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Mi svegliano le pecore col loro belare, poi suona anche la sveglia delle sette, ma non ho voglia di alzarmi, fa freddo sto proprio bene nel sacco a pelo. Serena mi dice che è una bella giornata e che sono già tutti svegli… mi devo alzare. Appena aperta la porta è entrata Farida, la padrona di casa. Dopo una pisciata sul muro del vicino rientro e trovo una meravigliosa sorpresa: una grande ciotola di legno d’olivo piena di riso in bianco condito con olio d’oliva, è da più di un mese che ho voglia di mangiare riso in bianco e nel posto più inaspettato vengo accontentato. Il posto è bello e affascinante sia per i duuar, piccoli villaggi che compongono Ait Boualli, ricchi di strutture affascinanti, che per l’aspetto paesaggistico con le sue montagne e colline colorate, le frane, gli aspri pendii e le grotte, merita una giornata d’approfondimento. Ci incamminiamo verso monte, incontriamo un paio d’asini e poi due donne che stanno andando sulla montagna a fare la legna, hanno una piccozza ciascuna sulle spalle e due piccozzini nella cintura del vestito, salgono velocissime canticchiando, mostrando una forza straordinaria. Il paesaggio è bellissimo, siamo circondati da friabili montagne rosse, gialle e verdi. Arrivati sulla prima sella finalmente incontriamo la neve, è poco più di una chiazza in una zona d’ombra, ma abbastanza per divertirsi un po’ a camminarci sopra. Siamo avvolti dal silenzio interrotto soltanto dai colpi di piccozza delle donne incontrate prima e dal canto di una bambina che sta scendendo col proprio asino carico di legna, è un canto che viene dal passato, richiama ritmi e riti tribali, è da un paio di giorni che si sentono questi canti provenire dalle montagne e dai viottoli che l’attraversano, canti che sembrano chiedere protezione all’imponenza di questa natura e che fanno compagnia in questa vastità. Gli alberi di leccio e gli arbusti di ginepro sono messi a dura prova dalle capre, ma non demordono e i loro tronchi sono ricoperti da piccole foglie spinose fitte fitte che disegnano forme rotondeggianti a difesa della linfa del tronco. È una terra dura da vivere questa, per gli uomini, per le capre e per le piante, ma anche per le rocce e per i pendii delle montagne messi a dura prova dalle temperature rigide e dall’inclemenza del tempo, ma è anche un luogo di orizzonti ampi, colori cangianti, silenzio e aria pura, dove respirano bene i polmoni e si allargano anche sereni pensieri che spaziano liberi verso gli orizzonti innevati. È impressionante vedere come sia tutto coltivato anche i pendii più alti e rocciosi, dove non è pietra è coltivo e fra le rocce le capre e le pecore, controllate dai pastori che vigilano silenziosi sulla voracità delle loro greggi tenute a bada da fischi e lanci di pietre, in alcuni punti i coltivi sono circondati da barriere di piante spinose a mo’ di rotoli di filo spinato. Saliamo sulla vetta di una montagna friabile per ammirare la valle sottostante da una prospettiva privilegiata e lo spettacolo ripaga la fatica, decine di guglie di terra e pietra di una serie infinita di toni di rosso, ocra, verde e giallo guarniscono le ripide e scarne valli che confluiscono verso il fiume. Il tempo si incupisce, in lontananza si vedono piovaschi e buriane di neve, mentre sopra di noi scende una grandinina rada. Da qui si ha una percezione chiara della vastità dell’Alto Atlante e della grande quantità di neve che contiene, la grande preziosa risorsa del Marocco che ha permesso a questa terra di sviluppare una civiltà plurimillenaria, penso anche a quando tra pochi giorni attraverseremo gli alti passi innevati. Scendiamo attraversando un’altra zona coltivata e poi, dopo aver superato il rudere di quella che credo potesse essere un’antica costruzione militare, saliamo sulla vetta più alta della zona dove complice una momentanea schiarita ci fermiamo un po’ a goderci il sole caldo. Siamo proprio sopra il duuar, circa seicento metri più in alto, è una montagna caratterizzata da forme fantasmagoriche delle rocce, dove spicca un grande arco naturale di pietra e terra sotto il quale ci sono due piccole grotte protette da muri a secco che ricordano i rifugi sotto roccia della montagna elbana. Scendendo verso valle si incontrano delle grandi grotte scavate naturalmente nella roccia ora più compatta, sopra una di queste spiccano due grandi nidi di rapaci simili a quelli del falco pellegrino, ma più grandi, forse nidi di aquile o avvoltoi. Arriviamo in paese insieme alla pioggia, pensavamo di partire nel primo pomeriggio, ma la bellezza del luogo ci ha spinto a camminare tutto il giorno, quindi passeremo un’altra notte a casa Hangun. Scendendo incontriamo il padrone di casa, ci intendiamo con un cenno, prima di rientrare andiamo a comprare qualcosa da mangiare. Il negozio incontrato ieri è chiuso, proseguiamo verso il duuar