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Le Piramidi Proibite di Abu Sir
Si parte presto, il solito avvicinamento a Giza e poi i pulmini, con un po’ di difficoltà ci facciamo scendere al villaggio di Abu Sir “Ahramat Abu Sir” insisto, mi vogliono portare a “Ahramat Saqqara” del resto oltre a Giza è quello il sito dove i turisti vanno a vedere le piramidi. Abu Sir è chiuso alle visite, comunque nonostante la perplessità di autiere e passeggeri si scende all’incrocio per il villaggio di Abu Sir. La via cammina dritta fiancheggiata da campi coltivati e canali, l’umidità della mattina si dirada e viene fuori il verde acceso dei campi di erba medica, lungo la via si cammina controcorrente al flusso della gente che a dorso d’asino o sui carretti sta andando a lavoro nei coltivi portandosi dietro bufali e pecore. Uomini, donne, anziani e bambini, il lavoro della campagna non fa distinzione di sesso e di età, mi colpisce un carro condotto da una giovane  mamma, è tutta vestita di nero con dei grandi orecchini d’oro a forma di cerchio, fieramente al comando di un carro che sembra una casa viaggiante, a bordo con la mamma tre bimbi, il più piccolo la donna lo tiene in braccio imbacuccato dentro una coperta, mentre tiene le briglie, dietro domina una grande tinozza di latta piena di panni da lavare al canale, è un’immagine tzigana, il rimorchio è tirato da due asini, con un mulo legato a fianco e dietro a traino tre grandi bufale legate per le corna. Anche il carro è particolare, di solito le ruote sono pneumatici di auto o furgone, questo invece ha delle ruote piccole e strette, i cerchi sono massicci con i raggi di ferro e le gomme piene sembrano risalire al primo periodo coloniale, è strano anche l’asse che è montato su gigantesche balestre che nell’insieme gli donano eleganza e originalità. Sfilano mentre si entra nel villaggio, dove un venditore di minestra col suo carretto colorato, si prepara alla siesta, i due contenitori di latta a forma di anfora panciuta vengono chiusi con il coperchio, ormai gli uomini sono tutti nei campi e minestra fino a stasera non se ne vende più. C’è un piccolo souk fra il ponte e la via polverosa dove si vende soprattutto frutta e verdura, banane, aranci e pomodori la fanno da padroni, insieme ai cavoli che sono sempre più grossi. Qui stranieri ce ne viene pochi lo si capisce bene dalle occhiate e dal brusio che segue il nostro passaggio, che però viene sormontato dalle voci cantilenanti di un coro di bimbi, le seguo e mi trovo in una piccola scuola Coranica, che poi è il cortile inteno di una casa. Il maestro mi sorride e mi invita ad entrare, mi spiega che stanno imparando a memoria alcuni versi del Corano che inneggiano ad Allah ed a Mohammed, il suo profeta. Litania che i bimbi ripetono a sguarciagola chiudendo gli occhi dal tanto impegno, è un concetto di scuola arcaico ma la realtà è che questa è l’unica scuola che ho visto nel villaggio. Qualcuno guarda con sospetto e un tipo con una faccia da cinese si arrabbia con me perché faccio le foto, dicendo che questo non è posto per stranieri. In uno slargo c’è una discarica e ci sono dei bimbi che lavorano nella spazzatura riempiendo sacchi che ripongono su un rimorchio, c’è anche un piccolo capellone biondo che sembra il classico tedeschino che viene in vacanza all’Elba, chissà quale è la sua storia, di certo è povero e sporco come i suoi amici dalla pelle scura e come loro meriterebbe qualcosa di meglio da questo mondo. Dagli stretti vicoli del villaggio le donne passano portando pesanti carichi sulla testa, dai panni, alle casse di verdura, ai pentoloni, agli scaldabagni, è un labirinto sempre più stretto, il deserto è vicino ma sembra impossibile arrivarci. Ormai siamo tanti, la nostra presenza ha richiamato gente e cammino insieme ad una fiumana di bimbi festanti, a poco a poco anche le donne furtivamente, come se stessero facendo qualcosa di proibito, escono dalle case per vedere le foto dal visorino della camera, qualcuna mi porta anche i neonati per fargli le foto, sempre in queste situazioni viene forte il desiderio di avere una stampante portatile per regalare le foto e prima o poi devo trovare una soluzione, mi fa rabbia pensare a quanto si potrebbe fare con i tanti oggetti inutilizzati che giacciono dimenticati