CategoryFebbraio 2009

Mercoled?¨ 18 febbraio 2009 Il Cairo – Egitto

 

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La preghiera postale

Oggi pausa tecnica, c’è da spedire un po’ di roba a casa, guide, libri e dvd per alleggerire il bagaglio. Si va alla posta centrale, è tutto più semplice del previsto e anche divertente con il funzionario censore che fa finta di leggere i libri da spedire, si riempie la scatola e si nastra, poi si passa al nastratore scheggia che chiude e supervisiona tutti i pacchi prima della pesa, a questo punto l’addetto alla riscossione va via per fare le abluzioni, dopo qualche minuto torna poi stende il tappeto e inizia a pregare insieme ad altre pesone, dopo una quindicina di minuti riprende il lavoro mentre altre persone si alternano sul tappeto della preghiera. C’è gente di tante nazioni in questo ufficio, fra cui uno studente del Mali della famosa scuola coranica di Al-Azhar, come sta scritto in inglese sul foglio prestampato applicato al grande scatolone di libri religiosi che sta mandando ad una scuola in Mali; e una minuta ragazza giapponese che sta spedendo un pacco con l’indirizzo in caratteri arabi e ideogrammi giapponesi. Si ritorna al Cafè Kunst Gallery per lavorare con la wi-fi, è un posto bello, ritrovo di artisti e studiosi, con tanti quadri alle pareti e sottofondo di musica classica. In serata mi mangio un fitir un dolce egiziano, in pratica una sfoglia sottile piena di burro che scatena una reazione devastante.
 

   

