villaggio fantasma

 dakhla

 Uomo

E’ mattina presto ma fa già molto caldo, voglio andare al villaggio fantasma. L’unica soluzione è nolleggiare un fuoristrada. Dopo una sofferta ricerca si parte direzione Echtoucan, così si chiama. Uscendo dall’abitato si rincontrano le tante caserme e un grandissimo capannone, come una gigantesca serra. Mi hanno spiegato che è un enorme coltivazione di pachini, i pomodorini tondi che qui vengono prodotti tutto l’anno e esportati in tutto il Marocco, ma soprattutto in Europa, vi lavorano tante persone che sono giunte qui da tutto il Marocco ma in particolare dalla zona di Casablanca e Agadir. Dakhla è un posto eccezionale sotto tanti aspetti, oltre ad essere una baia bellissima dove il Deserto e l’Oceano si incontrano nella maniera più spettacolare ha anche una zona dal microclima eccezionale. Qui non piove praticamente mai, mi sembra di aver capito che l’ultima volta è piovuto due anni fa, ma c’è tanta acqua dolce, il segreto sta nella grande differenza di temperatura fra il mare e la terra che crea una grande evaporazione, questa con il raffreddamento notturno torna al suolo sotto forma di nebbia e si impregna nelle rocce che sono formate da conglomerati conchigliferi del tutto simili a quelli che si trovano a Pianosa nella costa occidentale. Anche le conchiglie sono le stesse per forma e dimensioni, quindi c’è acqua per coltivare, il sole chiaramente non manca e con giusto apporto tecnologico il risultato agricolo è eccellente, la differenza fra i due elementi crea anche il vento forte e costante che piace tanto ai surfisti. Il sottosuolo e ricco di gas e fosfati e questo è uno dei motivi della presenza militare massiccia in questa zona insieme alla questione sempre viva del Polisario (l’organizzazione di guerriglieri Saharawi formatasi con la partenza delle truppe spagnole che vuole l’indipendenza del popolo del deserto da Marocco e Mauritania), oltre a queste questioni di fondo c’è anche il problema dei clandestini che cercano di raggiungere l’Europa. Vorrei saper di più, mi interessano questi movimenti autonomisti, ma ora non è il momento, non c’è il tempo e sono ancora troppo acerbo d’Africa per entrare in questi temi. Però mi viene da pensare come siano strani e in un certo senso limitati gli ''umani'' come ci chiama il mi nipote Matteo, ognuno vive nel proprio mondo come in dei compartimenti stagni e non sembra esserci ne contatto ne interesse per gli altri anche se ti sono affianco; i coltivatori di pomodori nella grande serra, i surfisti accampati sulla spiaggia che parlano solo di onde e vento, i militari ad eseguire ordini e gli osservatori dell’Onu a vigilare. Questo vale a Dakhla, ma anche in tutto il resto del mondo, Elba compresa. Dalla strada ogni tanto si vedono delle tende dei pescatori sul mare, dei pastori nel deserto. Ho una grande ammirazione per questa gente che sa vivere in posti così estremi. Finalmente arriviamo nella zona del villaggio, vicino alla strada c’è un piazzale con dei cani dove sono riposte alcune barche di legno simili a quelle viste a Tarfaya, una strada che scende ripida a Tornanti ci porta al villaggio. A Dakhla ci avevano detto che i pescatori c’erano ancora, sono pescatori che vengono dal nord, dalla zona di Casablanca per pescare perché qui c’è tanto pesce e si guadagna bene (i militari devono mangiare) ma come avevo intuito dall’alto non ci vive nessuno. La spiaggia è favolosa, sabbia bianca di conchiglie, il villaggio è surreale, all’esterno è tutto grigio, dentro ci sono tanti colori inaspettati, con tanti disegni che sembrano fatti da bambini, ci sono rappresentati fiori, barche, pesci il camion che porta il pesce, nomi e date, ci sono tanti indumenti abbandonati, ancore, taniche, alcune barche, funi e poi la sorpresa, c’è una persona. E’ un vecchietto rinsecchito che battezzo ''denti di seppia'' per il colore pece degli incisivi, è bruciato dal sole, le braccia piagate piene di mosche e la testa ricoperta di fango in tutto peserà trenta chili.Lo saluto avvicinandomi mi parla in francese, mi dice che ha capito subito che non ero mussulmano e che non vuole essere fotografato perché ha il fango sulla testa, credo per proteggersi dal sole e dalle mosche. Ci vive solo lui qui e sta facendo una sorta di raccolta differenziata, mi dice che i pescatori sono andati via e che non torneranno, lui sta raccogliendo e dividendo tutto perché poi arriverà un “grande barco” al quale venderà tutto, guadagnerà tanti soldi e abbandonerà il villaggio. Parla tanto ma capisco poco, nomina continuamente Hitler, Ghandi e Ramsete VI, mi invita a vedere la sua dimora sulla quale campeggia una svastica che mi dice fiero aver disegnato personalmente. Sembra la cuccia di un cane, la sua ammirazione per il dittatore tedesco deriva dal fatto che quando i tedeschi del terzo Reich arrivarono qui vennero in aiuto di tante persone povere facendoli lavorare nella guerra, Ramsete aveva fatto qualcosa di simile qualche millennio prima, mentre Ghandi per la gente povera ha fatto solo male. Mi vede perplesso e mi dice che non ha altro tempo per parlare perché deve lavorare. La folle determinazione che aveva negl’occhi mi ha turbato, in due giorni ho trovato Salek e l’Antisalek . Sulla via del ritorno mentre il sole si abbassa sempre più ci godiamo i colori del deserto, con le sagome dei pescatori che come spettri vagano sul margine della scogliera con gli attrezzi in spalla. Arrivo sulla laguna mente il sole sta tramontando , è tutto molto bello, mi immagino lo spettacolo di questo deserto bianco con la luna piena. Il tempo di consegnare la macchina, recuperare gli zaini ed è già il tempo di prendere il bus destinazione Marrakesh. Un viaggio di 24 ore per raggiungere la città più famosa del Marocco.