nelle “nostre” case. Si avvicina energica un’anziana signora tutta vestita di nero, ridendo ci chiede se ci siamo persi e poi prende a braccetto Serena e ci invita a casa sua, a fatica si declina però ci accompagna fino alla fine del villaggio dove il cimitero attuale incontra il deserto. Fa impressione vedere queste semplici sepolture al cospetto delle grandi piramidi sullo sfondo e anche le tombe antiche scavate nella roccia retrostante che sono oggi adibite a stalle. La signora ci saluta insistendo sul fatto che le piramidi da visitare sono dall’altro lato e indica ripetutamente la Piramide a gradoni di Zoser, con noi ci sono due ragazzini  aspiranti baschisciai, passiamo da una piccola oasi e poi entriamo nel deserto in direzione delle le tre piramidi di Abu Sir, che sono la parte più evidente di questo importante sito che è chiuso alle visite. Questo tratto di deserto è un luogo magico che ogni volta suscita meraviglia, con le impressionanti sagome delle piramidi che si susseguono da Dahshur a Giza. I bimbi sono depistati, speravano di accompagnarci verso Saqqara e invece io vado verso Abu Sir e passando dal deserto per evitare di incontrare poliziotti che sicuramente ci impedirebbero di raggiungere il sito interdetto alle visite. I due Mohammed cercano in tutti i modi di farci tornare indietro “no, no, Police Police, cobra, sciacalli” si inventano le peggio sciagure naturalmente  accompagante da espressioni disperate. Dopo un’oretta di cammino le piramidi sono vicine e si iniziano a vedere i resti delle strutture di questa grande antica necropoli dove si concentrano le principali sepolture della quinta dinastia, in lontananza lato deserto c’è una postazione di polizia e a metà strada, tra loro e noi, una squadra di operai che sta lavorando su uno scavo, uno di questi operai ci avvista e ci viene incontro, subito si offre come guida poi comincia a minacciare di chiamare la polizia se non lo paghiamo, insiste un po’ ma poi si stufa e fra moccoli e minacce se ne torna indietro. Man mano che ci si avvicina le tre Piramidi principali vengono fuori in tutta la loro imponenza e tutto intorno aumentano i reperti in pietra e in mattone crudo. La prima grande struttura che si incontra sono i resti della piramide di Raneferef (2448- 2445 a.c.) più che una piramide sembra una grande fossa in pietra, in effetti questa piramide non fu mai terminata e alla morte del faraone fu chiusa, i lavori vennero interrotti e fu chiusa come una mastaba, però è interessante perché si intuisce molto bene la pianta e come era la struttura interna di una piramide, che in pratica era una grande tomba in pietra sotterranea su cui poi veniva costruita la piramide vera e propria, purtroppo l’interno è intasato di sabbia e spazzatura. Camminando a fianco delle tre piramidi principali si scorgono i resti di templi e altre piramidi ormai ridotte a cumuli di sassi e sabbia seminascosti dalle dune, la più evidente delle quali dovrebbe essere quella della regina  Khentkaves II una delle mogli del faraone Neferirkara e mamma dei successori al trono Raneferef e Niusera. Anche le tre piramidi principali viste da vicino sono molto rovinate e pur rimanendo maestose, perdono di geometria e plasticità e assumono la foma di grandi dune di pietra e sabbia. Siamo arrivati da sud, le fiancheggiamo e ci spostiamo sul lato est davanti alla piramide di Sahura (2487-2475 a.c.) Sahura è stato il primo Faraone della quinta dinastia ad essere sepolto ad Abu Sir, in origine questa piramide era alta 50 metri ma oggi è almeno una decina di metri più bassa. Dal regno di Cheope a quello di Sahura era passato meno di un secolo ma tante cose erano cambiate, il potere del Faraone non era più assoluto, a partire da Micerino i sovrani avevano cominciato a delegare il potere e i burocrati erano diventati sempre più importanti nella gestione dello stato, il potere da essere tutto nelle mani del sovrano era stato diviso fra i vari funzionari e anche la ricchezza era più frammentata, di conseguenza i Faraoni non avevano più il potere e le risorse per far costruire Piramidi grandiose come quelle di Giza o quelle ancora più antiche di Snefru a Dahshur e Zoser a Saqqara. Davanti a questa Piramide l’area cerimoniale è ancora ben conservata, ci sono tracce di scavi importanti