Marted?¨ 17 febbraio 2009 Dahshur ‚Äì Egitto

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Il treno per la città dei morti
Per andare a vedere le piramidi di Dashur la soluzione migliore sembra quella di prendere il treno fino a Al-Badrashein e poi un minibus per Dahshur. Alla stazione Ramses arriva il treno di terza classe, c’è tanta folla la gente si lancia sulle porte con il treno ancora in movimento, è tutto uno spingere per scendere e salire, è un delirio di spinte e urla, in tanti si infilano nel treno entrando dai finestrini senza vetri per accaparrarsi i posti a sedere. Riusciamo ad entrare e dopo poco minuti il locomotore parte, il convoglio avanza lento, è strapieno, lezzo e puzza di piscio, i bigliettai che avanzano a spintoni ci ignorano e la gente ci guarda male, non ci vorrebbero nel vagone  “solo arab, solo arab” continuano a dirci. Il treno è un locale ma non si ferma a Al-Badrashein, vediamo scorrere le piramidi di Saqqara, la maggior parte della gente è tutta seduta in terra vorrei scendere ma le porte sono ostruite dalle tante persone ammassate. Un paio di tipi gentili mi aiutano a cambiare vagone e quando il treno rallenta fino a fermarsi si scende  saltando in mezzo ai binari. Questi sono i treni che i turisti non devono prendere perché il governo non vuole far vedere queste ferrovie degradate che fermano nei paesi senza stazione. Siamo a Al-Hai piccola cittadina ai margini della grande oasi di Al-Fayoum considerata il fulcro dei movimenti integralisti islamici più rilevanti dell’Egitto. Il binario è una discarica e anche intorno la spazzatura non manca, solo ora mentre guardo il treno che riparte mi rendo conto che c’è un sacco di gente anche all’esterno, abbarbicata alla meglio fra i vagoni. Il centro del paese è diviso dalla ferrovia e si vende pesce sui binari, nei cestoni ce ne sono diversi tipi, i più numerosi sono i pesci gatto scuri e viscidi come le anguille. Finalmente il vero Egitto, vie sterrate e fangose fiancheggiate dai colori e i profumi delle merci più disparate che pittoreschi venditori cercano di vendere declamandone l’eccezionalità, stiamo catalizzando l’attenzione di tutti, nonostante le tante notizie allarmanti non c’è nessun sentore di ostilità, anzi c’è solo curiosità e gentilezza. Per ritornare nella zona delle Piramidi di Dahshur prendiamo un puk puk “gli apini taxi” che coprono tragitti urbani, ripassiamo sopra la ferrovia mercato e ci fermiamo al parcheggio dei pulmini dove se ne prende uno che ci porterà fino a Al-Badrashein. La strada scorre nel verde meraviglia che fiancheggia il Nilo che brulica di vita, ibis e aironi punteggiano di bianco i coltivi dove gruppi di contadini avanzano nei campi zappando la terra scura di limo. Sembrano in divisa tutti con le camice scure, i pantaloni arrotolati alle caviglie e i piedi scalzi, è il lavoro duro e rituale della campagna, di questa meraviglia possibile grazie al Nilo e ai tanti canali che rendono fertile il deserto, sembra la Libia disegnata sulle  gigantografie della propaganda di Gheddafi. Ci sono asini e mucche e anche tante bufale che mi fanno veni’ voglia di mozzarella. Scendiamo a Al-Badrashein dove troviamo un puk puk che ci carica, l’autista è uno scugnizzo con una sigaretta spenta in bocca che avrà una dozzina d’anni e che lavora insieme al suo “scagnozzo” un bimbo di 6/7 anni. È tutto esaltato dal portare ‘sti tipi anomali e fa il giro di mezzo paese strombazzando a tutto spiano, poi tutto fiero ci scarica al parcheggio dei pulmini, il nostro è il più scassato che abbia visto finora, è tutto marcio e si regge sulle saldature. Qui usa pagare mentre si viaggia passando il pound di mano in mano fino all’autista che mentre guida fa i resti, mentre l’autiere è impegnato a fare i resti rischiamo un frontale con un camion, si sfila per un nulla, dev’esse che le preghiere che suonano sempre nei mangianastri di questi carretti funzionano per davvero. Siamo a Dahshur, cerco