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La mattina arriva veloce, così come l’ora di accompagnare Serena all’Aeroporto. oggi sembra tutto più bello, a cominciare dalle vette innevate dell’Atlante che circondano come una corona la Città.
E’ tutto molto curato e imbandierato, anche perché sono giorni di festa, ieri era l’anniversario dell’Indipendenza Nazionale e anche qui si fanno i ponti.
E stato bello condividere questa parte di viaggio, ci si saluta con l’intendo di ritrovarsi fra un paio di mesi in Africa. Lascio l’aeroporto, dove stanno costruendo un aerostazione che sembra uscita da un film di fantascienza, e prendo un bus navetta che mi lascia proprio nel centro, all’ingresso della famosa Pazza Djemaa el Fna, considerata la più bella piazza del mondo; in effetti è proprio come uno se la aspetta. Incantatori di serpenti, giocolieri, musicisti, tantissima gente tantissimi europei, e anche americani. Mi da fastidio vedere tutta questa gente pallida e scollacciata, rovina l’atmosfera, anche se mi rendo conto che questa piazza è un grande circo legato al turismo. Visito qualche souk , rispetto a quello che ho visto fin’ora, qui è tutto più frenetico. Ci sono carri e motorini che attraversano velocemente le vie, è comunque una città che vale la pena di visitare con calma, ed io per fortuna il tempo c’e l’ho. Da qui il mio giro cambierà ritmo, partirò per attraversare tutto l’Atlante a piedi fino a raggiungere il Mediterraneo. Qualche giorno per mettere a punto bene la cosa e visitare Marrakech poi partenza…
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Monthgiugno 2008
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Durante la notte il bus si rompe, dopo un paio d’ore di sosta si arriva lentamente a Laayonne e si cambia corriera, si viaggia spediti, attraversiamo Tarfaya senza fermarci, solita sosta per comprare e farsi arrostire la carne a Akfenir e poi dritti fino a Tan Tan Plage, il deserto dopo la pioggia è veramente fiorito, piccoli fiori bianchi e gialli adornano i pochi cespugli ora verdi.
Risalendo, la sabbia lascia il posto a un ambiente via via sempre meno arido, si può cominciare a parlare di campagna. Lo sguardo mi viene rapito da una ragazza che pascola le capre con un vestito verde tutto luccicante. Arriviamo a Iznegane dove dobbiamo cambiare. Quello che all’andata mi era sembrato il primo vero contatto con l’Africa mi sembra ora una città europea. E' incredibile come ci si adatti rapidamente alle nuove situazioni, tutti di tirano da tutte le parti e ti vogliono portare a Marrakech, i prezzi e gli orari variano continuamente, è veramente un altro Marocco. Alla fine prendiamo un pulman che partirà alle sette e arriverà verso mezzanotte. I venditori di tutto salgono sul pulman così come chi chiede l’elemosina.
Appena partiti due ragazzi fanno un specie di predica, capisco solo che hanno bisogno di soldi e che scendono ad Agadir. Mi sorprende vedere che hanno elemosinato tanti soldi , almeno 300 Dirham. Si sale verso Marrakech. Prima di arrivare ci si ferma in un enorme stazione dove cucinano Tajines, polli arrosto, oltre alla solita carne, è tutto grande frenetico e industriale ho già nostalgia del Sud.