e si vede bene che anche i restauri sono stati fatti in previsione di un afflusso turistico che non è mai iniziato, ora tutto è fermo e la sabbia sta ricoprendo i grandi lastroni che pavimentavano l’area sacra. Siamo stati avvistati da due uomini che ci vengono incontro dicendoci che sono i guardiani e che bisogna andare via subito altrimenti loro devono chiamare la polizia, ma si capisce che con un baschish si risolve tutto, in realtà non gli pare il vero che qualcuno passi di qui per rimediare qualche pound, sicuramente la gente del villaggio sperava nell’apertura turistica del sito, che la biglietteria ai margini del deserto faceva presumere imminente, ma per il momento è tutto fermo. I due guardiani che sicuramente speravano di rimediare qualcosa di più se ne vanno verso il villaggio e noi si rimane “padroni delle Piramidi” egoisticamente è molto più bello così, avvolti nel grande fascino del silenzio con la piacevole sensazione di sentirsi esploratori, lo sfondo di queste piramidi semi sepolte dalla sabbia e i resti di colonne e obelischi richiamano le immagini dipinte da David Robert e dei primi cronisti dell’egittologia che raccontavano le loro incredibili scoperte. Ci sono ancora grandi zone pavimentate con grandi lastre scure di basalto, dove sono inserite le basi di grandi colonne di pietra bianca i cui mastodontici resti sono sparsi tutt’intorno, molto bella è la base di un obelisco in granito lucidato dove sono incisi profondamente geroglifici e cartigli e poi bassorilievi di stelle su travi e lastroni che dovevano essere la copertura dei templi. Fra i tanti resti due colonne in granito rosa a forma di papiro, intatte ancora in piedi e poi dei grandi blocchi di granito rosso ancora da lavorare, con incise le formelle sulla linea della tagliata, in tutto simili a quelle che si vedono nei graniti lavorati dagli antichi romani nei siti Elbani fra Moncione, Castancoli e Cavoli (Riva Glauca).      
L’area è molto grande e ricca di colonne e blocchi con bassorilievi con ancora qualche traccia dei vivaci colori originali, scavalcando un muro fra grandi blocchi si incontra quella che sembra un importante mastaba, ormai è a cielo aperto e al suo interno ci sono due grandi sarcofaghi, poco più avanti chiuso da un cancellino senza lucchetto il tunnel per accedere alla camera mortuaria, è uno scivolo ripido e stretto come un tubo quadrato costruito con grandi blocchi di pietra, ci entro al volo sentendomi tutto indiana jones ma lo stile della discesa è molto a rospo incrocchiato. La galleria  scende dritta nella stanza dove alloggiano i due grandi sarcofaghi che sono ricavati da monoblocchi, il più grande è chiuso da un massiccio coperchio ancora integro, l’altro si vede che è stato rotto per cercare i tesori della mummia, i due manufatti sono così lisci e perfetti che sembrano tagliati con il laser. Lasciata la zona ci spostiamo verso nord dove c’è l’ingresso della piramide di Sahura, i “guardiani” sono sempre in zona, al limite dell’area verde del delta che è molto vicina e bisogna sempre essere sul chi va là. Il cancello che ostruisce l’ingresso della piramide è aperto ma si cammina poco, una ventina di metri e poi un altro cancello questa volta chiuso, che ci obbliga a tornare indietro, è però sempre suggestivo muoversi in questi camminamenti bui. Ho la sensazione di essere osservato e almeno per il momento è meglio allontanarsi dalle Piramidi, spostandosi verso nord ovest le tre piramidi principali si vedono ancora meglio, la più grande e meglio conservata è la terza, quella di Neferirkara (2475 -2455 a.c.) fratello di Sahura e suo successore, assomiglia a quella a gradoni di Zoser ma perché è crollato tutto il rivestimento, infatti a quanto dicono gli archeologi che hanno studiato il sito, in origine questa piramide era alta settantadue metri mentre oggi arriva a una quarantacinquina di metri. Fra le due Piramidi dei fratelli c’è quella di Niuserra il figlio di Neferirkara che regnò come faraone dal 2445 al 2421 a.c. rispetto alle altre è ridotta molto peggio e nella calura del primo pomeriggio sembra una medusa in secco che scoglie al sole, ma anche questa in origine era alta cinquanta metri. Andando avanti si incontra una tettoia piantata nel nulla, sotto la sabbia però suona il vuoto, evidentemente