell’imbrunire monto la tenda, mentre la luna piena sorge e poi diventa rossa. La temperatura è decisamente calata e il pile e il cappelo di lana sono assai graditi, dalla balconata della collina bianca ci affacciamo sul deserto illuminato dalla luna piena, la visuale si estende per decine di chilometri dentro un paesaggio d’argento adornato da infinite e indefinite sagome, nel silenzio ci godiamo il privilegio di questo scenario fantastico.

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