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Le necessità dettate dalle regole e le regole dettate dalla necessità
Nella notte mi sveglia il vento forte, mi affaccio e a largo dell’Isola vedo un temporale massiccio che è in arrivo, fra noi e l’Africa grandi saette che escono da nuvole che pulsano di luce viola. Il temporale si avvicina velocemente e i toni cominciano a farsi sentire sempre più forti, le saette ora sono vicine e illuminano la baia, ne arrivano un paio giganti dritte e larghe che si schiantano a poche centinaia di metri, la luce è accecante e il tuono che arriva subito dopo fa vibrare il terreno, sembra l’inizio di una tragenda, ma per fortuna rimane il momento più intenso, i toni e fulmini continuano per tutta la notte ma non succede niente di grave. All’alba esco e faccio un giro fino al poggio panoramico vicino al cimitero, vedo che siamo circondati da nuvole nere cariche di elettricità, sembra di essere nell’occhio del ciclone ma praticamente non succede niente e a parte qualche goccia non piove nemmeno. Come capita spesso quando  l’aria è piena di elettricità gli animali si radunano e vicino alla tenda ritrovo i due cavalli isolani, tre corvi e una tartaruga. Verso le otto arriva una motovedetta che si ormeggia alla boa a centro golfo e poi sbarca i militari con il gommone, sono le nuove reclute il cui compito principale è ripulire l’isola dalla plastica che raccolgono in grandi sacchi e poi accumulano dentro i casotti sul porto in attesa di portarli fuori dall’isola. Le notizie stamattina sono più grigie, un po’ come la giornata, su Galitone non si puo’ andare perchè c’è troppo mare e anche il cambio del turno è rinviato, proviamo domani mi dice il responsabile del trasbordo, che non riesce a mettersi in contatto con il faro  perché il temporale deve aver fulminato qualcosa. Scendo al porto per avere la conferma che possiamo rimanere un’altra settimana qui, Kaled vuole partire nonostante il tempo brutto ma non ci vuole lasciare qui, discutiamo un po’, con Kaled non ci si piace ma ci si sopporta, io senza di lui non potevo venire qui e lui senza la mia richiesta non poteva portare il suo amico a pescare, vuole una dichiarazione scritta dal comando di Bizerte che noi possiamo rimanere qui, si mette male. Torno alla guardia nazionale e mi dicano che si puo’ rimanere, nel frattempo sull’orrizzonte passano delle trombe marine, si resta in attesa di una risposta, forse si resta fino al 25 forse no, una serie di chiamate poi verso le due arriva la risposta negativa: Bizerte non risponde, almeno cosi’ mi dicono e quindi si deve partire con il Bichi, nel frattempo passa una grossa tromba marina, decisione finale si parte domattina all’alba. Non rimane che sfruttare il più possibile il poco tempo restante, scendiamo verso il mare per vedere la parte bassa del paese, quella più estesa, vicino alla caserma della marina c’è una motopala abbandonata (una scingscaul’ come si diceva e forse si dice sempre a Ponza). La parte bassa dell’insediamento Ponzo Galitese ricorda veramente la principale isola Pontina in particolare la zona delle Forna, scendendo verso il mare si incontra la casa detta delle aragoste al cui interno ci sono ancora le vasche dove venivano tenute le aragoste vive nell’attesa di essere portate in continente, proseguendo ci sono una ventina di abitazioni ormai tutte malridotte, i  muri si stanno sgretolando sotto l’azione della salsedine e della vegetazione, come sempre sono le piante di fico le più devastanti. La scala che scende verso il mare ricorda tantissimo quella che da Le Forna scende verso le piscine naturali a Cala Feola, intorno ci sono agavi, lentischi e cisti, questa è veramente la piccola Ponza: le scale imbiancate con la calce, grotte casa e altre grotte che fungevano da stalle scavate nella roccia più friabile, la più bella sembra la casa dei Flinstones. Il viottolo si ferma sul mare, poco più in alto c’è la casa più grande de La Galite, quella che ospitava Bourghiba, è diversa da tutte le altre ha il tetto a capanna ricoperto con i marsigliesi ed è una tipica casa francese, a pianterreno oggi qui ci vive una famiglia, una delle tre famiglie dell’Isola e fuori casa ci sono due donne e tre bimbi, peccato che si va via domattina perché sarebbe stato bello poterci parlare, chissà che storie interessanti venivano fuori e poi specialmente ora che si cominciava ad entrare in confidenza anche con gli uomini della marina, comunque rimane il grande privilegio di essere qui e questo pensiero mi fa sentire molto fortunato.
Saliamo verso il monte senza nome che abbiamo battezzato Calanche per la somiglianza con la vetta Elbana, si cammina in mezzo a una prateria d’erba alta e robusta, sembra la Pampa, anche questo scorcio di isola è molto bello, una piramide di rocce scure piena di fratture da cui fuoriesce acqua dolce, ci sono delle fratture che diventano vere e proprie grotte e vengono prese a dimora dalle capre selvatiche. Fra grotte e rocce scure e nuvole cupe il tramonto acquista una connotazione drammatica. La  notte arriva in un attimo, fra poche ore lasceremo La Galite, passiamo l’ultima sera chiacchierando con i ragazzi della guardia nazionale che sono stati molto gentili con noi, sono giovani tra i venti e i venticinque anni e sono arrivati qui spinti da motivazioni economiche. Habib è il responsabile del comando, è qui da cinque anni e ci resterà ancora un anno, poi spera di essere trasferito a Tabarka sua città natale dove con i soldi guadagnati qui si è già costruito una casa, cosa che “per un venticinquenne non è poco” mi dice orgoglioso. Anche Mohamed, che è più giovane, ha chiesto di venire a La Galite ma solo per un anno, perché quando torna si vuole sposare, La Galite gli piace ma soffre l’isolamento, le loro donne qui non verrebbero e nemmeno loro le vorrebbero qui. E’ strano questo mondo delle regole che porta uomini a vivere senza donne in un posto non desiderato per avere più soldi, regole che impediscono la normalità e portano a stare dove non si vuole essere. La Galite come tutte le micro comunità in luoghi isolati, estremizza le situazioni rendendole più evidenti ma alla fine la dinamiche sono le stesse in tutti i luoghi: ci si sposta e si vive seguendo le necessità dettate dalle regole e non seguendo le regole dettate dalle necessità, come avevano fatto i coloni ponzesi qualche decina di anni fa su questo magico scoglio.
Quelle stesse regole cha hanno mandato via le persone che avevano scelto di vivere qui, sostituendole con altre che qui mai sarebbero venute.