sotto c’è qualcosa, spostandosi di pochi metri tanti resti di mura e lastre, forse sono i resti di uno dei templi solari di Abu Ghorab che erano dedicati a Ra il Dio sole, tutt’intorno migliaia di cocci e tanti resti di ossa umane e sullo sfondo a nord  la maestosità di Giza. Ritorniano brevemente al sito di Abu Sir ma solo per vedere che l’ingresso della piramide di Neferirkara è chiuso da una cancellata e intorno ci sono grandi cumuli di spazzatura. Si cammina verso Sud in direzione di Saqqara in questo deserto, millenario cimitero, che confina con il verde del delta del Nilo, dove ad ogni passo si incontrano tracce del passato, mentre dalla distesa sabbiosa imponenti riemergono anche le piramidi di Dahshur. Avvicinandosi a Saqqara ci sono tanti siti chiusi alle visite controllati dai poliziotti, fra cui il Serapeo, la necropoli sotterranea dove venivano conservati dentro giganteschi sarcofaghi, i corpi mummificati dei tori Api, che venivano venerati come animali sacri. È però aperta la grande Mastaba di Ti, i poliziotti di guardia, dromedario e mitra, fanno gli splendidi, ridono e ci pigliano in giro perché stiamo arrivando a piedi dal deserto, ci trattano da poveracci “no possibile. Ticket” ride il ciccio guardiano capo, ma lo frego mostrandogli il biglietto fatto a Saqqara l’altra settimana, in tre o quattro fanno finta di controllarlo, ma non si accorgono dell’inganno, così gli va a monte tutta la pantomima che stavano mettendo su per farci visitare la tomba dietro pagamento. Quindi si entra nella Mastaba, scoperta come il Serapeo da Auguste Mariette, si scende nel sottosuolo, c’è anche qui un cunicolo prima inclinato poi rettilineo che porta alla camera di sepoltura con il sarcofago, dove a fianco c’è una tipa strana che sembra in trance, risalendo si entra nelle parte decorata che è formata da più stanze tutte dipinte e ricoperte da centinaia di figure. Ti sopranomminato il ricco, era il funzionario responsabile delle Piramidi e dei templi solari di Abu Sir ai tempi della quinta dinastia, il ricco padrone di casa è raffigurato più volte spesso insieme alla moglie con un’autorità che sembra un Faraone, le tante stanze sono tutte ricoperte di bassorilievi e dipinti, ci sono raffigurate grandi barche, scene di pesca e di caccia, alcune stanze hanno le alte pareti interamente ricoperte da centinaia di uomini che portano offerte di ogni tipo e poi ci sono decine di scene di vita quotidiana che hanno aiutato tantissimo gli studiosi a capire come vivevano gli Egizi quattromila cinquecento anni fa. Ci sono scene di pescatori che calano le reti che si devono difendere da ippopotami e coccodrilli, fabbri che lavorano grandi sbarre di ferro con lunghe tenaglie su cui si siedono per piegarle e forme dove i ferri caldi vengono piegati, ci sono anche i vasai e i falegnami che hanno anche i trapani, la qualità e il realismo delle scene è entusiasmante e sembra veramente di tornare indietro di migliaia di anni. Peccato che dopo poco arriva il solito guardiano a chiedere bashish e a dire che è ora di chiusura, che rovina l’atmosfera e mi spinge ad uscire da questo luogo eccezionale. Poco più avanti si incontra il cosiddetto Emiciclo dei Filosofi, una serie di statue volute da Tolomeo I per onorare la memoria di insigni studiosi greci tra cui Platone, Talete e Omero, le statue sono ridotte molto male e giacciono sotto una soletta di cemento tristemente ignorate da tutti, con ai piedi un letto di spazzatura, fa strano ma pur risalendo a più di duemilatrecento anni fa, in questo contesto sembra roba recente, quasi contemporanea. Avvicinandosi alla grande piramide di Zoser passiamo sopra un cumulo di ossa da cui emerge un teschio perfettamente integro, dalla strada nei pressi passa un pullman che alza un gran polverone, siamo tornati nella zona dove si concentrano le visite turistiche. Passiamo a fianco della piramide di Userkaf e poi ci dirigiamo verso la piramide di Teti, dove ci sono parcheggiati diversi pullman che arrivano fino a qui per far visitare la Grande Mastaba di Mereruka che in parte è attrezzata per la fruizione turistica. Ci infiliamo dentro fra i gruppi di americani e francesi che la stanno visitando, questa è la più grande tomba che un funzionario dell’antico regno abbia mai avuto e comprende