un puk puk faccio il segno delle piramidi unendo le mani a triangolo, ci pensa un po’ ma poi si va, si cammina lungo un canale fino ad arrivare all’imbocco di un viale che porta all’ingresso della zona archeologica. Saranno le due del pomeriggio quando si entra, è un posto magico e silenzioso, lasciamo la via e si cammina nella sabbia ondulata, intorno tante piramidi. Siamo nell’antica città dei morti del tempo dei faraoni, che si estendeva per una quarantina di chilometri nel deserto occidentale ai margini delle fertili terre irrigate dal Nilo, in questa area si trovano decine di migliaia di sepolture costruite nel corso di più millenni. Sbucano tracce di reperti ovunque e sicuramente la sabbia nasconde ancora numerosi tesori, sotto un cumulo di eternite si intuisce uno scavo sospeso, qui c’è ancora tanto da scoprire e mi piacerebbe partecipare a una spedizione archeologica, per il momento non ho trovato niente ma magari qualcosa viene fuori. Il paesaggio è dominato dalla Piramide Rossa, che poi rossa non è, ma è grandiosa e perfetta nel suo rigore geometrico, fu costruita per volere del Faraone Snefru, babbo di Cheope e fondatore della quarta dinastia. Snefru fece costruire tre piramidi, la prima a Medium qualche decina di chilometri più a sud, all’interno dall’oasi di Al-Fayoum, che si ispirava alla più antica piramide quella a gradoni di Saqqara costruita dal geniale architetto Imhotep circa 4700 anni fa per il Faraone Zoser. La prima piramide non gli venne bene, ma Snefru non si perse d’animo e raddoppiò facendo costruire qui a Dahshur prima la Piramide Romboidale e poi la Rossa dove, finalmente soddisfatto, diede ordine di farsi seppellire. I due monumenti a quarantasei secoli dalla loro costruzione dominano ancora la scena entrambi alti centocinque metri e distanti fra di loro solo un paio di chilometri. Siamo ormai sotto la Piramide Rossa che a differenza delle piramidi di Giza conserva ancora diversi lastroni bianchi di calcare che in origine la rivestivano completamente, da qui l’imponenza dell’edificio mette soggezione e mi immagino l’effetto che doveva suscitare nella psiche dei sudditi del Faraone. Il silenzio e l’assenza di visitatori rende il tutto ipnotico, gli giro intorno le pareti perfette tutte inclinate di quarantatre gradi sembrano variare il loro angolo e la loro lunghezza ad ogni passo, c’è un fascino sovrannaturale dal retrogusto lievemente angosciante all’ombra di questo solido. Come uscita da un vecchio film si avvicina lenta una vecchia peugeot, al volante un anziano autista che trasporta una giovane pallida turista con capello di paglia, il tempo di una foto e ritornano verso la strada lasciando il ricordo di un immagine piacevolmente retrò. Verso est in lontananza si staglia la sagoma da grande termitaio della Piramide Nera di Amenemhat III, sullo sfondo il verde dei palmeti che sovrastano i coltivi intorno al Nilo e poi le ciminiere delle tante fornaci di mattoni che colorano il cielo di fumi neri in un tetro miraggio da prima era industriale.
Ormai è quasi ora di chiusura, proviamo a raggiungere anche la Piramide Romboidale passando da una depressione per eludere le guardie ma senza successo. Arrivano i gendarmi, è scoccata l’ora x e si chiude tutto, è un gran peccato perché ora c’è la luce più bella. Una volta capito che siamo a piedi ci fanno salire con loro nel cassone chiuso del camion, “Italia Ornella Muti” finalmente si cambia non ne posso più di “Italia giuventus bellusconi” Siamo una quindicina nel cassone, noi e i militari della polizia turistica, tutti vestiti di nero e i baffi da cattivi, fa un effetto strano sentirsi chiedere  souvenir, stilo e bon bon da gente che imbraccia il mitra, comunque ci fanno un gran favore perché ci scarrozzano fino alla fermata dei minibus. Soliti cambi, poi metro e di nuovo nel traffico infernale del Cairo. In serata troviamo un bar con la wi-fi gratuita dove fanno un eccellente caffè espresso.

