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Umberto e Tambone

miele

Anche stamattina pioviscola, ma il tempo sembra essere in via di miglioramento. Andiamo al campeggio per recuperare Tambone, gli sciolgo la zampa per mettergli il morso e portarlo via, ma comincia a correre come impazzito di felicità fra l’erba alta del campeggio. Dopo vari tentativi riesco ad avvicinarmi ma quando vado per mettergli il morso si divincola e mi molla un gran calcione e scappa galoppando fra i prati. Lo capisco, ma devo fare lo stronzo e con l’aiuto del guardiano gli intrappoliamo le gambe con la corda, poi gli metto il morso e andiamo alla via di casa, attraversando i perfetti vialetti di Ifrane. Non senza difficoltà gli mettiamo la sella e Tambone sfoga l’incazzatura vergando un calcione al canino della padrona di casa che si atteggiava a bestia dominante. Osservati come alieni lasciamo Ifrane, solo i giardinieri ci rivolgono la parola e ci danno consigli sulla via da prendere. Purtroppo non ci sono molte alternative: la strada asfaltata o il sentiero che la fiancheggia. Siamo circondati da nuvoloni e temporali, ma per fortuna non ci bagnamo. È una zona caratterizzata da blocchi di calcare e l’acqua fra le rocce appare e scompare continuamente. È una zona agricola coltivata a grano e frutti, ogni tanto lungo la strada si incontrano delle botteghe per turisti con esposti minerali, enormi fossili tarocchi, tappeti, miele, tajine…tutti mediamente sgangherati, Ifrane è a pochi chilometri ma è ormai lontanissima, siamo tornati in Marocco. Dopo una ventina di chilometri la campagna diventa una macchia di lecci e lungo la strada ci sono improbabili banchetti con sopra esposti dei barattoli di miele, si va avanti così per una decina di chilometri, ogni centinaio di metri un banchetto di miele, sembrano abbandonati, ma imboscati nella macchia ci sono i venditori, che oggi per il freddo si stanno riscaldando tutti con dei fuochi. Non avrei mai pensato di trovarmi a patire freddo di maggio in Africa in una macchia di lecci. La macchia si dirada quando comincia a scendere la strada e ci ritroviamo a Immouzer du Kandar, una cittadina dove stanno costruendo un sacco di villette a schiera, tutte uguali, le stesse che stanno rovinando l’Elba, sembrano le case del PEEP di Campo, quelle che andrebbero convertite in calcinacci col tritolo. Il centro del paese è la parte più bella, con i canali per regimare le acque che qui sbucano continuamente dalle rocce e la piccola e ordinata medina.
Ci sistemiamo in un piccolo albego alla fine del centro abitato che si affaccia sulla grande pianura in direzione di Fes, è una struttura datata e un po’ decadente ma affascinante sembra un posto dove il tempo si è fermato, è tutto d’epoca: il gestore le donne della cucina, il giardiniere e anche i cani sono vecchi. Subito non ci vogliono, il gestore tutto sdegnato dice che non è un albergo con gente che viaggia con gli animali, ma poi ci prende e si spende anche poco.