ben trentadue stanze. Mereruka era il sovrintendente dei sacerdoti durante il regno di Teti e il suo potere era secondo solo al Faraone, il “vice premier”  tra l’altro era anche imparentato con il sovrano, infatti la sua moglie Seshsehat era figlia di Teti. Nonostante il gran numero di visitatori è un luogo stupendo, con meraviglie da tutte le parti, anche nella stanza dei guardiani e anche nelle stanze che rimangono fuori dal giro turistico e che sono usate come cessi, ci sono incredibili bassorilievi dipindi alle pareti. Uscendo ci sono altre mastaba in zona ma sono tutte chiuse e poi ormai è l’orario di chiusura del sito, i turisti si sono come volatilizzati e tutti vogliono andare via. Appena più a est c’è la piramide di Teti, il primo faraone della VI dinastia che regnò dal 2345 al 2323 a.c. la Piramide all’esterno è piuttosto mal ridotta, ma l’ingresso è ben conservato e visitabile, il custode dice che ormai è ora di chiusura ma poi con la promessa di una visita toccata e fuga ci fa entrare, la discenderia è ripida e lunga una ventina di metri che poi diventa uno stretto cunicolo rettilineo, per fortuna breve che finice in un ampia stanza con uno spettacolare soffitto a v rovesciata costruito con grandi lastroni dalla precisione millimetrica. Da qui a sinistra si accede a una camera scarna, con poche incisioni, mentre a destra c’è l’apertura per la camera sepolcrale del faraone, la grande parete nera è tutta incisa con centinaia di geroglifici che recitavano le formule magiche, che avrebbero permesso al faraone di vivere in eterno, entrando nella camera mortuaria che ha il soffitto tutto ricoperto di stelle, si vede il grande sarcofago in basalto nero splendidamente conservato e anch’esso ricco di incisioni, è veramente emozionante essere qui dentro da soli, la magia è rotta dalle urla del guardiano che si lamenta perché vuole chiudere, si torna in superficie che non c’è più nessuno, il guardiano che poi non è così arrabbiato, chiude i lucchetti e i chiavistelli e si avvia verso il villaggio. È ormai chiuso, sfruttiamo questa inaspettata libertà per girare fra le piramidi secondarie, le grandi strade lastricate e gli infiniti reperti che sbucano da tutte le parti, c’è una piccola piramide con la parte superiore completamente crollata, nella vastità del sito è quasi invisibile eppure da dentro è enorme, con i blocchi di svariate tonnellate perfettamente combacianti che si chiudono sopra il cunicolo del sepolcro che è inaccessibile perché completamente invaso dalla spazzatura. Si continua a camminare verso sud in direzione della Piramide di Pepi I ma ormai si sta facendo buio e bisogna rientrare, domani comunque si torna per completare la visita. Ormai mi sembra di essere di casa e scendo ripassando dal viottolo che usano gli abitanti del villaggio ai margini dello scavo di Saqqara, sulla strada si rincontrano le carovane delle bufale che rientrano e si ritrovano i bimbi incontrati nella zona delle barche solari l’altra settimana con cui si scherza un po’ mentre si cammina. Poi veniamo affiancati da due poliziotti a bordo di una 405 che ci chiedono i documenti e ci fanno salire a bordo, provo a declinare l’invito ma il capoccia, un ciccione con la pistola seduto a fianco del conducente, mi fa cenno di no, dicendo che è pericoloso. Ci portano fino alla strada principale dove, dopo un po’ di tentativi vani, riescono a fermare un pulmino e dopo una trattativa con l’autista, che prevede un supplemento per il poliziotto, ci fa salire sul mezzo che è guidato da un ragazzino schizzato che guida come un disperato, con cui rischiamo più volte il patatrac. Spesso io venivo accusato di guidare cinghio come se facessi i rally, ma a confronto di questo andavo al rallentatore. Il traffico è rallentato anche perché stanno gettando le grandi travi della strada sopraelevata nei pressi del quartiere di Giza, è un cantiere che non si ferma mai nemmeno di notte, gli operai che armano gli enormi piloni con gabbie di ferro costruite con grandi tondini zigrinati sopra alti ponteggi, sembrano formiche illuminate dai riflettori delle ruspe e delle betoniere. Dopo il solito ultimo tratto ancora più delirante, ci prendiamo l`ormai classico frullato di frutta e poi si rientra.

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