Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

 

Dal Nilo al Golfo di Aqaba
Lo stradone risale dritto l’Egitto, in alcuni tratti il deserto diventa più chiaro e riflette la luce delle stelle facendo intravedere le sue sagome sinuose, come da prassi il pullman avanza a fari spenti. Lasciamo la strada principale e prendiamo una deviazione per Asyut, la città che si sviluppa sulla sponda occidentale del Nilo famosa per essere uno dei centri Egiziani in cui l’integralismo islamico è più forte. Asyut fino a centocinquant’anni fa era la sede del più grande mercato di schiavi d’Egitto e anche il punto di arrivo della famosa Darb al-Arba’een, la via carovaniera dei quaranta giorni proveniente dal profondo Sudan. La notte viene accesa da un grosso complesso illuminato da tante luci che si riflettono e si spandono dentro nuvole di polvere creando un’ambientazione diabolica, che poi si rivela essere un enorme cementificio, passiamo una mezz’ora sgradevole partecipando a una folle gara fra il pullman e dei camion che dura fino all’ingresso nel centro abitato, dove si iniziano a vedere i canali secondari del Nilo. Ci fermiamo in una stazione per bus buia e malconcia dove facciamo rifornimento di gasolio, pochi minuti e si riparte ripercorrendo la stessa via fino a ritornare sullo stradone principale, la corsa a fari spendi riprende spedita nella notte, finché l’aurora ci svela un deserto color cammello da cui poco dopo sorge un sole gigante. La strada recente è ben fatta, avanza sempre dritta nel deserto che ora è diventato di roccia, una bolla di smog all’orizzonte ci annuncia che ci stiamo avvicinando alla terribile periferia del Cairo. L’agglomerato sta invadendo il deserto con discariche, baraccopoli e palazzine orrende, senza gradualità ci si trova dal deserto ad essere inglobati nel traffico urbano, le palazzine appiccicate le une alle altre si perdono nella nebbia di veleno che avvolge tutto. Non riesco ad immaginarmi una cosa più simile all’inferno, della periferia del Cairo, un luogo perfetto per coltivare l’abbrutimento dell’essere umano, questo posto è un crimine contro l’umanità, non è accettabile far nascere e crescere milioni di bimbi in questo schifo di puzzo e cemento sovrastato da grandi cartelloni pubblicitari. Un sotto passaggio ci inghiotte e quando si esce ci ritroviamo davanti alla modernissima bus station, le porte a vetri automatiche si aprono e ci si trova dentro una grande e asettica hall silenziosa e pulitissima dove tutti, dai poliziotti ai camerieri, ai numerossissimi adetti alla pulizie, sembrano delle comparse. Per andare ai pullman si prende una scala mobile che scende al vero garage della “truman show station” dove la fortuna ci assiste e in pochi minuti siamo già sul bus che sta partendo per Nuweiba, una cittadina egiziana affacciata sul Golfo di Aqaba, da dove prenderemo il traghetto per il porto di Aqaba in Giordania. Ci vuole più di un’ora per lasciare il taffico del Cairo, il pullman è mezzo vuoto e c’è anche qualche turista indipendente diretto nella regione del Sinai, mi aspettavo di rivedere il canale di Suez dal ponte che lo attraversa e invece passiamo sotto al tunnel “Ahmed Hamdi”con i suggestivi cartelli che indicano la profondità. Sbuchiamo nella penisola e iniziano i tanti posti di blocco dei militari, dove ogni volta ci controllano i passaporti, la via attraversa il Sinai dall’interno, è un deserto di roccia brullo e gli unici arbusti che si vedono sono delle rare acacie, ogni tanto dal nulla spunta qualche piccolo villaggio di baracche. Superiamo un paio di piccolissimi villaggi di cubi di cemento grigi dove l’unico edificio colorato è la moschea e poi ci fermiamo per la pausa pranzo nei pressi di Nakhl che è un insediamento piccolo ma importante perché qui si incrocia la strada (controllata da un blindatissimo posto di blocco) che salendo verso nord conduce a Al-Arish sul mediterraneo. Sul pullman ci sono anche due americani, i classici yankee pallidi, biondicci e grassi, che si fanno “spennare” compiacevolmente dal ristoratore, che col dollaro nell’occhio anche da noi pretende uno sproposito per un quarto di pollo mummificato, naturalmente pago il giusto, parte una sceneggiata di una ventina di minuti, il più insistente è l’autista che voleva la sua tangente sul pollo poi, anche per le