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Luned?¨ 16 febbraio 2009 Giza – Egitto

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Le meravigliose Piramidi di Giza e la metro per sole donne


Partenza in metropolitana che è incredibilmente pulita, efficiente e moderna, oltre che economica con mezzo pound si arriva alla stazione di Giza, dopo le solite trattative si prende un pulmino che ci scarica vicino alla zona delle Piramidi con una spesa di un pound. Nel sito ci sono già tanti turisti tutti in fila davanti alla sfinge ma già risalendo la strada lastricata verso la piramide di Chefren imponente e perfetta nella sua grandiosa forma geometrica, la folla svanisce. Ci spostiamo nella zona dietro la piramide di Cheope dove c’è un grande complesso funerario, fra la sabbia sono migliaia i pezzi di ceramica, non c’è nessuno e pur essendo nel più famoso e frequentato sito archeologico del mondo sembra di essere degli esploratori. Salendo verso l’alto è ancora più impressionante la morsa di cemento del Cairo che sta cingendo e ingoiando questo plurimillenario luogo che rappresenta  una delle manifestazioni più elevate dell’ingegno umano. C’è un intero quartiere in costruzione alle spalle della collina della piramide che avanza inesorabile con centinaia di palazzi grigi, è una rappresentazione drammatica e spaventosa della bramosia vorace del nostro tempo, questa morsa di cemento altro non è che il male che avanza. Siamo a poche centinaia di metri dal cuore del sito ma è  una dimensione totalmente estranea al flusso turistico, ci sono delle baracche semidistrutte in cui vivono persone, è una piccola zona di lavorazione della pietra dove vengono preparate le lastre di calcare per i restauri. Si scende verso la grande piramide di Cheope i cui blocchi da vicino sono ancora più impressionanti, è talmente grande che da vicino non si riesce a fotografarla e il vento rafficato che fischia ululante sbattendo contro l’immensa struttura ne esalta ancora di più il fascino e il mistero. Sul lato Nord della piramide c’è l’ingresso per entrare nel cuore della tomba e vedere la camera funeraria di Cheope, è impressionante salire dentro questa struttura scarna e mastodontica, si sale rapidamente una lunga rampa, più che un monumento di 4700 anni fa sembra un qualcosa di sovrannaturale o di proveniente dal futuro, enormi lastre geometriche perfette nella forma e regolari nell’inclinazione si chiudono intorno al grande cunicolo, è una dimensione  molto “fantascienza”  l’ultimo tratto è orizzontale, si passa gattoni e si entra nella  tomba di Cheope, un parallelepipedo di granito con il soffitto formato da mastodontici e perfetti blocchi e poi ai margini del lato destro lo scarno sarcofago di granito. Nel buio quasi totale della stanza si vedono le facce eccitate ed esaltate dei pochi visitatori, c’è anche un’americana che si è messa a “pregare” a fianco del sarcofago, qualche minuto e poi la discesa. Ci godiamo lo spettacolo della piramide dall’esterno, dal piazzale lastricato del lato orientale che si trova fra il colossale monumento e le piccole piramidi dove si dice siano state sepolte mogli, sorelle e figli secondari del Faraone. Ci spostiamo verso la grande piramide di Chefren che sembra la più alta per via del fatto  che è costruita più in alto ma è alta “solo” 136 metri, dieci in meno di quella del padre che per legge stabilì che nessuna piramide potesse superare la sua in altezza. È la piramide più bella con la parte sommitale che ancora conserva le lastre della copertura finale di calcare, doveva essere uno spettacolo incredibile vedere queste gigantesche piramidi ricoperte di lastre lucenti che specchiavano il sole. Ormai i turisti sono quasi tutti andati via e anche i vetturini con le carozze e i noleggiatori di cammelli stanno cominciando a rientrare, le nicchie scavate dentro la roccia alle spalle della parete ovest della piramide, sono un punto di ritrovo per le giovani coppie di fidanzatini egiziani. Si cammina nel deserto spazzato dal vento e poi si arriva alla piramide di Micerino anch’essa enorme e con a fianco altre piramidi minori, ma a confronto di quelle intitolate a Cheope e al figlio è ben poca cosa, è anche la più danneggiata perché  nel 1186 Malek Abdel Aziz sovrano dell’Egitto del tempo, si mise in testa di distruggerla. Fece smantellare una porzione della parete nord dai suoi uomini, ma dopo pochi mesi dovettero rinunciare per incapacità, erano passati tremila settecento anni dalla costruzione della piramide e l’involuzione era stata così marcata che non si sapeva nemmeno più distruggere quello che gli antichi avevano mirabilmente costruito.
Mentre si cammina dalla sabbia spuntano continuamente reperti in pietra e ceramica, saliamo sopra una piccola collinetta e da qui il panorama diventa ancora più bello, alle meraviglie di Giza, sullo sfondo a sud ovest, si aggiungono altre piramidi sono quelle di Abu Sir.
Rientriamo tra i richiami e le richieste di soldi delle guardie a cammello, una volti usciti dall’area archeologica ignorando i tanti tassisti a caccia di polli da spennare, raggiungiamo la strada principale dove con una spesa ridicola raggiungiamo la stazione della metro di Giza. Le banchine dove si aspetta la metropolitana hanno delle aree riservate alle sole donne e anche i vagoni hanno la stessa divisione, i vagoni per le donne sono segnalati da targhe rosse o verdi con disegnate dentro le donnine stilizzate. Salgo in un vagone per sole donne, essere straniero ti concede anche il vantaggio di fare il finto tonto per vedere e vivere situazioni altrimenti non tollerate, comunque l’impertinenza produce solo risate. Si cambia linea e questa volta un gruppo di velate bacchettone mi cicchetta dicendo che quello è un treno per sole donne, naturalmente non manca la classica zitellaccia acida che fomenta la protesta. Soddisfatti per la bella giornata si rientra.
 