Il primo impatto con la “città del Marocco” non è bello sembra una città come tante, tutte uguali specialmente di notte. |
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E’ mattina presto ma fa già molto caldo, voglio andare al villaggio fantasma. L’unica soluzione è nolleggiare un fuoristrada. Dopo una sofferta ricerca si parte direzione Echtoucan, così si chiama. Uscendo dall’abitato si rincontrano le tante caserme e un grandissimo capannone, come una gigantesca serra. Mi hanno spiegato che è un enorme coltivazione di pachini, i pomodorini tondi che qui vengono prodotti tutto l’anno e esportati in tutto il Marocco, ma soprattutto in Europa, vi lavorano tante persone che sono giunte qui da tutto il Marocco ma in particolare dalla zona di Casablanca e Agadir. Dakhla è un posto eccezionale sotto tanti aspetti, oltre ad essere una baia bellissima dove il Deserto e l’Oceano si incontrano nella maniera più spettacolare ha anche una zona dal microclima eccezionale. Qui non piove praticamente mai, mi sembra di aver capito che l’ultima volta è piovuto due anni fa, ma c’è tanta acqua dolce, il segreto sta nella grande differenza di temperatura fra il mare e la terra che crea una grande evaporazione, questa con il raffreddamento notturno torna al suolo sotto forma di nebbia e si impregna nelle rocce che sono formate da conglomerati conchigliferi del tutto simili a quelli che si trovano a Pianosa nella costa occidentale. Anche le conchiglie sono le stesse per forma e dimensioni, quindi c’è acqua per coltivare, il sole chiaramente non manca e con giusto apporto tecnologico il risultato agricolo è eccellente, la differenza fra i due elementi crea anche il vento forte e costante che piace tanto ai surfisti. Il sottosuolo e ricco di gas e fosfati e questo è uno dei motivi della presenza militare massiccia in questa zona insieme alla questione sempre viva del Polisario (l’organizzazione di guerriglieri Saharawi formatasi con la partenza delle truppe spagnole che vuole l’indipendenza del popolo del deserto da Marocco e Mauritania), oltre a queste questioni di fondo c’è anche il problema dei clandestini che cercano di raggiungere l’Europa. Vorrei saper di più, mi interessano questi movimenti autonomisti, ma ora non è il momento, non c’è il tempo e sono ancora troppo acerbo d’Africa per entrare in questi temi. Però mi viene da pensare come siano strani e in un certo senso limitati gli ''umani'' come ci chiama il mi nipote Matteo, ognuno vive nel proprio mondo come in dei compartimenti stagni e non sembra esserci ne contatto ne interesse per gli altri anche se ti sono affianco; i coltivatori di pomodori nella grande serra, i surfisti accampati sulla spiaggia che parlano solo di onde e vento, i militari ad eseguire ordini e gli osservatori dell’Onu a vigilare. Questo vale a Dakhla, ma anche in tutto il resto del mondo, Elba compresa. Dalla strada ogni tanto si vedono delle tende dei pescatori sul mare, dei pastori nel deserto. Ho una grande ammirazione per questa gente che sa vivere in posti così estremi. Finalmente arriviamo nella zona del villaggio, vicino alla strada c’è un piazzale con dei cani dove sono riposte alcune barche di legno simili a quelle viste a Tarfaya, una strada che scende ripida a Tornanti ci porta al villaggio. A Dakhla ci avevano detto che i pescatori c’erano ancora, sono pescatori che vengono dal nord, dalla zona di Casablanca per pescare perché qui c’è tanto pesce e si guadagna bene (i militari devono mangiare) ma come avevo intuito dall’alto non ci vive nessuno. La spiaggia è favolosa, sabbia bianca di conchiglie, il villaggio è surreale, all’esterno è tutto grigio, dentro ci sono tanti colori inaspettati, con tanti disegni che sembrano fatti da bambini, ci sono rappresentati fiori, barche, pesci il camion che porta il pesce, nomi e date, ci sono tanti indumenti abbandonati, ancore, taniche, alcune barche, funi e poi la sorpresa, c’è una persona. E’ un vecchietto rinsecchito che battezzo ''denti di seppia'' per il colore pece degli incisivi, è bruciato dal sole, le braccia piagate piene di mosche e la testa ricoperta di fango in tutto peserà trenta chili.Lo saluto avvicinandomi mi parla in francese, mi dice che ha capito subito che non ero mussulmano e che non vuole essere fotografato perché ha il fango sulla testa, credo per proteggersi dal sole e dalle mosche. Ci vive solo lui qui e sta facendo una sorta di raccolta differenziata, mi dice che i pescatori sono andati via e che non torneranno, lui sta raccogliendo e dividendo tutto perché poi arriverà un “grande barco” al quale venderà tutto, guadagnerà tanti soldi e abbandonerà il villaggio. Parla tanto ma capisco poco, nomina continuamente Hitler, Ghandi e Ramsete VI, mi invita a vedere la sua dimora sulla quale campeggia una svastica che mi dice fiero aver disegnato personalmente. Sembra la cuccia di un cane, la sua ammirazione per il dittatore tedesco deriva dal fatto che quando i tedeschi del terzo Reich arrivarono qui vennero in aiuto di tante persone povere facendoli