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Ciao Tambone

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 I controllori del traffico

Si viaggia tutta la notte e all’alba siamo a Nador, città marocchina confinante con Melilla. Spazzatura che brucia sulla spiaggia, aria umida e appicicosa come le sciroccate d’agosto a Campo, Nador è unta e colorata di grigio e di nero.Con  un bus urbano si arriva  fino alla frontiera, un tratto a piedi dentro una fiumara di marocchini che stanno andando a lavoro nella ricca enclave spagnola. Arrivati alla dogana marocchina  consegnamo i passaporti, Serena passa, ma io no, chiedo spiegazioni arriva il responsabile, gli spiego che ci hanno mandato i loro colleghi ma non mi ascolta, mi incazzo e arriva subito una folata di agenti uno dei quali prova a mettermi le manette … e mi ritrovo in strada.
Morale siamo in Marocco io illegalmente perché il passaporto non va bene, Serena perché è ufficialmente uscita dal Marocco. Telefoniamo alla gendarmeria di Torres, risponde un agente che ci passa il capo, dico che a Melilla non ci fanno passare, ma casca la linea. Richiamo, risponde lo stesso agente, rispiegando il  problema, stavolta  dice che il comandante  (con cui avevamo parlato un minuto prima) non è lì e che dobbiamo richiamare nel pomeriggio. Decido di rientrare a Torres, anche perché dobbiamo dare Tambone ad Azzedine. Ritorniamo a Al Hoceima in bus ed aspettiamo Azzedine che ha viaggiato tutta la notte e ora sta per arrivare, anche lui con un pulmann. Ci incontriamo a piazza “Du Rif” punto d’arrivo di bus e taxi, dopo una non facile trattativa prendiamo un gran taxi per Torres. Man mano che ci avviciniamo l’autista diventa più teso  e ci vuole scendere qualche chilometro prima, insisto e borbottando riparte, arrivati a due  chilometri prima di Torres, sul bivio, che è l’unico accesso al paese, troviamo i gendarmi che stanno facendo un posto di blocco. Ci riconoscono e ci chiedono se è tutto a posto, spieghiamo che a Melilla non ci hanno fatto passare e chiediamo cosa dobbiamo fare per metterci in regola, iniziano a dire che non capiscono “je ne comprend pas…” e fanno cenno al tassista di portarci alla spiaggia.
C’è un aria strana Azzedine mi dice che vuole prendere Tambone e partire subito per raggiungere il villaggio a qualche ora da qui dove ci sono dei conoscenti che lo ospiteranno per la notte e poi domani prima dell’alba prenderà la via della montagna, la più breve per tornare alla casa di Oulad Bchir. Arriviamo alla spiaggia, oggi qui non c’è nessuno, solo il gestore del bar che è anche l’uomo di “moschea” del villaggio, gli chiedo un the per noi, Azzedine e per il tassista, non mi risponde e senza chiedergli niente inizia a caricare i bagagli sul taxi con l’aiuto dell’autista che è sempre più agitato. Poi prepara il the ma solo per Azzedine, noi veniamo sollecitati alla partenza. Dico che voglio andare alla gendarmeria  per spiegare le cose e capire che dobbiamo fare, ma mi dice che i gendarmi gli hanno chiesto di avvisarli del nostro ritorno e lui li ha chiamati per telefono, in caserma non c’è nessuno e il comandante ci aspetta direttamente sulla strada per darci tutte le spiegazioni. Il tassista vuole assolutamente andare, Tambone ci fa festa e non vede l’ora di partire, vuole andare via da tutta questa agitazione che, da montanaro quale è, non capisce. Azzedine è abbastanza spaventato, dopo essere stato chiamato “dal barba” ci dice che è meglio partire subito, facciamo due foto e salutiamo il nostro compagno equino senza il quale la traversata dell’Atlas e del Rif non sarebbe stata possibile. Azzedine è imbarazzato, ci dice che domani ci chiamerà e che ora è meglio andare via, il tassista suona e sgassa, montiamo sul taxi sotto lo sguardo soddisfatto del barista che ora ha il sorriso stampato sul volto al posto della solita maschera da duro e chiama subito dal cellulare guardando verso il mare mentre noi si parte. Raggiunto il posto di blocco chiedo all’autista di fermarsi ma i poliziotti lo esortano a proseguire senza  fermarsi, noi restiamo a bocca aperta, dei nostri documenti non gliene frega più niente, ridono divertiti per aver assolto brillantemente alla loro missione, l’unica cosa che interessava alla gendarmeria era mandarci via per non vedere, di certo abbiamo capito che la nostra presenza lì non era gradita a prescindere dalla nostra posizione più o meno regolare all’interno del paese. (io non ho documentazione che può testimoniare che ci hanno mandato via perché dovevano far partire un carico di droga, ma tutto faceva capire questo, la spiaggia deserta, i turisti – quelli con la tenda sopra il tetto del bar – che erano spariti,  il rifiuto del gestore del bar a prepararci il the perché dovevamo partire, la polizia che ci dice di andare via, l’agitazione del tassista,  ma soprattutto il cambiamento di interesse e comportamento da parte della gendarmeria). Arriviamo a Al Hoceima che è ormai buio, l’unica cosa da fare è cercare un posto per dormire e poi domani ragionare sul da farsi.