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Domenica 15 febbario 2009 Il Cairo – Egitto

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Cheope: minima statua, massima piramide

In mattinata si va a vedere il Museo Egizio, ci sono tanti giapponesi, europei e americani, non ci sono più abituato a vedere le donne in canottiera e gli uomini in pantaloni corti e mi fa strano. All’ingresso nonostante le decine di adetti alla sicurezza i controlli sono inesistenti, il museo è strapieno di reperti, c’è una quantità impressionante di statue, più che un museo sembra un grande deposito, specialmente nelle sale laterali è tutto avvolto nella polvere e le teche di legno con i lucchetti impiombati e le didascalie scritte a penna su fogli di quaderno riportano alle romanzesche storie dell’epoca archeologica dello scorso secolo. Non è un museo moderno ma è sicuramente un luogo di grande fascino, sembra che ci siano esposti più di 120.000 pezzi, provo a immaginarmi i famosi depositi del museo dove si dice siano ammassati senza essere catalogati milioni di reperti, deve essere un posto incredibile.
Ci si sente osservati dalle centinaia di statue che adornano ogni angolo, dai mille volti imperturbabili, da quelli delle colossali statue che raffigurano il Faraone Amenthotep III e sua moglie Teye, alla bellissima  raffigurazione in diorite nera di Chefren a grandedezza naturale, fino alla perfetta nella sua espressione imperturbabile piccolissima statua di Cheope. Raffigurazioni di faraoni e regine come Micerino, Akhenaten e Nefertiti, Ramses  II, Hatshepsut… divinità Amon, Hathor, Bes… nobili, soldati, operai, panettieri, impossibile vedere tutto, ancora più impossibile descriverlo, di certo la percezione di un passato straordinario. Al piano superiore il famoso tesoro di  Tutankammon che merita la sua grande fama anche se non mi suscita l’emozione della prima volta che lo vidi e poi ancora meraviglie come le mummie reali dove spicca la somiglianza fra il faraone Sethi I e quella del figlio Ramses II. Gli antichi egizi mummificavano tutto cani, gatti, babbuini, ibis   anche i pesci, ce n’è uno che assomiglia in maniera impressionante a uno visto in un mercato di Alessandria che però non era mummificato ma putrido. Alcuni reperti sembrano dimenticati da tutti, ci sono scaffali con centinaia di statuette di turchese abbandonate nella polvere, mentre le mummie del periodo greco romano si stanno struggendo sotto il sole che filtra dal lucernaio.
C’è ancora tempo per andare a Giza per vedere le famose Piramidi, i tassisti qui fuori sono a caccia di polli da spennare, chiedono 50 euro ma poi si va con 15 pound, circa un euro e mezzo ed è un prezzo esagerato, un tassista con un pollo europeo, giapponese o americano in mezz’ora può fare il guadagno di una mesata.
Il quartiere di Giza è povero ma tranquillo, prima di andare nella zona delle Piramidi si va a fare un giro, ti sposti di pochi metri e si torna nell’Africa che mi piace, fatta di persone povere ma gentili e sorridenti, con tre pound si mangia, compreso il “mix” un favoloso beverone egiziano di banana, fragola, yogurt e mela. Poi lasciati i vicoli polverosi del quartiere popolare si entra nel sito, c’è tanta gente ma stanno uscendo tutti, in pochi minuti il sito si svuota, sembra la situazione perfetta ma i poliziotti a cammello cominciano a chiedere mance e a dire che è ora di chiudere, il fatto che in pratica ci siamo solo noi peggiora la sitauazione. È comunque un luogo magico e le Piramidi di Cheope e Chefren sono semplicemente grandiose, stiamo dentro il più possibile ma poi bisogna uscire è ora di chiusura e scortati da tanti poliziotti a cammello si esce. Solito mercatino si parte da 60 dollari e poi con 15 pound si rientra, ma domani si torna, le mitiche piramidi di Giza le voglio vedere perbene.
 

   

Sabato 14 febbraio 2009 Al-Arish – Egitto

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Il deserto che incontra il mare
Le notizie che arrivano da Gaza non sono buone, c’è stato un altro raid, a un certo punto sembra che ci sia una possibilità per entrare ma poi non si concretizza, quindi si va alla stazione dei bus e si parte in direzione Cairo. La strada scorre dritta lungo costa a rincorrere il sole in un paesaggio di sogno con le dune del deserto che incontrano il Mediterraneo, a volte il mare si incunea fra le sabbie creando delle insenature surreali e di tanto in tanto fra le dune spuntano dei piccoli laghi salati. Ci sono ancora tanti pastori beduini nomadi che vivono qui, abitano in piccole capanne di canne e sono molto più numerose di quello che pensavo, sono immagini che sembrano uscite dai racconti della bibbia e dei vangeli, con i bimbi che giocano mentre controllano i greggi delle capre e le donne che rientrano verso le capanne sul dorso dei piccoli asini, dopo essere state a recuperare un po’ di legna.
Man mano che pone il sole il paesaggio diventa sempre più bello ed evoca storie leggendarie e lontane come quella della fuga in Egitto di Giuseppe, Maria e Gesù un paio di millenni fa, ma ci sono anche tanti reticoli di filo spinato che segnalano i campi minati che rammentano storie di guerre molto più recenti.
E’ già notte fonda quando ripassiamo dal ponte sul canale di Suez, siamo nuovamente in Africa fra i coltivi e i canali del Nilo. Poi inizia il traffico del Cairo, che di notte sembra ancora più infernale, dopo un paio d’ore arriviamo alla stazione centrale, camminare con gli zainoni nel caos del traffico del Cairo non è un’esperienza rilassante, comunque nel giro di un’oretta ci piazziamo e poi si va a cercare qualcosa da mangiare in questa metropoli devastata da fast food e spazzatura.
  