lavorare nella guerra, Ramsete aveva fatto qualcosa di simile qualche millennio prima, mentre Ghandi per la gente povera ha fatto solo male. Mi vede perplesso e mi dice che non ha altro tempo per parlare perché deve lavorare. La folle determinazione che aveva negl’occhi mi ha turbato, in due giorni ho trovato Salek e l’Antisalek . Sulla via del ritorno mentre il sole si abbassa sempre più ci godiamo i colori del deserto, con le sagome dei pescatori che come spettri vagano sul margine della scogliera con gli attrezzi in spalla. Arrivo sulla laguna mente il sole sta tramontando , è tutto molto bello, mi immagino lo spettacolo di questo deserto bianco con la luna piena. Il tempo di consegnare la macchina, recuperare gli zaini ed è già il tempo di prendere il bus destinazione Marrakesh. Un viaggio di 24 ore per raggiungere la città più famosa del Marocco. |
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L’Alba è ancora lontana ma il paese è già attivo, le Land Rover scassate, cariche di pescatori vanno verso il porto. Lo spazzino pulisce le vie, non è facile pulire un paese di ''sabbia'', usa una cassetta e un rastrello, con la scopa consumerebbe la strada. Il pulman è in ritardo, arriva il sole ma il bus no, chiedo e mi dicono che probabilmente era completo e allora ha saltato Tarfaya, ma c’è subito pronta la soluzione. C’è una famiglia che deve andare a Lannyoune con il taxi, in sei facciamo l’equipaggio completo, si parte. C’è nebbia, si arriva a Laanyoune, è molto grande, ci sono caserme dappertutto e molti osservatori dell’ONU. Altro gran taxi destinazione Dakhla, è arancione come cinghio, il mio furgone lasciato al Viottolo. Penso ai ''viaggi di cinghio''. Inizialmente volevo fare dei reportages a sfondo sportivo-naturalistico usando cinghio come base, caricandoci sopra kayak e mtb e farla diventare un’attività, ma poi, una serie di circostanze mi hanno fatto prendere la decisione del grande viaggio, sono sempre più contento di questa scelta. Mi piazzo davanti come durante la prima tratta nel posto più scomodo ma anche più panoramico, sul tunnel del cambio rivestito di pelle di capra. 550 chilometri nel deserto praticamente un unico grande rettilineo fra il deserto e il mare. Si incontra un vero fuoristrada, nel senso di un Land Rover finito fuoristrada e impantanatosi. L’autista si è addormentato, la cosa comica è che è l’unico tratto umido vicino alla strada, una specie di grande polla. Ogni tanto bisogna fermarsi perché passano dei branchi di dromedari che attraversano fieri ed indifferenti, i pochi cespugli spinosi sono presi d’assalto dalle capre dei nomadi le cui tende si materializzano dal nulla come miraggi.La strada costeggia l’oceano e ci sono dei colori bellissimi, chiedo all’autista se è possibile fare una breve sosta per fare delle foto, gentilmente accosta, c’è uno spiaggione infinito con due relitti , verrebbe voglia di scendere ma non c’è tempo, mi giro e vedo che il deserto è diventato un cesso: chi piscia, chi caca, uno spettacolo, chissà perché mi vengono in mente Leo el Dotto.Fa un gran caldo ci sono più di 40 gradi, cominciano i controlli, saranno in totale una quindicina, la trafila è sempre la stessa: passaporto, nazionalità, professione, da dove vieni, dove vai, perché, per quanto tempo, ai marocchini controllano solo il foglio di viaggio rilasciato dal commissariato del luogo di residenza. È da un po’ di ore che mi chiedo se l’autista è destro o mancino, lo osservo ma non capisco, guida con le ginocchia ma questo non è un grosso problema visto che la strada è dritta, con la mano destra è intento a pulirsi i denti con uno stecco mentre con la sinistra si scaccola, ora normalmente è più impegnativo pulirsi i denti ma siccome la somma dei denti fra sopra e sotto non sembra superare le sette unità il dubbio rimane.
Ci fermiamo per una lunga sosta di ''mezzora'' in una specie di autogrill, ne approfitto per affacciarmi verso il mare , lo spettacolo è esaltante e angosciante allo stesso tempo, una spiaggia meravigliosa e un villaggio fantasma: è una visione surreale, mi propongo di venirci domani per approfondire.Stiamo per arrivare, i controlli si infittiscono cosi come le bianche camionette delle Nazioni Unite, la recente moratoria contro la pena di morte mi fà sentire orgoglioso di essere Italiano. Il deserto diventa bianco e le dune sempre più alte, è molto bello, all’improviso una depressione e poi una laguna profonda che si incunea nel deserto, è la baia di Dakhla, mare piatto e vento forte un paradiso per il kite ed il wind surf ci sono molti camper europei accampati sulla spiaggia della laguna. La citta è circondata da caserme, la più grande è quella lasciata dagli spagnoli, circondata da un lunghissimo muro ocra.Dakhla è una cittadina, nulla a vedere con Tarfaya, ci sono tanti negozi di elettronica, tantissimi barbieri – credo sia legato alla grande presenza di militari ma anche al gran, caldo -. Siamo sul tropico del Cancro e la temperatura è costante tutto l’anno sui 30 gradi di giorno e 15 la notte.