più a valle, il tempo brutto ha spinto tutti a rientrare in anticipo in paese, incrociamo una bella bimba che sta riportando il suo gregge di pecore all’ovile sotto casa, passiamo sotto un tunnel fatto di travi in legno, sopra il quale è costruita una casa di fango. Troviamo un negozio ma chiuso, chiedo a un bimbo dove si può trovare un negozio aperto e lui mi dice di aspettare, bussa alla porta della casa accanto e dopo pochi minuti esce il padrone del negozio che ci apre con la torcia presa nello zaino perché il temporale ha fatto saltare la corrente. Li chiamano negozi ma sono totalmente diversi da quelli che conosciamo noi, sono come piccole cantine dove c’è accatastata un po’ di roba: sapone, biscotti, lana, farina, scatole di sardine, corde di tutto un po’. Compriamo un po’ di dolci, due chili di pasta e due di riso che qui non vengono venduti in scatola ma ci sono due grossi bidoni aperti tipo quelli che si usavano un tempo a vendemmia, il contenuto viene messo con una sassola dentro dei sacchetti e poi pesato sulla bilancia, da un lato la merce dall’altro i pesi di varia misura, poi viene fatto il conto in franchi, che però non esistono, e convertito in dirham. Fatta la spesa il padrone del negozio ci invita a casa per un the. La casa è una grande sorpresa, all’esterno è fatta di fango e pur essendo molto più grande della “nostra”, non è molto diversa, ma l’interno è molto più lussuoso e curato: le pareti sono tutte dipinte di bianco e celeste e sul pavimento ci sono le piastrelle e c’è una grande sala con bei tappeti e grandi divani e le finestre dai vetri policromi. Ci viene offerto il solito the accompagnato da noci, mandorle, pane, olio, burro e alcuni dolcini che con la fame che ci ritroviamo apprezziamo tanto. Dopo le solite foto coi figli il padrone di casa ci invita a rimanere a dormire lì, ringraziamo, ma spieghiamo che siamo già ospiti da un’altra famiglia. trekking intorno al mondoTutta questa ospitalità verso sconosciuti mi fa venire spesso in mente la traversata in canoa dall’Elba a Roma fatta in compagnia di Elias pochi giorni prima di partire, durante la quale siamo stati fermati più volte dai carabinieri accusati di vagabondaggio e ogni volta che abbiamo cercato alloggio in albergo i proprietari hanno sempre voluto essere pagati in anticipo e qualche volta non ci hanno nemmeno voluto accogliere, chiaramente sempre a pagamento e dietro presentazione di documenti. In particolare mi viene spontaneo il raffronto con l’arrivo a Roma quando tutti gli alberghi dicevano di essere completi e se non era per Serena che era venuta a Roma che a un certo punto è andata da sola a prenotare una camera anche per noi, ci toccava dormire fuori col rischio di essere arrestati per vagabondaggio.
Rientriamo a casa con tutta la famiglia che ci sta aspettando, le donne di casa fanno una grande festa alla pasta e al riso. Ci spostiamo nella casa del fratello e facciamo la seconda merenda con the e uova al pomodoro, facciamo conoscenza anche con la nonna, è una situazione stranissima per essere qui in Marocco, sono l’unico uomo in mezzo a tante donne, sono tutte di buon umore, anche Farida che sta allattando con molta naturalezza la piccola Aziza. Fatima, la padrona di casa, anche per il fatto che il marito è spesso fuori a lavorare, rispetto a tante donne incontrate è molto più emancipata, vuole che la seguiamo con la macchina fotografica e ci porta a vedere il tesoro di famiglia: è una vacca incinta, ce la mostra con grande orgoglio e noi e tutta la famiglia ci facciamo le foto con la mucca. La grande stalla che ospita la mucca, il ciuco, le galline e le pecore di famiglia sarà anche per questa notte la casa di Segagnana che se la sta passando proprio alla grande. Torniamo alla nostra base, tutti vogliono vedere le foto, quindi le scarichiamo nel computer e facciamo l’ormai rituale proiezione. Sono tutti interessati alle foto fatte in giornata e ci insegnano i nomi di tante località, ma le foto che interessano di più chiaramente sono quelle con le persone di casa.
Regaliamo una penna a ogni bimbo e su un foglio scrivo in italiano i nostri nomi e i loro chiedendo di scriverli in arabo, è bello vedere quanta gratitudine e interesse ci siano per una semplice penna e un foglio di carta e quanto impegno ci sia nello scrivere e nell’imparare e poi sono molto orgoglioso di aver imparato a scrivere qualcosa in arabo (copiando). Arriva anche uno zio, anche lui vuole le foto, poi vengono fuori vecchie foto di famiglia, fotografo anche queste e le scarico nel computer così facciamo anche la proiezione delle vecchie foto di famiglia. Prometto una volta arrivato a Beni Mellal di stampare tutto e inviarlo per posta qui. È tardi e tutti hanno sonno anche noi e poi non ho né sistemato le foto né scritto niente, ma ci trasferiamo nuovamente nell’altra casa per la seconda cena, tajine davanti alla televisione…