   

Venerd?¨ 13 febbraio 2009 Al-Arish ‚Äì Egitto

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Rispediti al mittente
Partiamo con un collettivo per Rafah con l’intenzione di entrare nella striscia di Gaza per capire meglio quello che sta succedendo e per dare una mano. Siamo in contatto telefonico con Vittorio Arrigoni, l’attivista pacifista di guerrillaradio unica voce italiana da Gaza nei giorni dell’operazione piombo fuso. Conoscere Vittorio è un ulteriore motivo per entrare nella striscia, mi farebbe tanto piacere parlarci. Al posto di blocco prima di Rafah svanisce il sogno di entrare, i militari egiziani ci fanno scendere e ci rispescono indietro, attraversiamo il breve tratto di deserto che divide le due carreggiate da e per Rafah accompagnati da tre militari, il capoccia non è che sia molto simpatico, quando vede che mi diverto ad osservare le grandi formiche che camminano sull’asfalto si avvicina con fare da bullo e le schiaccia calpestandole. Aspettiamo qualche decina di minuti poi ci fanno salire su un collettivo e si ritorna a Al-Arisch dove si apprende che nonostante la tregua concordata fra Hamas e Israele gli scontri continuano, se prima era complicato entrare nei prossimi giorni lo sarà ancora di più, domani si torna al Cairo. Nella piazza del paese ci sono ancora un po’ di scalpellini, se ne stanno seduti sul marciapiedi in attesa di richieste di lavoro con il loro corredo, una mazza, un mazzolo e qualche scalpello tenuti insieme da due fasce elastiche fatte con i resti di camere d’aria dei pneumatici. In serata mentre si sta mangiando il rumore di un aereo militare inghiotte tutti i suoni, per un attimo tutto sembra fermarsi, anche il respiro, poi tutto ricomincia fra sorrisi e voglia di allegria che si propaga veloce come per esorcizzare la paura. 
 
   

Gioved?¨ 12 febbraio 2009 Al-Arish ‚Äì Egitto

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Il Sinai
Doppia discussione prima di partire per Al-Arish, con il tassista che ci ha accompagnato alla stazione dei bus e con il bigliettaio per caricare i bagagli sul pullman, comunque si parte senza problemi su un pullman mezzo vuoto. C’è una coppia accanto a noi che mi ricorda San Giuseppe e la Madonna, lui avrà almeno cinquant’anni camicione e giacchetto di jeans, lei è tutta velata di nero ma dagli occhi si vede che è giovanissima avrà diciott’anni e poi ci sono le due bimbe, la grande che avrà un anno e poco più e la piccolina di pochi mesi fasciata completamente in una coperta. La campagna a ovest del canale di Suez è rigogliosa e i campi hanno un aspetto inusuale per noi, con delle strisce di terra accumulata su cui vengono seminati i coltivi sopraelevati rispetto al piano del campo che di tanto in tanto viene allagato, un sistema inverso a quello dei nostri solchi, che è tipico del delta del Nilo. Dopo una trentina di chilometri fiancheggiando il canale di Suez dove si vedono scorrere le grandi navi saliamo sul grande ponte Mubarak Peace, costruito da tecnici giapponesi, che attraversa il canale, ha una forma triangolare che ricorda vagamente una piramide e al centro un’ampia e alta campata per far passare i grandi convogli galleggianti. Siamo nel Sinai settentrionale, il panorama cambia di botto su questo lato del canale è subito deserto, tutto è arido e chiaro, dopo un po’ iniziano anche le dune di sabbia che sono più grandi di quello che immaginavo. È una zona comunque densamente popolata con una serie quasi ininterrotta di abitazioni. E’ un luogo difficile da vivere il deserto, rimango sempre stupefatto dai greggi di pecore, capre e dromedari portati a pascolare nel nulla, ma di gran lunga più impressionante è il numero così elevato di persone che vivono in questo deserto fra il nulla e il mare. Un paio d’ore e siamo a Al-Arish, l’ultimo tratto di strada costeggia il mare ormai siamo quasi sul margine orientale del Mediterraneo e Cipro e la Turchia sono vicini. Al-Arish è una cittadina in grande espansione come tutti gli insediamenti visti in Egitto ed è anche un importante centro balneare per il turismo interno. Arrivati al capolinea ci spostiamo nel centro dove troviamo un’ottima sistemazione in un fonduk  economico ma confortevole. La vita scorre tranquilla sembra impossibile che fino a pochi giorni fa, a pochi chilometri da qui si svolgesse una sanguinosa guerra, le vie cittadine brulicano di attività e tante vetrine sono pacchianamente addobbate per la prossima ricorrenza di San Valentine, più tranquillo è il tratto costiero con un’infinita spiaggia piena di conchiglie rovinata dal cemento. In serata una piacevole sorpresa con un cavo volante riusciamo ad avere internet in camera.   
 
