Smette di piovere verso le dieci, intanto che asciuga la tenda provo a sellare Tambone, ma inizia un rodeo, non ne vole sapere, scalcia e corre da tutte le parti, lo spettacolo dura una mezz’ora abbondante, il merda si diverte a fammi fa’ la figura del grullo, gli giro intorno per bloccarlo con la corda, ma lui gira insieme a me e rimane sciolto, alla fine si stufa e lo blocco, mentre lo tengo legato come un salame Serena gli mette la sella. Lasciata la casa ci ritroviamo nel  traffico della via per Ketama che ci accompagna fino al bivo per Tissa, nei pressi di una collina  rossa dove si vedono le tracce delle gallerie delle miniere di sale. Lasciato il “gran grodon” scompare il rumore di sottofondo del traffico, intorno nei campi mietuti pascolano mucche e pecore. Oggi è giorno di souk ma ormai è tardi, entriamo nel paese che stanno smantellando gli ultimi banchi. Tissa è famosa per gli allevamenti dei cavalli ma cavalli non se ne vede, comunque trovare un maniscalco per ferrare Tambone non è un problema, un anziano mi si avvicina girando il palmo della mano (cosa vòi), gli indico gli zoccoli e schiaccio i palmi della mano, yallah (andiamo) e lo seguo in un vicolo fangoso. Cinque minuti e arriva il “calzolaio”, dentro una borsa fatta con mezzo copertone tutto l’occorente, un punteruolo a culo largo che fa da incudine, i ferri , il martello con la penna, la sgorbia e i chiodi e un mollettone che strinto sul muso del mulo miracolosamente lo anestetizza, dieci minuti e il lavoro è fatto, Tambone è pronto per il Rif. Ci piazziamo nell’unico albergo di Tissa costo totale 2 euro, vado a legare Tambo in compagnia del ragazzo che ci ha accolto nel piazzalino dietro l’hotel dove si apre una finestra sul bar sottostante, sbircio e assisto alla divisione di un mattone scuro di hashish. Andiamo a mangiare qualcosa, Tissa non è bella ma come tutti i posti non turistici è vera, troviamo un ristorantino (che vuol dire una griglia sopra un vecchio bidone, dei tavolacci e qualche panca), che ci cucina una ciccina ottima, il cameriere tutto sdentato sa già tutto di noi, al ristorante c’è anche una donna completamente velata che mi da le spalle per tutto il tempo. Tissa è un paesone misteriosamente pieno di negozi di fotografia, ce ne saranno una ventina, facciamo un giro alla ricerca dei famosi allevamenti, ma troviamo solo la spianata del famoso carosello e trebbiatrici a lavoro. Torniamo all’hotel dove nel frattempo è arrivato il paron, un omone scuro e baffuto che spicca per gli occhi chiari, poco dopo arriva anche il responsabile dell’ammministrazione,  l’equivalente del vice sindaco, che ci accoglie con fare finto gentile e sorrisino da iena, “qui non c’è niente da vedere niente per i turisti, niente alberghi, niente ristoranti, questo non è un hotel autorizzato, cosa siete venuti a fare a Tissa? cosa cercate? perché avete  un mulo? chi vi ha detto di questo hotel….” , ci controlla i documenti e vuole sapre perchè sono in Marocco da così tanto tempo, però non ascolta o comunque non crede a quello che gli dico, continua dicendo che è  una zona pericolosa e è meglio andare via. Ci dice di attendere che ritornerà a breve con il capo della gendarmeria (i carabinieri). Anche il maresciallo fa la solita tiritera “le persone qui sono pericolose,  non c’è niente da vedere” cosa portiamo nei bagagli,  non si può dormire nelle case, quando si entra in un paese bisogna sempre avvertire le forze dell’ordine, mi mette all’erta perché a fine giugno mi scade il permesso di soggiorno in Marocco, e poi iniziano a scrivere tutte e due le stesse cose,  nome cognome….nome del babbo, nome del babbo della mamma e tutti i paesi visitati in Marocco. In realtà il maresciallo fa finta di scrivere per accontenta’ lo sceriffo, una volta assicuratisi che domattina ce ne andiamo ci salutano con la raccomandazione di rimanere ben tangati in camera e vanno via sotto lo sguardo assassino del padrone di casa.  Salto a internet dove un tipo che parla italiano mi fa il terzo grado, poi il paron mi fa vedere come si lega il mulo a Tissa: catena alla zampa bloccata con un lucchettone e poi legato all’inferriata con un altro lucchettone, oltre alla solita legatura raddoppiata, il povero Tambone rimane bloccato come pietrificato. Mangiamo qualcosa (carne di montone) mentre intorno a noi c’è un gran mercato di kif, le auto si fermano caricano e ripartono: “kif  away”.