Ci sono anche donne vestite all’occidentale e ci sono anche le gioiose discrete (nel senso della della discrezione) ma ben identificabili, del resto con tutte queste caserme e un porto importante credo sia inevitabile. Il mercato della frutta e della verdura è spettacolare cosi come le pasticcerie.
Con l’equivalente di due euro si mangia una grigliata di pesce. Arriva il momento fatidico: ho promesso al mitico “Mendolone” testi e foto, ma anche stavolta non riesco a mandargli niente. Mentre scrivo mi si blocca il tasto che cancella tutto, nella frenesia di sbloccarlo lo pigio ancora di più, sta cancellando tutto, mi parte una scarica di bestemmie che la sentono dalla Mauritania, c’è un silenzio di tomba, tutti mi guardano allibiti, per un momento penso che verrò lapidato, non solo non ho spedito niente ma ho cancellato quasi tutto quello che avevo scritto.
Torno verso l’albergo, eccezionale nel rapporto qualità prezzo 50 Dirham a persona (5 euro), ma sono così incazzato che giro mezzora a voto prima di ritrovarlo. Mi ferma anche la polizia che però mi lascia subito. Non c’è più nessuno per le vie quando trovo la via di casa.
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Mattina a Gibilterra per acquistare una reflex digitale poi in bus da Linea ad Algeciras.Questa città è uno di quei posti che se non ci sei nato e non ti ci hanno mandato a lavorare non ci andresti mai: un porto industriale circondato da raffinerie, e ma è un punto quasi obbligato per andare in Marocco.La nave salpa alle 21, a bordo c’è una piccola moschea come se il Marmorica avesse una chiesetta sul ponte principale.La baia di Gibilterra è illuminata dalle navi e a terra iniziano i primi fuochi d’artificio sia dalla parte spagnola che da quella inglese, doppiamo la mitica Trafalgar e le luci d’Africa si avvicinano veloci.Lo sbarco a Tangeri è rallentato dal portello bloccato, a parte il piccolo inconveniente è tutto molto, tutto molto facile non c’è nessun controllo di frontiera. I primi odori di Tangeri non sono gran chè “sembra di esse sul giraglia”. Arriviamo alla stazione dei pulman, è già 2008 ma qui non gliene frega nulla, i ragazzi giocano tra le palme della piazza, c’è un ora di tempo prima della partenza per Casablanca, ci fermiamo in uno dei tanti bar ristorate della zona, tutti pieni e frequentati solo da uomini .Prima cena africana: un pollo arrosto patate riso e sardine per circa due euro.
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Partenza alle 7 dalla stazione dei bus di Malaga, la strada scorre lungo la costa e l’alba scopre colate di cemento su colate di cemento, gru cantieri case su case, alberghi e casermoni enormi cartelloni di agenzie immobiliari senza fine, solo un breve tratto di erba con tori e mucche nere, poi torna villette e palazzi…Finalmente Linea e sullo sfondo le famose Rocce Bianche di Gibilterra, da sempre sognate e viste con la mente di bimbo grazie ai racconti dei marittimi della “tera di Glauco” i racconti di “Burrasca e del Moro” di Angelo, eroici isolani nati contadini e diventati cavodurnisti per miseria.Linea è un posto vero dove non è tutto in funzione del turista, è domenica e ci sono le famiglie del posto al ristorante con 8 euro si fa un pranzo completo.Per andare a Gibiltera bisogna passare la doppia Frontiera, si attraversa l’aeroporto che è anche strada, pista ciclabile e passaggio pedonale; quando arriva o parte un aereo suona la sirena e si libera la pista.Qui è tutto è english style e Nelson è un icona presente da tutte le parti, più di Napoleone all’Elba. Gibilterra è porto franco dove elettronica e alcolici la fanno da padroni, il centro è una serie ininterrotta di negozi. Lasciamo il paese e iniziamo a salire verso le vette del promontorio. Finalmente silenzio, si sale ripidamente fra fortificazioni antiche e gallerie e batterie dell’ultimo conflitto, la vegetazione è rigogliosa, c’è acqua dolce indispensabile ricchezza di ogni baluardo militare, spiccano le bellissime palme nane ma ci sono tanti olivastri e anche lecci.
Salendo incontriamo i famosi macacchi di Gibilterra si vede che sono abituati alle persone è facile farci amicizia.
Dalla vetta del promontorio ammiriamo un tramonto sulla baia di Gibilterra che ospita decine e decine di grandi navi, sullo sfondo l’Africa e le montagne marocchine.