   

Mercoled?¨ 11 febbraio 2009 Port Said ‚Äì Egitto

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Port Said
Arriviamo alla stazione precisi per prendere il bus, sbaglio la fila mi metto in coda con le donne, mi brontolano e mi devo spostare. La strada è un veloce rettilineo che fiancheggia il canale circondata da un terreno nero di limo, da qualche laghetto salmastro e da campi verdi e frutteti rigogliosi. In un’ora siamo alla dogana per entrare sull’isola che è stata creata con i detriti dello scavo del canale depositati nel lago Manzala, su cui  si estende Port Said, è una formalità necessaria perché la città è porto franco, ma è solo una formalità. Port Said è una grande città con palazzi e strade piene di traffico e nessuna traccia evidente dei bombardameni subiti durante la guerra con Israele, è ricca di banche e sedi di compagnie marittime. L’ingresso del canale dal Mediterraneo è delimitato da due strutture in muratura, in questo momento è chiuso in direzione Suez, i bastimenti man mano che arrivano vengono parcheggiati dalle pilotine a delle grosse boe lungo l’ingresso del canale e formano delle carovane di navi, in questo momento ce ne sono quattro in fila. Solo la prima zona del canale è visitabile poi inizia la zona militare e la zona dei cantieri che è interdetta. Dall’altro lato del canale si sviluppa il quartiere di Port Fuad che è praticamente il proseguo di Port Said collegato da dei piccoli traghetti gratuiti che fanno continuamente la spola, ne prendiamo uno anche perché è il posto migliore per fare le foto alle navi. Tornati a Port Said si fa un giro tra il porto e le strette vie di impostazione coloniale e poi passando dal porto peschereccio si arriva sulla costa mediterranea che si sviluppa con una lunga spiaggia piena di grandi conchiglie con l’orizzonte punteggiato di navi a rada. Ritorniamo alla blindatissima stazione dei pullman per rientrare a Ismailia, dalla corriera si vedono i convogli provenienti da Suez che stanno risalendo il canale, è un’immagine suggestiva con le grandi navi che scorrono da dietro l’argine che sembrano arare il terreno passando davanti a palme, granai e alle mucche al pascolo che ignorano il passaggio continuo delle gigantesche porta container. In serata ci fermiamo a vedere due pescatori che dalle rive del lago Timsah, con grande fatica stanno salpando una grande sciapica, è una rete molto grande e fanno una fatica disumana e alla fine non raccolgono praticamente niente. Sotto una grande stellata rientriamo alla base, domani inshallah si entra nella penisola del Sinai. 
 
   

