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Sveglia all’alba con sorpresa, è già pronto il primo “pane sasso” il pane dei pastori nomadi che si fa impastando la farina con l’acqua senza lievito, poi si avvolge l’impasto intorno a un sasso tondo   (zona della “gola infernale” di martedì si trovano delle sfere nere quasi perfette) quindi si sotterra nella brace per cuocere, il risultato è eccezionale e poi come mi spiega Alla l’agrom (il pane) dei pastori è il migliore perchè dà la forza, ma essendo senza lievito non fa venire il mal di pancia. Con un sacchetto di farina e una teiera di latta, un pugno di foglie di the e una stagna d’acqua presa alla sorgente ci mangiamo in cinque.
Oggi proviamo a “sfondare” cambiando, scenderemo in direzione est lungo l‘oued secco, in fondo dovrei trovare uno sbocco verso la pianura così mi assicurano, abbiamo un carico più leggero perchè  ho lasciato un po’ di roba al campo, salutiamo e iniziamo la  discesa. Dopo poco si incontra un tipo strano su un mulo che ci guarda sospettoso, passano una ventina di minuti e si sente una grande botta, forse l’uomo misterioso cerca fossili o minerali con l’esplosivo. Il letto sassoso del fiume comincia ad avere un po’ d’acqua, i lati della valle sono inquietanti è tutto molto precario e ci sono continuamente delle piccole frane, entriamo in una gola stretta dove ci sono delle piccole cascate e tanti ammoniti, il viottolo finisce dentro un rifugio pastorale scavato nella roccia che si affaccia su un precipizio di una cinquantina di metri. Ritorno sui miei passi per qualche centinaio di metri e seguendo un’ impercettibile traccia che sale a destra del torrente mi ritrovo su una   mulattiera, mirabile e mimetica che come un graffito è incisa nella roccia e rinforzata da arditi muri a secco, la discesa è impegnativa per la neve che è rimasta nei tornantini a ombra, ma eccezionale per  il disegno ed il panorama che offre. Superata la gola ritroviamo il corso d’acqua, ora scorre sulla roccia, è un posto molto bello con cascate e laghetti abitati da rospi in amore. L’acqua scompare quando il letto torna ampio e sassoso, anche gli ammoniti finora numerosissimi non si vedono più. Fa caldo è da stamattina che si scende e abbiamo perso tantissima quota, incontriamo un anziano pastore con un gregge di pecore sparpagliato in un’ area molto vasta alla ricerca dei radissimi cespugli, l’uomo ci conferma che siamo sulla giusta via, poi finiamo in una grande arena circolare di fango, è un lago secco in alcuni punti c’è fango melmoso tipo sabbie mobili, in altri è compatto e screpolato, tutto intorno montagne rosse erose, sembra una gigantesca arena per battaglie di dinosauri, trovarsi qui con la pioggia può essere fatale. Ci sono delle tracce di sterco di mulo a destra e a sinistra, decido di salire verso nord in direzione della nostra meta seguendo la traccia di un fiume secco, il disegno è sinuoso e si apre sempre su un’ infinita salita di ciottoli.
Un paio d’ore di salita e troviamo una tenda di nomadi, una donna sta raccogliendo la neve in un canalone ombreggiato, anche lei mi conferma che siamo sulla via giusta, la salita sembra infinita,  in una gola con pareti scure troviamo una serie di stagne di plastica incastrate nella roccia per raccogliere la preziosa acqua che scende lentissimamente a goccioline, è un ambiente estremo difficile anche per i nomadi. Incominciamo a ritrovare la neve, in uno slargo lascio riposare Serena e Tambone e vado a vedere dove termina il passo. Cammino per un paio d’ore su un bellissimo crinale panoramico dove sono sbocciati dei bellissimi fiori bianchi dalla neve appena sciolta, siamo saliti tantissimo ci troviamo nuovamente sopra i tremila, in lontananza si vede Midelt ma non riesco a trovare un passaggio per raggiungerla, sono montagne molto ripide che alternano pareti rocciose quasi verticali a tratti fangosi soggetti a smottamenti, la via migliore sembra quella che scende in direzione ovest lungo una gola rocciosa. Ritorno alla base e insieme raggiungiamo il passo inventandoci dei tornanti nel tratto più ripido e poi iniziamo a scendere nella gola, per fortuna non c’è tanta neve  perché il percorso è sempre più difficile. Sbuchiamo dentro il letto secco di un fiume, sopra di noi delle rocce granitiche con chiusi che ricordano “La Tavola”. È quasi buio e comincia a fare freddo, montiamo la tenda su un pianello davanti a un caprile fra le coti di granito, a Tambone il posto piace perché c’è tanta erba fresca, non c’è acqua solo neve da sciogliere al fuoco e per mangiare un pezzo di pane che preferisco lasciare a domattina.