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Albeggia su di un paesaggio affascinante montagne gelate è La Sierra Nevada, montagne brulle mentre si scende verso il mare, la ferrovia e le strade sono scavate fra le gole rocciose, le rocce si fanno più morbide mentre la campagna arida ma coltivata diventa la dominante del paesaggio, gli agrumi e gli olivi la fanno da padroni.Arriviamo a Malaga in una modernissima stazione che sembra un aeroporto internazionale, attravesiamo un anonimo viale che ci porta alla spiaggia, un grande lido compatto e marrone. Lungo l’arenile dei ristorantini dove arrostono sardine infilzandole dentro pezzi di canna tra la spiaggia e il porto ci sono le barche dei pescatori tirate e terra, in questa specie di zona franca c’è un accampamento di alcolizzati.Proseguo fino al porto dove troneggia un finto galeone discoteca, rientro verso il centro attraversando un bellissimo orto Botanico con piante dei cinque continenti.Il centro storico è pieno di turisti tutti in fila per visitare la massiccia cattedrale. Bar frenetici fumosi e rumorosi, cerco uno zaino più grande per ottimizzare il carico, e mi ritrovo nei diabolici centri commerciali, penso con disprezzo a l’elbani che vanno il fine settimana ai centri commerciali perchè al’Elba non cè nulla. C’è talmente di tutto che non compro nulla, torno alla stazione perché c’è la connessione internet senza fili gratuita, faccio le stesse operazioni di sempre in automatico: prima Elbareport, Elbacomunico, poi il Viottolo, la posta e fiorentina.it., poi inizio a scrivere qualcosa. E' questo il cuore di Malaga per gli abitanti cinema multisala, locali di vario genere stazione ferroviaria e bus.Gibilterra che non c’è…Cerco un pulman per Gibilterra ma Gibilterra dalla Spagna non si può raggiungere per un motivo semplice per gli spagnoli Gibilterra non esiste, chiedo insistentemente Gibilterra, ghibiltera, la porta del Mediterraneo, Trafalgar la battaglia navale di Trafalgar Oracio Nelson, el addmiral. Ipocriti più delli juventini, non esiste una mappa che riporti la città inglese comunque una cosa è certa in Spagna Gibilterra non esiste! Finalmente si scopre l’arcano bisogna andare a La Linea praticamente la cittadina spagnola attaccata. Gibilterra che non esiste come l’acciaierie nella cartina della Val di Cornia esposta al porto di Piombino dove degli impianti siderurgici non c’è traccia. |
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La Valencia Monumentale ha un centro storico imponente, delle possenti porte a ricordo del cruento passato e tanti ponti che attraversano un fiume secco.Il fiume è stato deviato a monte della città e nel letto del fiume ormai secco sono stati impiantati giardini, impianti sportivi e costruita la futuristica città della scienza di grande impatto soprattutto al tramonto.La città è frenetica ma senza anima, è molto turistica e vi lavorano persone totalmente scollegate al luogo, il pensiero corre alla mia Isola e a tutti quei lavoratori estivi che ignorano tutto della nostra “Massima Isola” e una sensazione fastidiosa, come le comande prese con una lavagnetta dove devi mettere il numero della pietanza fotografata sul menù plastificato.Voglia di posti veri come la bettola di Corte dove mangiammo in compagnia di Corsi veri i primi di questo Novembre. Mi sembra di essere dentro una grande finzione dove tutto persone e luoghi sono ”tipicamente finti”. Ritiro le scarpe con cui farò il giro e ci prepariamo a partire, ma il treno per Malaga è completo e non si può bigliettare proviamo col bus idem, riproviamo col treno senza biglietto il primo controllore, ci manda da un suo collega con la barba che ci manda dal “Gordo” il capo dei controllori, ci pensa un po’ e poi ci fa salire si parte . |
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Sveglia a un'ora decente visita a questa cittadina catalana ricca di vestigia romane e di ristoranti finto italiani, primo problema pratico, la spina del computer non è compatibile con le prese spagnole, dopo un’ora di ricerche in una ferramenta trovo l’agognata riduzione. Tarragona vende orgogliosa i suoi monumenti, ma io ho gli occhi ancora pieni di Roma e la testa già in Africa. Sosta all’internet point e partenza direzione Valencia dove devo recuperare le scarpe che faranno il giro del mondo.La stazione ferroviaria di Valencia è posta a fianco della grande Arena che noto con piacere ospita un tranquillo circo. La città è molto grande e piena di gente domani la visiterò |
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