Marted?¨ 10 febbraio 2009 Suez ‚Äì Egitto

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La tempesta di sabbia
Da Ismalia in bus ci spostiamo verso Suez, città costruita sul vertice meridionale del canale. Già al tempo dei Faraoni l’uomo aveva pensato di collegare il Mar Rosso con il Mediterraneo, ci sono dei documenti risalenti al 610 avanti cristo che ne parlano e per primi ci riuscirono i persiani sotto Dario il secolo dopo. Anche i romani migliorarono questo primordiale canale di Suez che collegava il Mar Rosso con Bubastise e da lì, attraverso i canali del delta, al Mare Nostrum. Ma il canale vero e proprio come lo conosciamo noi fu inagurato nel 1869 al termine di dieci anni di lavori stravolgendo le rotte marittine e i commerci dell’intero pianeta. Il canale rimase in mano ai francesi e agli inglesi fino al 1956 fornendo alle due potenze coloniali ingenti guadagni, loro malgrado  dovettero subire la nazionalizzazione del canale da parte di Nasser che, con i dazi di transito finalmente in tasca all’Egitto, finanziò la costruzione della famosa diga che porta il suo nome e che ha stravolto la vita dell’Egitto e forse anche il clima del mondo tutto.
La strada corre dritta nel deserto dove ci sono tante basi militari con cannoni e carri armati, tante di queste  basi sembrano bombardate di recente con mura e hangar semidistrutti e le garritte annerite, evidentemente sono i segni della guerra contro Israle del 73, o addirittura di quella del 67. Arriviamo a Suez dentro una tempesta di sabbia, il cielo è giallo e la visibilità assai scarsa, attraversiamo il ponte che collega il centro principale con Port Taufiq il vero ingresso del canale che qui è veramente scavato nel deserto, in questo  momento non stanno transitando navi, c’è il blocco in entrata, ma a rada ce ne sono tante che attendono l’apertura che avverrà dopo il transito dei convogli che devono arrivare dal Mediterraneo. Qui rispetto a Ismailia è tutto più trasandato, solo un piccolo tratto di passeggiata di Port Taufiq consente di vedere il canale il resto è tutto militarizzato e interdetto e le vie interne sono ricche di banche e uffici di compagnie di navigazione chiuse.
Suez città, è piccola e malridotta con i segni della guerra ancora visibili se si esce dalla zona centrale. Dopo una colazione ritardata con frullato di banana, ci andiamo a mangiare un pesce a metà strada fra il parago e il dentice da un grigliarolo sulla via del centro, sopra la “cucina” c’è un ristorantino dove si può consumare il pesce, è un posto ganzissimo una specie di capanna gestita da tre allegre gioiose velate ma alquanto disinibite.
Ritorniamo a Port Tauiq passando da un elegante e decadente quartiere coloniale e finalmente vediamo le navi nel canale che stanno arrivando da nord, è un flusso costante come una processione, le sagome delle navi si materializzano nelle polvere del deserto e poi ci passano a fianco prima di entrare nuovamente nel mare, le più impressionanti sono le gigantesche portacontainer, la più strana una nave con quattro gigantesche bolle bianche sulla coperta che sembra una base spaziale. Per rientrare il pullman non c’è, ma non è un problema perché c’è un Peugeot 504 collettivo che sta per partire per Ismailia e il tassista beduino che lo guida è un vero driver, va sempre a chiodo e sorpassa facendo peli millimetrici a camion e vetture, in un’oretta siamo nuovamente a Ismailia.
Ismalia è la città delle donne, perlomeno rispetto alle altre città del nord Africa ci sono molte più donne in giro rispetto ai maschi, anche perché molti uomini vanno a lavorare nei vicini stati della penisola arabica dove rispetto all’Egitto guadagnano molto di più e di conseguenza lasciano più libertà di movimento alla donne, ci vorrebbe più tempo per approfondire la cosa ma per esempio rispetto a una città come Marsa Matrhouh  la differenza di atmosfera è macroscopica.  
 
   

Luned?¨ 9 febbraio 2009 Ismailia ‚Äì Egitto

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Le navi nel deserto
Sveglia nel silenzio del lago Timsah, un grande catamarano e una barca a vela con un lungo albero a tre crocette escono dal porto di Ismailia in direzione Suez, dopo poco tre grandi navi risalgono il canale verso Port Said. Nel lago ci sono già tanti pescatori a lavoro, si spostano a remi o a vela sfruttando il vento teso del lago con delle piccole vele improvvisate fatte cucendo insieme sacchi di plastica. È una zona ricchissima di uccelli, tantissime upupa e tanti uccelli marini sempre intenti a pescare e a catturare gli scarti dei pescatori e dei tanti pesciaioli che vendono lungo la via, il lago è ricco di tante piccole isolette verdeggianti e nelle zone più calme si formano delle vere e proprie praterie di erbe marine. Ci spostiamo verso nord fiancheggiando un canale secondario dove ogni centinaio di metri ci sono delle chiuse comandate da dei timoni a mano, probabilmente risalenti al periodo coloniale come le tante ville che fiancheggiano questo canale. Ismailia, nata come Suez e Port Said insieme al canale, è ricca di verde, ci sono tanti parchi con prati e grandi alberi. Dopo un paio d’ore si arriva al canale dove ci sono i traghetti che attraversano continuamente collegando la sponda africana con quella asiatica. Le navi risalgono continuamente il canale a piccoli convogli di tre alla volta, ma questo piccolo scalo è uno dei pochi punti accessibili del canale il resto, perlomeno in questo tratto, è tutto interdetto da basi militari. Sulla via del ritorno veniamo invitati da una famiglia di Ismailia a prendere un the con loro in uno dei grandi parchi, è una famiglia numerosa e allegra c’ha invitato il capofamiglia che ci presenta la moglie i figli, un fratello, un paio di sorelle e relativi consorti e figli, ci godiamo questa atmosfera familiare rilassata mangiandoci anche un paio di dolcini boni e poi si rientra verso il lago.