proteste degli altri viaggiatori, si riparte fra i moccoli  dell’autiere. La monotonia del paesaggio è interrotta da un aeroporto che come una visione appare dal niente, ci sono tanti aerei civili e militari, poi ritorna ad essere un altopiano di deserto roccioso, finché cominciamo a vedere delle belle montagne rossastre. La strada inizia a scendere sinuosa dentro delle strette gole che regalano paesaggi suggestivi ed arcigni, senza rendercene conto eravamo saliti tanto, la discesa dentro questi stretti e spettacolari canyon colorati continua ripida finché non ritroviamo il mare, siamo sulla sponda egiziana del golfo di Aqaba. Nuweiba, la nostra meta, è a una sessantina di chilometri da qui in direzione sud, prima però si prosegue verso nord in direzione di Taba, ultimo insediamento in territorio Egiziano prima del confine Israeliano. Meglio, così ci vediamo questo tratto di costa dove si trova anche la famosa Isola del Faraone, un piccolo isolotto vicino a riva quasi interamente occupato da una fortezza che fu costruita dai crociati all’inizio del XII secolo e successivamente ampliata dal famoso Salah ad-Din, dalla quale sventola una grande bandiera Egiziana. Ancora costa rovinata dal cemento e poi si arriva a Taba dove scendono quasi tutti, ripassiamo davanti all’Isola del Faraone e lo spettacolo triste di una costa devastata dal cemento, che si affaccia su un mare dai colori veramente belli, la maggior parte delle strutture sono incompiute e tante danno l’idea di essere abbandonate. La situazione di grande degrado sul lato mare della strada è amplificata dagli scarnai e malandati villaggi beduini a monte della via. Nei pochi punti che sono scampati al cemento il paesaggio di una bellezza angosciante, regala grandi suggestioni, con le montagne ripide e brulle che si spengono nel turchese del mare, e comunque subisco il fascino di trovarmi “dentro la Bibbia” e quello di essere in una delle zone geopoliticamente più importanti del mondo. Sul pullman siamo rimasti noi, i due yankee e un paio di egiziani, arrivati a Nuweiba porto l’autiere tangentista ci vuole scaricare in un albergo dicendo che è l’unico posto dove gli stranieri possono dormire, gli americani abboccano, noi si prosegue fino al porto, al tranviere l’idea di non beccare nemmeno un pound da noi non va proprio giù, e si propone di procurarci un taxi per andare in un campeggio, perché il porto è “dangerous”. Ignorando  le sue cazzate prendiamo gli zaini e ci avviamo, mentre “tangente” mi saluta in arabo ma suona proprio come un vaffanculo. L’idea è di andare nella zona di Tarabin, a una quindicina di chilometri da qui, dove ci sono i campeggi, ci si ferma al bar del porto a prendere un the e poi dopo le immancabili trattative un pik up ci accompagna a Tarabin. La zona sembra in gran parte abbandonata, entriamo in un campeggio e ci troviamo Abdallah, egiziano che ci dice di aver vissuto trent’anni in italia. È un gran bel posto e anche economico, ci fermiamo. Il sole al tramonto illumina le montagne arcigne dell’Arabia mentre tramonta dietro le vette ancora più aspre del Sinai. Ci piazziamo nella capanna e si ritrova il norvegese incontrato a Mut che da un anno viaggia in moto. Nel frattempo è arrivato un pescatore che ha regalato un po’ di triglie ad Abdallah il quale ci invita a cena ingaggiandoci come cuochi, Serena prepara un eccellente spaghetto con le triglie, che dopo mesi di alimentazione sahariana sono la realizzazione di un sogno proibito. Il posto è molto bello e la voglia di fare il bagno è tanta e nonostante la stanchezza, Serena sta meglio, quindi decidiamo che domani ci fermiamo qui. Nel campeggio oltre al proprietario e noi c’è solo una tedesca. Abdallah mi spiega che qui lavoravano prevalentemente con gli israeliani, poi le vicende politiche degli ultimi tempi hanno bloccato questo flusso, ora stanno aspettando con grande ansia il viaggio di Obama in Egitto nella speranza di una distensione politica che riporti in questi lidi i turisti della nazione confinante. Tarabin è un villaggio beduino e in tarda serata diversi ragazzi vengono verso il mare, mi spiegano che vengono al mare per dormire perché pur avendo le loro case, i ragazzi dall’adolescanza fino a quando non si sposano non dormono mai in casa, ma in giro e di solito specialmente in estate, sulla spiaggia.