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Ci svegliano i passi furtivi dei bimbi fuori dalla casa, dalla luce che entra dalla finestra sembra una giornata di sole. Appena apro la porta è già pronta la colazione: pane, burro, caffelatte e zuppa di ceci, poi subito a trovare Madame Zara, la mamma di Lahcen e riferimento per tutta la famiglia. Dal tetto di casa spunta un bidone di latta, sopra tre sostegni di legno una lastra, un tappo di pentola e un sasso, è il comignolo della cucina di Zara. Davanti all’ingresso c’è il forno per il pane, entrando la macina in pietra con cui sono stati macinati i ceci della colazione, poi il “salottino” con il camino-cucina e in fondo il letto, le pareti sono di paglia e fango, il pavimento di terra battuta, chiaramente facciamo una seconda colazione: uova lesse, una misteriosa tisana rossa e il classico the. È una donna eccezionale, sarà alta un metro e cinquanta, ma ha un gran carisma, è una vera matriarca rispettata da tutti grandi e piccini. Ci avviamo verso la scuola, “il cinema” di ieri ha fatto notizia e tutti vogliono essere fotografati, quello che fino a ieri sembrava un problema ora si è rovesciato, perfino un’anziana signora mi chiama per essere fotografata, quando le faccio vedere la foto si dispera perché dice che non è più bella perché è diventata vecchia, la sua mimica scatena una grande risata generale. Sono circondato da almeno cinquanta bimbi che fanno di tutto per farsi fotografare, chi salta, chi si fa il cappello col pallone bucato, le bimbe vengono con i neonati legati dietro la schiena, a un certo punto smetto perché si sta creando una calca schiaccia bamboli. Entriamo a scuola che oggi è chiusa, ma ci sono gli insegnanti, vengono da altre zone del Marocco e vivono in un appartamento comune all’interno della scuola. Come sempre il progetto di Base Elba viene accolto con entusiasmo, ma qui viene recepito ancora meglio, sarà perché qui gli insegnanti sono giovani e anche perché in questo villaggio c’è già stata una cooperazione con una scuola belga. Gli insegnanti (tre ragazzi) ci invitano alla terza colazione della mattina che però rifiutiamo perché siamo strasatolli, passiamo una ventina di minuti molto piacevoli, ci parlano della difficoltà di insegnare l’arabo in villaggi dove tutti parlano solo berbero con dialetti diversi da villaggio a villaggio anche nella stessa valle e di quanto gli piacerebbe accompagnare i loro allievi all’Isola d’Elba, ci scambiamo gli indirizzi con l’intenzione di sentirci a breve e cosa molto importante per il progetto mi faranno la presentazione in arabo di Base Elba. Ci propongono mille motivi per restare qui, ma il tempo è bello e voglio partire. Andiamo a casa, carichiamo il bagaglio su Segagnana e salutiamo la famiglia con la solita sensazione di lasciare degli affetti importanti, queste persone così povere che ti danno tutto quello che hanno ti insegnano con l’esempio quelli che sono i veri valori nobili per una persona. Appena ripresa la strada principale subito un incontro tra l’epico e il surreale: un gruppo di donne piegate da dei fasci enormi di legna avanzano a passo di marcia verso il paese, sono sommerse dalla legna verde e si vedono soltanto le gambe. Incontriamo persone e situazioni che fino a due giorni fa ci sarebbero sembrate eccezionali, ma che ora ci sembrano quotidiani, come le donne che lavano ai fossi. Man mano che la strada avanza il paesaggio diventa sempre più di montagna con le vette innevate che ormai sembra quasi di toccarle. Saliamo fino quasi a livello della neve, poi scendiamo in una valle ricca d’acqua dove ci sono tanti piccoli villaggi di cui non si riesce a capire né la posizione né il nome. Ormai siamo nel cuore dell’Atlante, il paesaggio è molto simile a quello che mi aspetto di trovare in Tibet: case di pietra e di fango dello stesso colore delle brulle montagne, abitate da persone vestite di colori sgargianti dai visi bruciati dal sole e capre e pecore che pascolano su pendii impossibili. Il villaggio più alto incontrato finora da un’ulteriore svolta al nostro cammino, la strada seppur stretta e praticamente percorsa soltanto da asini e muli è finita, ora inizia la pista, una mulattiera dal fondo rossastro oggi ricoperta di fango per le recenti piogge. Sopra di noi ci sono degli alti picchi maestosi ma instabili da cui vengono giù coti enormi. Saliamo su un poggiolo fuori dalla zona delle frane e qui piazziamo la tenda. È un paesaggio maestoso siamo circondati da alte vette innevate, in basso alcune case di fango e a fondo valle il villaggio principale con la moschea. Appena arrivati un ragazzino incontrato poco prima ci raggiunge e ci invita a andare ad mangiare e dormire a casa sua, poco dopo arriva anche il padre con la stessa offerta, ringrazio ma decido di rimanere qui, il posto è bellissimo anche se so che sicuramente sarebbe stata un’altra serata di grande umanità. Mentre Serena ricovera l’asina e io monto i tiranti alla tenda dalla macchia spuntano due ragazzine incuriosite dalla nostra presenza, anche loro ci invitano a dormire alla loro casa, forse sono le sorelle del bimbo di prima. È ormai notte quando vediamo arrivare le due bimbe con un barattolo di latte appena munto per noi, ringraziamo e ci diamo appuntamento per la colazione domani mattina.